C’è un libro di Italo Calvino, anzi un racconto – e poi un libro -, che ha segnato il mio percorso di scoperta di questo autore così noto e centrale per la letteratura tutta, e così vicino a un modo di vedere il mondo che sento anche un po’ mio. Credo sia proprio il secondo motivo – lo sguardo – ad avermi avvicinata a La strada di San Giovanni, una raccolta che contiene testi per me fondamentali, rivelazioni e accompagnamenti in percorsi di scoperta che hanno incoraggiato la mia ricerca per la tesi di dottorato, e tante altre iniziative arrivate poi più tardi, tra cui l’articolo che ho scritto per Turismo Letterario sulla Sanremo di Italo Calvino, la partecipazione al Festival Soleà, e le lezioni che sto tenendo in questi giorni di febbraio 2021 con i ragazzi delle superiori.

Il mio passaggio obbligato

Acquistai La strada di San Giovanni a una delle tante svendite della libreria La Mauriziana di Imperia. Costava poco, non lo avevo mai letto. È un volume un po’ ingiallito con la rilegatura che ogni volta scricchiola minacciando di sciogliersi, è uscito nel 1990 perché è una raccolta postuma. La mise insieme la moglie, Esther Calvino, dopo la scomparsa di Italo, radunando una serie speciale di scritti tutti a carattere autobiografico. Una rarità per un autore che rifuggiva lo specchio autobiografico fin dai primi racconti partigiani ancora intimamente legati all’esperienza ligure della Resistenza. Nei progetti lasciati incompiuti da Calvino c’era un foglietto che sintetizzava un’idea di indice raccogliendo questi racconti. L’idea si intitolava Passaggi obbligati. Io, che già familiarizzavo molto con le contraintes, devo aver percepito la sfida di quel passaggi obbligati, e mi sono tuffata nella lettura dei cinque racconti di La strada di San Giovanni (così lo intitolarono poi gli editor) scoprendo un universo che, ancora oggi, alimenta la mia curiosità e passione per Calvino.

La particolarità di almeno tre racconti contenuti in La strada di San Giovanni, quella che mi ha coinvolta da subito, è che, raccontando episodi e riflessioni autobiografiche, raccontano anche la Sanremo di Italo Calvino. Geografie, luoghi, persone e memorie di una cittadina costiera della Riviera di Ponente che conosco molto bene, un po’ simile a casa mia, una manciata di chilometri a est, immersa in un panorama che è del tutto simile, fedele a una tradizione, a un mondo di pensare e di guardare il mondo che è parte stessa di un territorio fragile e incantato, giardino di agrumi e fiori dove brilla l’argento dell’ulivo, e dove in una striscia di terra sono inclusi il mare e i duemila metri delle Alpi liguri. Devo aver individuato qualche vibrazione in fondo alle visioni che Calvino raccontava ricordando di Villa Meridiana e delle salite alla campagna del padre, della città sottostante, dell’ubagu, quel termine dialettale così ombroso (non è in fondo proprio Ombrosa la contea immaginaria di Cosimò Piovasco di Rondò, Barone rampante?) che si contrappone all’aprico, il soleggiato, e che non capivo, ma che mi incuriosiva, un po’ mi sfidava.

Tracce autobiografiche

Una delle prime cose che ho fatto dopo aver letto La strada di San Giovanni ed essermi innamorata del racconto omonimo e, soprattutto di Dall’opaco, testi che vanno a braccetto, è stato andare proprio là, nei luoghi che Calvino raccontava. Erano vicinissimi a casa, in un certo senso erano casa: non potevo perdere l’occasione di vedere con i miei occhi.

Ho trovato una visita guidata sul sentiero che dal centro di Sanremo passava davanti a ciò che resta di Villa Meridiana, la casa dei Calvino nonché prima Stazione Sperimentale di Floricoltura intitolata a Orazio Raimondo, si inerpicava su per le prime mulattiere che irraggiano le colline rivierasche, seguendo il percorso del beudo – così, in dialetto, si chiama il canale di irrigazione che scorre tra le fasce terrazzate per dare acqua agli orti, diventavano sempre più alte, sempre più selvagge, fino a superare l’autostrada che buca la collina e aprirsi nella vista dal podere di San Giovanni.

Lì, sulle alture alle spalle di Sanremo, dove ancora oggi c’è una chiesetta rosa antico, c’era l’orto del padre di Italo Calvino, quel Mario famosissimo per i suoi studi di agronomia, lo stesso che lungo il percorso che ho citato aveva piantato alcuni alberi esotici che svettano tutt’oggi lì, come gli avocado che ho visto. Lì in mezzo, tra quei sentieri vegetali e umidi che si inerpicano verso l’opaco – l’ubagu -, il mondo della campagna, delle radici, c’è anche la casetta di Libereso, il giardiniere di casa Calvino, un personaggio straordinario che ho avuto la fortuna di incontrare pochi anni prima che mancasse. Libereso, però, è un po’ immortale: è merito di Calvino, che lo ha ritratto in un suo racconto intitolato «Un pomeriggio Adamo», contenuto in Ultimo viene il corvo.

«Una spiegazione generale del mondo e della storia deve innanzi tutto tener conto di com’era situata casa nostra, nella regione un tempo detta “punta di Francia”, a mezza costa sotto la collina di San Pietro, come a frontiera tra due continenti». È l’incipit di La strada di San Giovanni, e spalanca tutta la meraviglia di quel mondo vegetale dove Calvino passò l’infanzia e i primi suoi vent’anni: Villa Meridiana. È proprio la casa di famiglia a fare da confine, spartiacque esistenziale da cui si aprono due percorsi: uno è quello della città brulicante, inseguito dal giovane Calvino, l’altro è quello della campagna, mondo arboreo del padre. Prosegue infatti Calvino: «In giù, appena fuori del nostro cancello e della via privata, cominciava la città coi marciapiedi le vetrine i cartelloni dei cinema le edicole, e Piazza Colombo lì a un passo, e la marina; in su, bastava uscire dalla porta di cucina nel beudo che passava dietro casa a monte […] e subito si era in campagna, su per le mulattiere acciottolate, tra muri a secco e pali di vigne e il verde».

Due facce di un unico mondo

Villa Meridiana come luogo di frontiera: qui si apre la spaccatura che allontanerà Calvino dal padre e, più in generale, dal luogo delle origini. Qqui, però, c’è anche la saldatura di quel legame con Sanremo, o meglio con il mondo della Riviera e il suo paesaggio che Calvino si porterà dentro tutta la vita, filtrato da visioni e suggestioni varie, raccolte in giro per il mondo, eppure sempre lui, fondato sulle radici di quella visione primigenia. «Ho vissuto i primi vent’anni della mia vita dentro un paesaggio senza mai uscirne, è un paesaggio che non potrò più perdere, perché solo ciò che non esiste che nella memoria è definitivo» dirà nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno del 1964.

Ecco, questo è uno dei punti nevralgici della mia passione per il tema del paesaggio in Calvino, per il legame con la visione maturata proprio qui, vicino a casa mia, molto simile a quella che potrei avere – che ho, forse – io. Come sto raccontando ai ragazzi in questi giorni, ci sono due dicotomie in questa spaccatura e ricucitura tra Calvino, il padre e il paesaggio. Da una parte c’è l’opposizione tra mondo della città e della campagna, vita urbana e verde, mare e radici, quella che separa Calvino dal padre. Dall’altra c’è l’opposizione di due paesaggi, quello conservato nella memoria, impresso come una mappa originale costruita affacciandosi da Villa Meridiana, e quello attuale, che già in La speculazione edilizia si era sovrapposto all’altro, ormai puro ricordo, sancendo la sparizione di un paesaggio destinato a restare tale solo nel mondo di carta della letteratura.

Dal fondo dell’opaco…

Si spiegherebbe proprio con la coesistenza di questa doppia faccia la cucitura tra paesaggio della Riviera e paesaggio della memoria, tra mondo urbano e ancestrale richiamo della terra (la Liguria dei contadini, del resto, Calvino la conosceva bene, l’aveva indagata in Liguria magra e ossuta e descritta tante volte in Ultimo viene il corvo, per esempio in «Uomo nei gerbidi»), tra aprico e opaco insomma, quelle dimensioni che con così tanto fascino mi avevano colpita leggendo Dall’opaco. Calvino capisce infatti di aver bisogno di posizionarsi dall’opaco per raccontare l’aprico: di dover riprendere il filo delle radici per solcare la pagina bianca della scrittura. Ecco allora il bellissimo ragionamento che faceva Rosella Postorino su Repubblica il 1 aprile 2020 parlando proprio di La strada di San Giovanni e del rapporto di Calvino con il padre Mario: «Quando dice che, se gli domandassero che forma ha il mondo, lui risponderebbe che è in pendenza, in verticale – come la strada che suo padre prendeva per andare in campagna -, non sta riconoscendo a posteriori, ora che ha frapposto una distanza di anni e di chilometri, la prospettiva originaria da cui guardare ogni cosa, il suo imprinting? È dalla terra del padre che Calvino ha scritto».

È dalla Riviera di Ponente, quindi, che Calvino ha scritto tanto, ha pensato e ancora di più ha guardato e osservato. Continuo a indagare questa visione, ogni volta scoprendo pagine nuove e geografie nascoste sotto la superficie. Ma, come giustamente osserva Palomar (che bello, il verbo osservare, che si riferisce all’occhio e alla mente insieme, un altro congegno a due facce tutto calviniano): «solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose […] ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile». Non smetto allora di leggere, del resto anche il verbo leggere coinvolge quel meraviglioso meccanismo che riguarda insieme la vista e l’intelletto, su cui Italo Calvino si è costantemente interrogato.

Se ti interessa Italo Calvino puoi leggere il mio articolo sui 50 anni di Gli amori difficili, quello dove racconto di Lella Costa impegnata a interpretare Le città invisibili, oppure puoi guardare il video reading dove racconto di Calvino e dei suoi romanzi e testi dedicati all’inverno, e ancora i video dove intreccio sguardi dall’alto e narrativa calviniana, e infine ritrovare qualche riflessione sul punto di vista in Calvino.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!