Nei lunghi giorni (e notti!) del Festival di Sanremo 2024 ho fatto avanti e indietro dalla sala stampa a casa in treno leggendo un libro che mi sembrava piuttosto centrato con i temi. Ariston. La scatola magica di Sanremo (Salani, 2024) è un’appassionata e curiosa storia del teatro più famoso d’Italia frutto del lavoro intrecciato dell’attuale proprietario, Walter Vacchino, e di Luca Ammirati, che è uno scrittore di romanzi ma anche il responsabile della sala stampa dell’Ariston stesso. Per arrivare a raccontare al meglio questa storia e i suoi tantissimi protagonisti faccio un giro un po’ largo e torno indietro all’inizio di febbraio però, quando nei giri vari e di corsa per la città ho deciso di condurre una microscopica indagine in libreria per sondare il rapporto tra il fenomeno Sanremo e le pubblicazioni dedicate.

Non mi ha stupito scorgere in tutte le vetrine delle librerie di Sanremo, durante i giorni gremiti del Festival, la copertina del testo di Vacchino e Ammirati con la scritta iconica “Ariston”, sotto la quale a Festival finito ormai da 10 giorni ho visto ancora persone farsi fotografie. C’è qualcosa che attira, in quel teatro. E mi sorprende ogni volta che me ne accorgo, perché per me l’Ariston è una cosa “di casa”: è normale arrivare in centro e passarci davanti, è normale andarci al cinema, oppure a vedere uno spettacolo o un concerto (io stessa ci ho visto Paolo Conte, Herbie Hancock, Stefano Bollani, Mario Biondi e un sacco di serate del Premio Tenco). È normale che ci sia l’Ariston, che sia a Sanremo: fa parte del “panorama”. Un panorama che è per moltissime persone italiane e non solo ancora una specie di sogno in cartolina, la Riviera del turismo esploso con il boom del secondo Novecento, la città dei fiori, della serenità, del clima piacevole e degli eventi mondani. Pallini gialli di mimosa, strelitzie in fiore già a febbraio, vip a frotte, a portata di mano, e collezione di dischi da imparare a memoria, vestigia di un clamore che oggi, nel rumore perpetuo dei social e della contemporaneità, ci appare sopito. Eppure.

Eppure poi riparte il macchinario stratosferico di Sanremo e ci rendiamo conto che quella Riviera dei fiori da cartolina non è per niente appassita. Mi guardo intorno curiosa: la Riviera e la sua storia le ho studiate parecchio a fondo, ne ho raccontato pagine grandi e piccole nella guida che ho scritto per Emons, ho incontrato le sue contraddizioni e i suoi lati nascosti, e dunque tutto questo riesco a leggerlo bene. È una miscela di opposti e stridori: è vedere la targa di Italo Calvino stinta e relegata a un angolo nascosto mentre subito dietro impazzano i truck delle radio con i loro gadget e tormentoni, è incontrare personaggi bizzarri in abiti da sera alle 10 del mattino davanti al Casinò, entrare nelle librerie e sentirsi narrare qualcosa di impalpabile ma chiaro per chiunque viva questi posti tutto l’anno.  

Nella profondità delle storie e dentro l’Ariston

Durante la mia piccola indagine nelle tre librerie del centro città nella settimana del Festival, mi sono sentita raccontare più o meno la stessa storia, e cioè che la città era invasa di persone, il traffico bloccato e molte le scomodità per i sanremesi, che tuttavia se ne fanno una ragione, e che è forse per questo motivo che si registra un’inflessione dei clienti proprio in quella settimana. Insomma, i clienti storici, del posto non osano andare in centro e tanto meno fendere le folle per raggiungere la libreria, e le persone che arrivano da fuori sono a Sanremo per vip, selfie, cantanti… Non certo per dedicare momenti all’approfondimento e alla lettura. Unica eccezione che mi è stata segnalata: alcuni giornalisti, in particolare stranieri.

Questa piccola anomalia rispetto al canone registrato tra gli scaffali delle librerie mi ha un po’ consolata: significa che qualcuno ha ancora voglia di approfondire, e sa che i mezzi per farlo sono spesso quelli di una buona libreria. Mi è stato raccontato dai librai che c’è un’attenzione costante, da parte loro, a proporre filoni tematici che sono dedicati al Festival, alla canzone italiana (la selezione della libreria Garibaldi era molto ghiotta, vedi foto sopra), senza perdere di vista Calvino, anche dopo il centenario. Del resto è lo scrittore della città, questo se lo ricordano in pochi in mezzo al chiasso festivaliero. Sarà giusto così? Chi può dirlo: la macchina mediatica detta le regole, ma è pur vero che a Sanremo non c’è solo l’Ariston, e che anche l’Ariston non è solo quello che vediamo in tv.

Questo teatro, che domina il centro con la sua imponente costruzione, è una scatola magica, come ben esplicitano Ammirati e Vacchino. Dentro si è visto di tutto dal quel 1963 in cui inaugurò ufficialmente. Prima ancora di essere un teatro è un progetto architettonico che si incastra nella grande voragine generata dalla distruzione, durante la guerra, del teatro Principe Amedeo. La storia della famiglia Vacchino, però, parte ancora prima: nel libro se ne seguono le tracce fin dai primi cinema cittadini, gli stessi dove andava Italo Calvino di nascosto. Erano sale storiche, una di queste esiste ancora (il Cinema centrale), delle altre si possono ricostruire le vicende con le parole di Vacchino su suo padre, con le foto accluse al libro e con le emozioni che ripensare a un’epoca di pellicole infiammabili e sale gremite può restituire.

Tutto il mondo è passato per Sanremo

L’Ariston nasce come cinema e teatro per volontà del padre di Walter e Carla, Aristide – un nome che non a caso risuona con Ariston – un progetto per una città che voleva valorizzarsi attraverso il turismo, attirando pubblico e proponendo cultura, spettacolo, attrazioni. Nel tempo è cambiato, si è allargato, ha modificato la sua struttura e ha accolto tantissimi artisti, spettacoli e situazioni diverse: nel libro si possono inseguire gustosi dettagli che vanno di decennio in decennio, da quel 1963 dell’inaugurazione, osteggiata da alcune parti ma talmente necessaria da diventare fondamentale per il Festival di Sanremo, alla pandemia, l’unico anno in cui il Festival andò in scena senza pubblico.

Ma mentre Sanremo con le sue canzonette seguiva le mode, le idee della Rai, stagioni più o meno fortunate, succedersi di presentatori e direzioni artistiche caratterizzate da scelte musicali, vallette, ospiti clamorosi (i Duran Duran fatti allontanare dall’Ariston in ambulanza per non avere problemi con le folle, Madonna che ordina un buffet gigante per poi dare una ditata nel gorgonzola e basta, e altre amenità un po’ surreali in pieno stile vip), sulle assi di quel palco succedeva anche altro. Incontri internazionali di boxe, persino messe religiose, grande balletto, e poi il Premio Tenco. Contraddizione bellissima, quella per la quale sullo stesso ambito palco si esibiscono i principi della canzonetta commerciale e i cantautori. E questa, sì, è una storia che raccontiamo i 111 luoghi della Riviera dei fiori che devi proprio scoprire, perché è davvero troppo bella.

“L’Ariston è sempre stato in grado di cambiare pelle e adattarsi al tipo di manifestazione che deve ospitare – mi racconta Luca Ammirati – sa farsi più grande, piccolo o più bello e vestirsi a festa in base a ciò che propone in cartellone: è una caratteristica che arriva dalla grande versatilità della famiglia proprietaria, che ha sempre cercato di prevenire le criticità o le nuove  esigenze portate dallo spettacolo. Il Festival in questo è paradigmatico: diventa sempre più grande e c’è sempre maggior necessità di spazi e soluzioni, anche quando si tratta di costruire grandi scenografie. Gaetano Castelli, che ho intervistato per il libro, si assume sempre rischi e raccoglie sfide pazzesche, ma Vacchino non ha mai detto di no, anzi ha sempre chiesto di cosa avesse bisogno per esprimere al massimo la sua creatività. Lo stesso per quanto riguarda la sicurezza: è sempre stato il primo a proporsi ai Vigili del Fuoco per conoscere le nuove norme e poter anticipare le necessità. Questa caratteristica non esaurirà mai: l’Ariston è anche uno dei primi teatri che sta cercando di evolversi da luogo fisico a virtuale per accontentare i giovani e avvicinarli con lo smartphone portandoli a teatro. La volontà di innovarsi e ricrearsi è continua: sempre nel connubio tra tradizione e innovazione che è anche la formula vincente del Festival”. 

Una storia di famiglia e spettacolo

Con Luca Ammirati abbiamo fatto una lunga chiacchierata “ferroviaria”, mi ha raccontato che per lui, da bambino, l’Ariston era essenzialmente il cinema: “era la fabbrica dei sogni, mi ricordo in particolare i grandi film di Natale Disney: su quello schermo gigante sognavo a occhi aperti. Poi uno cresce e diventa consapevole: andando in giro capitava di dire che ero di Sanremo e la domanda che subito arrivava era legata al Festival e all’Ariston. Per il tipo di carriera che ho fatto, che si è evoluta con la scrittura di romanzi, in maniera illusoria o superba, a seconda dei punti di vista, ho sempre un po’  pensato che la grande energia di tutte le persone che sono passate dal palco dell’Ariston sia rimasta intrappolata nelle assi. Siccome quel palcoscenico ha cambiato la vita veramente a tantissimi artisti, mi piace pensare che un po’ di quell’energia positiva sia rimasta imprigionata e sia stata trasmessa anche a me, permettendomi di coltivare i miei sogni e vederli realizzati”.

Ci sono tante storie dentro questo teatro, e tutte partono dal sogno di Aristide, dalla sua volontà, da una famiglia. Luca Ammirati ha lavorato fianco a fianco con Walter Vacchino e sua sorella Carla, raccogliendo testimonianze che, come mi ha raccontato lo stesso Walter, si sono scoperte reciprocamente inedite, rivelando così una scatola magica dentro la scatola magica, quella di un racconto familiare, appunto. Ma non ci sono solo le testimonianze dei due fratelli figli di Aristide in questo lavoro, dove sono confluite interviste agli artisti: “ci parlavano sempre tutti di meraviglia, di un ricordo legato all’Ariston, di un momento importante vissuto lì dentro – racconta Ammirati – ho sempre pensato, da cacciatore di storie, che questa fosse una storia da raccontare, e sono felice che dopo che l’Ariston che si è sempre potuto guardare in tv, dopo quello che si è ascoltato grazie a tutte le canzoni famose, oggi si possa anche leggere entrando in libreria. È una storia meno nota al grande pubblico: è il sogno visionario di Aristide Vacchino, un teatro che, dopo che il teatro comunale era stato bombardato durante la guerra, convergesse nell’ideale di una struttura talmente grande e prestigiosa da raccogliere un gran numero di pubblico e grandi manifestazioni per far volare il nome di Sanremo nel mondo”.

Volare, sì, come cantava Modugno. Chissà cosa direbbe Aristide Vacchino oggi, mentre la gente si accalca fuori dal suo teatro, che ha quell’insegna così riconoscibile (è ancora quella originale anni Sessanta). Certo, è la realizzazione di un sogno. Ma la cosa strana, forse magica, è che è riuscito a diventare il sogno di una grande fetta di pubblico italiano, di molti di coloro i quali, se entrassero in libreria e trovassero le cartoline di Sanremo e della Riviera, ne andrebbero matti (parola di librario, attento lettore della realtà sanremese). Sanremo, del resto, vive di emozioni. Sono le stesse che si ritrovano nell’esperienza di Luca Ammirati, che mi rivela che per lui questo libro è un po’ una congiunzione: “perché va a unire le mie due anime: ecco perché è emozionante. Come lo è rendersi conto di essere una rotellina di quell’ingranaggio enorme che è il Festival, dove si respira quell’atmosfera elettrica, di storia pulsante del nostro spettacolo, della nostra cultura e del nostro costume”.

Perché Sanremo è Sanremo: soprattutto all’Ariston

Una storia che all’Ariston è vicenda quotidiana: tra camerini, fotografie, locandine… “Tutto questo fa sentire una certa responsabilità storica, e l’ho sentita anche io nello scrivere il libro – mi dice ancora Luca – è come custodire un patrimonio di un’entità culturale non indifferente, fatto di voci e testimonianze importanti. È qualcosa che ho sentito mio, è la scatola magica che consente di sognare”. Forse è lo stesso sogno che ha fatto del giovane Carlo Conti cronista radiofonico negli anni Ottanta in cerca di interviste a Sanremo, il direttore artistico del Festival negli anni duemila.

I ricordi, dentro le pagine del libro, sono veramente tanti, uno più gustoso dell’altro. Per questo ho chiesto di snocciolarne quqlcuno a Luca Ammirati, che per ragioni ovvie di età anagrafica ha vissuto intensamente gli anni più recenti, ma che è un interessante testimone sia come spettatore che come addetto ai lavori. Mi racconta che scrivere il libro è stato un viaggio speciale anche per lui, che ne ha sentite di ogni sulle grandi star: “ci sono storie che sono rimaste più impresse di altre, ma in generale non mi stupiscono: sono clamorose, ma adesso che sono dentro al Festival mi rendo conto della macchina enorme e dinamica che è e del suo effetto un po’ frullatore. Chi ci lavora dentro vive come in un vortice che travolge, quando ci sei fai veramente fatica perché le cose succedono da un momento all’altro. Non  esiste nessun altro programma che va in diretta per così tante ore e così tante sere”.

Va da sé che succeda – come ben sappiamo – di tutto e di più. Il caso Bugo-Morgan è tra i ricordi dello stesso Luca, che mi racconta lo shock iniziale, quando ancora la faccenda non era chiara, e poi il divertimento. Un altro suo ricordo è legato a Francesco Gabbani, vincitore nel 2017 con “Occidentali’s Karma”. Gabbani arrivava dalla sezione nuove proposte e non era granché considerato, se non che il suo brano progressivamente prese piede in sala stampa dove, ricordo anche io che ero lì, si ballava e si improvvisavano selfie con le maschere da gorilla che ci erano state regalate dallo staff dell’artista. Finché poi non vinse il Festival, acquisendo così tanta fama da dover esser protetto da un cordone di sicurezza per arrivare in sala stampa. “Sul 2024? È stata una grandissima emozione trovarsi davanti Russell Crowe – mi confessa infine Luca – “Il gladiatore” è stato uno dei miei film preferiti, rappresentava i miei 17 anni, e vedere un mito del genere nella tua città è stato impagabile”.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!