Comincerò col dire… No, questo è Calvino, ma vorrei in ogni caso iniziare a parlare di Favoloso Calvino, la mostra allestita in occasione del centenario calviniano alle Scuderie del Quirinale di Roma partendo da Torino e dalle sue Luci d’artista. Quest’anno, infatti, forse per una delle prime volte da che io ricordi, a decorare il lungo rettilineo di via Po non ci sono stelle e pianeti di Palomar, la luce realizzata da Giulio Paolini. Non ci sono perché sono a Roma, a illuminare i cieli di via XXIV maggio proprio in occasione della mostra, inaugurata lo scorso ottobre e visitabile – luce d’artista inclusa – fino al 4 febbraio 2024.

Ora, forse si notano già alcuni dettagli che per me proprio dettagli non sono. Il titolo, innanzitutto: la luce si chiama proprio così, come il personaggio di Calvino: Palomar. Non è meraviglioso? L’ho pensato per anni ammirando col naso in su l’omino che stava in equilibrio sui cerchi, dietro lo sfondo della Gran Madre su Piazza Vittorio, e davanti l’infilata di pianeti sotto i quali sferragliava il 13, il tram arancione. Ho talmente amato, nel corso dei miei anni torinesi, questa installazione, che le ho dedicato la scena finale del mio Torino di carta. Prima dell’ultima citazione, che traggo da Culicchia, scrivo infatti questo

I portici accompagnano la camminata dalla regale piazza Castello allo sbocco sul fiume tra lo sferragliare dei tram e, in inverno, la scia di pianeti e stelle di Palomar, la luce d’artista di Giulio Paolini, una strada di astri che insegue lo scorrere di via Po e su cui un acrobata è sorpreso in equilibrio, a illuminare di meraviglia il cielo su Torino.

C’è un’altra coincidenza felice: la via dove è collocato oggi il Palomar di Paolini. Via XXIV maggio, quella che porta proprio a piazza del Quirinale. Ma non è tanto la collocazione geografica, è che il 24 maggio è il giorno in cui mi sono addottorata discutendo la tesi su Calvino. E allora passare a Roma sotto quell’omino equilibrista tra le stelle è stata un’emozione grande, immensa, luminosa, accompagnata dalla sensazione di trovarsi al posto giusto nella circostanza altrettanto giusta. Insomma, io a questa mostra su Calvino ci dovevo proprio essere. E infatti a ottobre 2023 l’ho visitata, e queste sono le mie riflessioni accompagnate da un invito: andate a vederla, perché è bellissima!

Nel profondo della Liguria

Veniamo dunque alla mostra, il cui titolo integrale è Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte. Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri. Ancora una volta devo partire dall’inizio: l’inizio della mostra, subito percorso lo scalone di ingresso, ma anche l’inizio di tutto per Calvino, cioè la Liguria. La primissima cosa che si vede di Favoloso Calvino è il testo di Dall’opaco proiettato sul muro. Tre secondi netti: mi si è allargato sul viso un sorriso largo come la mia Liguria e la sensazione di trovarmi proprio dove dovevo essere non mi ha mollata un attimo. Dall’opaco è uno dei testi più complessi e forse meno mainstream di Calvino. Perché è stato raccolto in un volume postumo – La strada di San Giovanni – e dunque forse Calvino stesso ne avrebbe voluto fare altro, e perché non è proprio un racconto, la critica l’ha definito “una prosa descrittiva”. Insomma che è da lì che partiva la mia tesi, e che in generale torno sempre quando indago ed esploro Calvino e il suo legame con la Liguria e Sanremo.

Se Mario Barenghi, curatore della mostra, nonché uno dei massimi esperti di Calvino, ha deciso di volere le “terrazze” testuali di Dall’opaco in apertura, come un benvenuto scritto dallo stesso autore, qualcosa vorrà dire. Il testo scorreva paragrafo dopo paragrafo mentre salivo la scala, mi fermavo, continuavo a sorridere e fotografare. Ero dentro il paesaggio ligure, ed era proprio “casa”, il “mio” paesaggio, a darmi il benvenuto. Neanche a dirlo, arrivati in cima c’erano altri due testi molto significativi a fare da quinte teatrali: la Corsica all’orizzonte di Uomo nei gerbidi (in “Ultimo viene il corvo”) e lo stralcio di intervista dove Italo Calvino spiega di aver trascorso i suoi primi 25 anni in un giardino e in uno spazio che ha conformato la sua visione del mondo. Tanto basta per dire: sbam! Tombola: una delle mie tesi, una delle più affascinanti teorie che Calvino stesso ha lanciato ai suoi lettori in Dall’opaco, e uno dei percorsi calviniani per me più affascinanti. Come a dire che quella Liguria dalla quale si è allontanato gli è rimasta dentro, nello sguardo interiore, lo ha guidato, ha conformato la sua visione del mondo. Esattamente ciò che racconta Dall’opaco, testo del 1971 che per varie ragioni rappresenta un unicum (ci torna bene, e in più riprese, Domenico Scarpa).

Si sarà dunque capito che la prima sala di Favoloso Calvino è dedicata al paesaggio autobiografico, imprescindibile tappa di partenza. È un mondo da esplorare, e come sempre mi sono domandata che effetto faccia a chi non arriva da qui e quei paesaggi, quelle forme, le ha già in testa. Dall’opaco stilizza in forma geometrica quello che ci è visibile qui a Ponente: un golfo a mezza costa, un balcone teatrale, una forma a priori della percezione dello spazio. La cosa più emozionante è pensare che la mostra lo indichi esplicitamente: è qui, proprio qui, che si colloca la partenza per i viaggi nei boschi dell’immaginazione di tutto il Calvino che leggeremo, tra città sognanti, castelli, fortezze, ramificazioni continue e cambi di percorso.

Le radici a Sanremo

Le prove che ci sia un sacco di Liguria nel Calvino futuro e nel suo mondo favoloso sono tante in questa mostra, e arrivano direttamente da Sanremo e dal Ponente ligure. Ci sono foto della città vecchia, come deve averla vista e vissuta lo scrittore, provenienti dai noti archivi cittadini, il Moreschi per esempio; c’è la foto celebre della panchina di Corso Imperatrice con i compagni di scuola tra cui Eugenio Scalfari, c’è persino la mulattiera di San Giovanni. Insomma, le prime sale della mostra esplorano le radici, e per farlo partono da dove quelle radici si sviluppavano in senso concreto e materiale: Villa Meridiana, il suo giardino, ovvero la stazione Sperimentale di Floricoltura dove viveva la famiglia, e che era il laboratorio “domestico” dei genitori scienziati di Calvino.

Ho trovato molto suggestiva la ricostruzione di questo mondo con documenti, pezzetti di archivio, studi e ricerche che fanno capire quanto quel mondo non sia una favola tramandata di biografia in biografia, ma sia stato realtà, un mondo calato nella vita brulicante della Sanremo della prima metà del Novecento. Come sostiene Gianmarco Parodi, è proprio per questi legami vivi, evidenti, che ci emozioniamo ogni volta nel ribadire che Calvino era proprio “uno di qui”. Ci sono infatti alcuni reperti del fondo Mario ed Eva Mameli Calvino che i figli Italo e Floriano hanno lasciato alla biblioteca civica di Sanremo alla morte della madre. Dizionari botanici, opuscoli di convegni, copie della rivista che i genitori avevano fondato, Il giardino fiorito, il tutto accompagnato da ritratti dei nonni di Calvino lato paterno, quel famoso Giò Bernardo che viveva a Villa Terralba, sulle alture di Sanremo, ci sono foto degli anni di Cuba, e immagini di Orazio Raimondo, la cui statua oggi figura al Crea, attuale stazione sperimentale di floricoltura. Era lui ad aver sostenuto questo progetto per Mario ed Eva Mameli, la stazione infatti prese il suo nome.

Ancora, una sezione è dedicata alla formica argentina, quella reale, quella dell’infestazione cui Mario ed Eva dedicarono anche diversi articoli, mostrati nel contesto di un intero faldone dedicato a studi e analisi sulla lotta contro questo insetto pervasivo. Italo affonda le mani in questo mondo verissimo, ed è da qui che trae l’ispirazione per il suo omonimo racconto La formica argentina. L’esperienza concreta e del tutto realistica inizia a fondersi con la fantasia: non a caso “brulica” letteralmente l’opera di Emilio Isgrò dedicata all’insetto. Questa mostra infatti, in fede al suo titolo, si sviluppa con rimandi continui a opere visive di tanti artisti, un contraltare al racconto di parole, una finestra sui tanti mondi del “favoloso” Calvino.

Tra i rami d’inchiostro

La mostra è curata da un critico letterario, e dunque non mancano i continui riferimenti all’opera. Tant’è che in questo racconto biografico delle radici emerge con forza quella contraddizione che animerà tante pagine liguri di Calvino: da un lato la Pigna, dall’altro il porto, le ville, le spiagge, da un lato il podere di San Giovanni, dall’altro il cinema, la città piena di cose da scoprire e l’orizzonte da esplorare. Calvino non si sentiva attratto dal mondo del padre, andava piuttosto verso la “vegetazione delle frasi scritte”, come dichiarò nel 1980 a Gran Bazaar.

L’idillio ligure si lacera bruscamente con la guerra partigiana. All’esperienza in montagna sono dedicati tanti documenti, in un passaggio che vi si ricollega naturalmente: sarà Calvino stesso a dire che quell’esperienza fu legata anche tanto al paesaggio. In effetti, nei primi anni Quaranta, il nostro è un giovane partigiano e scrittore in erba. È bellissimo, davvero emozionante, che in mostra siano esposti alcuni numeri dei giornali su cui scriveva (ne parlavo qui a proposito di Resistenza), come Il Garibaldino e La nostra lotta. Il reperto più emozionante, per me, è stato l’originale del Politecnico del 10 dicembre 1945 dove è contenuto il reportage di Calvino “Liguria magra e ossuta” che segnò grazie a Vittorini il suo debutto su un periodico nazionale. È forse uno degli ultimi ganci diretti con una Liguria conosciuta e vissuta, Calvino non edulcora nulla di una terra difficile, agricola, aspra, teatro della lotta partigiana.

In “Forestiero a Torino”, del 1953, Italo fornirà di sé un primo dei tanti piccoli camei autobiografici apparentemente camuffati. Dirà infatti di sentirsi “Pesce di scoglio e uccel di bosco, trapiantato tra i portici torinesi a fiutare nebbia e algori subalpini”. Il tempo accelera dopo la fine della Guerra, come raccontano le tante biografie e le ricostruzioni (qui parlavo di una bella biografia, mentre qui di Italo, di Ernesto Ferrero) Calvino torna a Torino per finire l’università e nel frattempo riesce a entrare all’Einaudi. Sono anni densi, frizzanti, da abile “scoiattolo della penna” lui si arrampica tra i rami del mondo editoriale per diventare Calvino come lo conosciamo. Tutto ciò che ha visto e vissuto filtra nei suoi articoli e finirà nel Sentiero. Ma anche in un fenomeno di cui ho parlato a proposito della parallela mostra genovese, i Cantacronache, per il quali Calvino scrive canzoni tra le quali la famosissima “Oltre il ponte”, che accompagna il percorso in mostra.

Un autore tra parentesi

Mentre si infittiscono le esperienze einaudiane Calvino… Diventa Calvino. Tra i progetti editoriali storici e più documentati in mostra alle Scuderie ci sono il Notiziario Einaudi, il famoso bollettino delle uscite curato da Calvino, che era in realtà un vero e proprio volume ricco di saggi e scritti. Non lo avevo mai visto dal vivo. E ci sono anche gli originali del Menabò, rivista realizzata con Vittorini, e alcuni esempi della collana Centopagine, uno dei suoi ultimi progetti, di cui avevo visto la collezione in mostra a Milano. Sono bellissime le foto con i colleghi dell’Einaudi: uomini che hanno fatto grande l’editoria in Italia, spesso sorpresi in istantanee naturali, oppure nei “famosi” ritrovi in montagna organizzati da Giulio Einaudi di cui con tanto affetto ha raccontato Ernesto Ferrero.

Quello che il percorso mette bene in evidenza è un atteggiamento di Calvino molto particolare. Lo scrittore infatti ha sempre prediletto il nascondimento (il guscio di conchiglia ipotizzato da Scarpa serve proprio come rifugio e protezione, e al contempo costruzione di sé). Se ne parla come di autore tra parentesi (“come scriverei bene, se non ci fossi” dichiara uno dei suoi alter-ego in Se una notte d’inverno un viaggiatore, lo scrittore Silas Flannery), eppure in questa mostra abbondano foto e ritratti non solo privati ma usciti su giornali e riviste nel corso di una carriera sfolgorante. Tanto che, ne deriva Barenghi, Calvino è lo scrittore al contempo più sfuggente ma più ubiquo e più fotografato.

In mostra si trovano anche, a proposito di ritratti, i quadri che dipinse per lui Carlo Levi. Meriterà dire che so da anni della presenza, ad Alassio, nella Pinacoteca Levi, di uno di questi quadri. La pinacoteca è stata inaccessibile a lungo, non appena l’hanno aperta, quest’anno, avevo la febbre e non sono riuscita ad andare, e subito dopo il quadro è partito per Roma. Dunque alle Scuderie del Quirinale ho potuto vedere un lavoro che avrei avuto a poca distanza da casa: ad Alassio Carlo Levi amava soggiornare, e lì spesso andava a trovarlo Italo Calvino. Da questi episodi prende ispirazione Marino Magliani per il suo Il bambino e le isole. In occasione di questi incontri (di cui Italo scrive a Chichita nelle lettere pubblicate nel 2023), ogni anno Levi faceva a Italo un ritratto dipinto, in totale la serie ne conta 9, incluso quello che tornerà ad Alassio, e vanno dal 1959 al 1965, a testimoniare un rapporto di amicizia interrotto solo dal fatto che in quell’anno la famiglia Calvino si trasferisce a Parigi.

Se dunque Calvino voleva cancellarsi, qualcosa deve essergli sfuggito di mano: oltre ai ritratti di Levi infatti in mostra si possono ammirare meravigliose foto di Salgado, alcuni autoritratti che lui stesso schizzava da ragazzo, e poi celebri illustrazioni di Tullio Pericoli, ma addirittura copertine di Vanity Fair!

Dentro una biblioteca da guardare

Ma i libri? Ci sono, ci sono anche loro e sono anzi tantissimi in questa mostra. Alcune prime edizioni occhieggiano dalle bacheche: la loro centralità è esplorata grazie al legame pressoché costante che intrecciano con le illustrazioni di copertina. Si entra nel “favoloso mondo”, dunque: la mostra, al di là della mia lettura personale, è infatti anche e soprattutto un viaggio nel rapporto di Calvino con la dimensione del visivo, con lo sguardo, dunque con l’immaginazione. Tra progetti realizzati con Luzzati o Scialoja compaiono manoscritti vergati con quella scrittura blu piccola piccola, che si arrampica sulla pagina, e fa eco alle copertine delle prime edizioni dei volumi, con le illustrazioni di Marcovaldo, con i progetti mai realizzati del Teatro dei ventagli.

E poi si sale al piano superiore, dove l’immaginazione si prende tutta la scena. È qui che, seguendo il percorso cronologico che accompagna tutta la mostra, aumentano gli intrecci con tanti artisti dai quali Calvino era affascinato e dai quali prese spunto, oppure con i quali collaborò. È un po’, come dicono i critici, una “avventura dello sguardo”: in mostra ci sono tutte le tappe e le ispirazioni che hanno accompagnato la riflessione e gli interrogativi costanti di Calvino sul rapporto tra uomo e realtà. Ci sono prospettive, punti interrogativi, ma anche vagonate di suggestioni vibranti con le quale entrare nella mente, ripensare la memoria, e a come guardarci intorno. Insomma, razionalità e fantasia, che sono poi le due facce del “dimezzato” (o raddoppiato, come piace dire a me) Calvino, autore che, dalla sua parentesi che in realtà era una terrazza, ci ha lasciato un’opera multiforme, favolosa, appunto.

Ci si tuffa letteralmente nelle ispirazioni artistiche: Giorgio de Chirico, Domenico Gnoli, Luigi Serafini, Enrico Baj, e poi ancora Fausto Melotti, Giulio Paolini, Saul Steinberg. A molti di questi artisti Calvino ha dedicato scritti, dalle opere di altri si è lasciato suggestionare, e poi ci sono opere ispirate a Calvino stesso. Io ho amato il «veridico ritratto del signor Palomar» di Daniel Maja. C’è anche un inedito appositamente realizzato da Giulio Paolini, artista che ha un ruolo speciale in questa mostra non solo per la Luce d’artista, ma anche per con l’occasione del centenario la casa editrice Electa ha ristampato Idem, un suo libro ormai introvabile (uscì nel 1975 nella collana Einaudi letteratura). Il saggio è famoso perché l’introduzione è firmata Calvino: si tratta del testo “La squadratura”, riflessione sul rapporto tra dipingere e scrivere che ho tanto letto e usato per i miei studi. La nuova versione ospita, cito dal comunicato stampa, “il testo originale, una versione più ampia e inedita del testo di Calvino, due saggi a firma di Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa, rispettivamente dedicati al rapporto Calvino / Paolini e alle vicissitudini legate alla collana Einaudi Letteratura”.

Nella meraviglia tra linguaggi, visioni e interrogativi  

Si arriva così al mondo delle Cosmicomiche, alla voce ineffabile di Qfwfq. La fanno da padroni in questa sezione di mostra i rimandi tra la passione per le mappe di Calvino e per la descrizione (praticamente un distillato della mia tesi). Ho molto amato che si sia scelto di mostrare la mappa lunare di Gian Domenico Cassini, astronomo alla corte del Re Sole, personaggio cui era intitolato il liceo di Calvino, a Sanremo, e che proprio alle spalle di Sanremo, sulle alture di Perinaldo era nato. Mi è sembrato un altro di quei segni che tutto si tiene: dai miei studi ai libri che ho scritto, fino agli eventi che propongo, come l’approfondimento dedicato a Calvino e alla luna realizzato con il Planetario di Imperia ad agosto e dicembre 2023.

E poi c’è il periodo oulipiano: cose per mandarmi in sollucchero. È in questa sezione che si trova l’immagine guida della mostra, il San Giorgio di Carpaccio, figura che Calvino usa nel Castello dei destini incrociati accostandola a San Girolamo, insieme ai tarocchi e a una scacchiera gigante. Menzione speciale per i documenti e gli originali dedicati alla descrizione del periodo oulipiano. Siamo pur sempre su un sito che si chiama A contrainte e un motivo, come dico sempre, c’è. Alle Scuderie del Quirinale è possibile vedere l’originale della Canzone del polistirene, tradotta dal francese di Queneau con l’aiuto anche di Primo Levi: è stato uno degli ultimi lavori completati da Calvino prima di morire, e ne esistono pochissime copie!

Viaggi e arte sembrano celarsi dietro tante ispirazioni delle Città invisibili, di Palomar e di Collezione di sabbia: si ritrovano tutte tra opere di Melotti, De Chirico, Baj, e le foto dei viaggi in Messico, Giappone, New York… Fino ad arrivare alla fine, con una nuova opera di Palini che nasce per questa mostra. È un approfondimento sullo sguardo di Calvino e sembra dire che “imparare a guardare con occhi diversi è il presupposto per cambiare il mondo – o quanto meno, per salvaguardare la capacità di farlo”.

Ancora un pezzetto

Non potrei non citare il bookshop di questa mostra perché praticamente ne è parte integrante. Non so davvero quale lavoro poderoso sia stato fatto, ma vi si trovano tutti, e dico tutti e più, i libri che fanno da riferimento per la bibliografia di questa mostra. I testi di Calvino, le nuove edizioni e i testi critici usciti quest’anno, ma anche una selva fittissima di “libri degli altri” che hanno accompagnato il cammino di scrittore ed editore di Calvino. Non potrei menzionarli tutti: c’è il mondo, il mondo intero da guardare con gli occhi brillanti per la profondità e la vastità che rappresenta. È anche da questa biblioteca che si intuisce la grandezza di Calvino: con ciascun autore e libro presente al bookshop ha avuto a che fare.

Io mi sono emozionata tantissimo per la sezione dedicata all’Oulipo: ci sono libri solitamente introvabili in commercio, incluso un pezzo da collezione, il Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau, una macchina-per-la-letteratura potenziale di cui ignoravo esistesse una versione concreta, fatta di carta. Lo pubblica Gallimard, e io sono affascinata da tutto questo.

Altra postilla. Electa, che organizza le mostre Favoloso Calvino e Calvino cantafavole a Genova, pubblica i cataloghi di entrambi i progetti e una serie di volumi ulteriori. Oltre al già citato Idem di Paolini c’è infatti anche Calvino A-Z, a cura di Marco Belpoliti, dove sono riunite 146 voci affidate a 56 autori: una sorta di mappa per entrare nel mondo-Calvino, nei suoi libri ma anche nei temi, nelle idee, nelle vicende della sua vita di scrittore. Ultimo libro per Electa, Il dubbio e il desiderio. Eva Mameli Calvino, dedicato alla figura della madre di Calvino, scritto da Silvia Bencivelli.

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Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!