Ho iniziato a scrivere questa rubrica, Un post al mese, nel gennaio del 2017. Questo significa che sono passati da allora quattro anni e due mesi, ovvero 50 mesi. Febbraio 2021 è il cinquantesimo scritto di questa rubrica e, con buona probabilità, sarà anche l’ultimo. La necessità nasce da un nuovo progetto in cui coinvolgere questo sito, e da una riflessione personale che si accompagna a una circostanza inedita e che, senza preavviso, mi è piombata addosso in questo febbraio 2021 così simbolico, così breve e così beffardo.

Febbraio è iniziato a Torino, neanche a farlo apposta era irreale già all’esordio. E così ci sono state le luci d’artista che ancora non avevo visto, il vuoto in pancia con cui familiarizzare per aver ritrovato, pressoché intatto, un mondo lasciato alle spalle senza un addio preciso, senza meta e orizzonti di scoperta, solo attesa silente. I portici che si accendono, le bancarelle dei libri e un generale silenzio, una piattezza, un sommesso scorrere quasi timido. La città è cambiata, è vuota e diversa, ci sono le mascherine, c’è quasi un anno di distanza dal mio correre all’ultima conferenza stampa, ignara di tutto, incontrando un semaforo rosso e un maggiolone giallo che solleticava la nostalgia del mare. È un altro anno, sarà più difficile, mi trova diversa e non potrebbe essere altrimenti.

Risolvo, addomestico il disagio e la sua valigia di emozioni innominate e molto spesso sconosciute, c’è sempre molta ansia, c’è ancora nostalgia per quel calendario fermo, rassicurazione, consapevolezza. Al centro, forse, il problema è proprio quello della consapevolezza di essere piantata in mezzo a tanti piccoli problemi da risolvere, il cervello in affanno e la realtà che ci pensa da sola a frenare inchiodando, sbalzandoci tutti davanti alla vita che accade.

E dunque accade, ignara delle mie sensazioni di leggerezza in città stranianti e deserte, dentro tunnel dove risuona solo il mio respiro dentro la mascherina, in un’alienante e soffocante realtà dentro cui mi muovo come in acquario, senza sapere di trovarmi nella melma, fiorisce persino la mimosa. E sono pallini gonfi di polline giallo e profumato che soffiano la primavera negli occhi, nello sguardo. Respiro a fondo, sorrido: non so che deve arrivare un inverno inaspettato, e quando arriverà, cercherò di conservare quella profumata e impalpabile leggerezza già triste.

La prima mimosa, il primo sorso di primavera, un mazzetto di ranuncoli a ornare un tavolino di bar sul marciapiede, quello dove si svolge un rituale ormai abituale, una colazione al freddo. Giallo, arancione, poi giallo. Mimosa e arance in questo febbraio in cui celebriamo un anno esatto da quel 21 febbraio che tutto cambiò, in cui non è ancora cambiato niente e non abbiamo ancora imparato a farci i conti. Si cammina come scorporati da se stessi. E io cammino, ché non saprei che altri pesci prendere mentre mi scorre questo drammatico e angosciante febbraio addosso. E volti, e strade, e messaggi e libri che divoro, altri che mi consolano e mi portano altrove, altri ancora che mi impongono di fermarmi un attimo, letture, infine, che mi scoprono, mi abbracciano, attivano nuovi percorsi sconosciuti.

Atterra un cuore a tavola: non è san Valentino ma facciamo finta che un giorno non faccia la differenza, perché in effetti sì, è così, un giorno fa eccome la differenza, mentre il vento gelido sferza la faccia in una sera che doveva andare diversamente, e si apre un baratro gommoso dove non si può fare nulla, compito inalienabile è resistere, imparare, interiorizzare e pensare. Pensare un sacco. Come fosse un film che scorre, io spettatore, protagonista un’anima che non conosco in cerca di una ragione. In questo mese, finalmente, mi decido anche a guardare Soul, della Pixar, e ne ricevo un pungente messaggio confuso ma pieno di lacrime. Un cotton fioc di azoto liquido che brucia la pelle e una fitta di male che ingoia tutto l’altro male, pulsazioni in sottofondo, calore dal gelo, gelo improvviso in sangue che scorre.

E poi c’è una tazza gigante dove tuffare tortellini in una giornata bigia a un tavolo rotondo che guarda una finestra: non succedeva da tantissimo, gustarsi il momento è una parentesi dolce che mi concedo, chissà quando torna. C’è un libro nuovo che si bagna, e pazienza, una lampadina che si svita, biscotti brutti ma non importa. Andare avanti. Camminare, a volte l’unica soluzione quando il cielo si abbassa e ti schiaccia e tornano vecchi loop che non sono degni nemmeno un po’ dell’inedita vita da telegiornale che si svolge in casa. Meno male che ci sono gli amici, meno male che c’è il lavoro, che è tanto, talvolta complesso, sfidante come fare lezione parlando di Calvino. Si avviano progetti, a volte è bello pensare a tutto quello che è possibile, anche se fuori la situazione ha qualche tratto surreale che alimenta angoscia, anche se il senso di colpa assurdo si mangia tutta la positività e si finisce per stare in piedi a caso, senza senso, senza voglia.

Intanto cambia il governo, si susseguono le maratone Mentana, ci distraiamo così mentre il mondo va a sfascio, e i vaccini, e il contagio, e i numeri, le curve, una fine che non si intravede, il peso di un anno intero che ormai è incontrovertibile, lì schiacciato nei rettangolini dei calendari. Natale è lontano, la promessa dell’anno nuovo non è più la priorità mentre ci camminiamo dentro, e a volte non va come sognavamo, a volte non si vede la meta, a volte passi un pomeriggio in biblioteca e la biblioteca chiude pochi giorni dopo, ancora, chissà poi. Singhiozzi di slanci, interrotti solo dalla folgorante bellezza che balza fuori dalle pagine di carta e racconta di realtà da sondare e scoprire. Quando sarà possibile, anche se un quando è rimandato a data incalcolabile. Incalcolabile come tutto lo scorrere di una vita che improvvisamente non puoi più gestire, aiutare, controllare.

E così c’è questa nebbia che sale dal mare, un giorno di fine febbraio. Scontro di fronti a temperature differenti, caligo che nasce tra i flutti e si insedia nella città, tra vie e palazzi. Avvolge tutto di bianco nulla, cancella l’orizzonte immediato delle cose, quello più distante è già oltre, impossibile, inconsistente di nostalgia delle cose che avrebbero potuto essere e invece un’onda anomala le ha portate via. Tutto scientificamente calcolabile, tutto razionalmente a posto. Ma non basta. E mentre questo nulla sale e avvolge con la sua salsedine i palazzi colorati, le domande si susseguono passo dopo passo lungo strade che non arrivano, cancelli e porte oltre le quali non si può andare. Non ancora, non questa volta. Chissà il dopo. Il futuro è in cima a salite che restano ignote.

Febbraio potrebbe assomigliare a un tè in barca in un pomeriggio di nebbia, una fuga dalla realtà che spaventa ed è enorme, una testa sotto coperta perché quello che si scorge dal ponte è avvolto dal nulla e non si sa come prenderlo. È che mentre non si sa come prenderlo va tutto avanti come prima più o meno acciaccato, preoccupato e triste, speranzoso e forte, bassa marea in attesa di salpare, domani.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!