Anni fa avevo iniziato Treno di notte per Lisbona: non era periodo, si vede, ma non sono mai andata oltre le prime 30 pagine. Leggere Pascal Mercier, in effetti, non è banale come bersi di filato un libro leggero. Ho sperimentato nuovamente questa sensazione con Il peso delle parole, un bel librone pubblicato da Fazi Editore che mi aveva affascinata per la copertina, un quadro fatto di azzurri e di uno scorcio inconfondibile per chi l’abbia visto di persona: il Molo Audace di Trieste. Sotto a uno dei tipici lampioni della città cosmopolita per eccellenza passeggia un uomo.

Scopriremo presto, dalla prima pagina, che si tratta di Simon Leyland, che di mestiere fa il traduttore. Il libro si apre con il suo arrivo a Londra dove viene accolto con un “welcome home”: cosa c’entra Trieste, dunque? C’entra, c’entra. Adagio adagio il lettore conosce questo strano personaggio affascinato da una cartina geografica del Mediterraneo di cui vorrebbe aver imparato tutte le lingue. Londra, Trieste, parole e lingue. Le metafore che sceglie Mercier per portarci dentro la vita del protagonista, circondato via via da personaggi scolpiti tanto da restare indimenticabili, sono perfette e affascinanti. Londra, la città del melting pot, eppure così inglese; Trieste, la città del confine, di Joyce e Svevo, che pure scelse di chiamarsi Italo, perché siamo pur sempre in Italia. E le parole: traghetti tra culture, pensieri, strumenti con cui leggere e interpretare il mondo.

Di letture e di scritture, sguardi, voci e interpretazioni del mondo ce ne sono in abbondanza in queste quasi seicento pagine: la vita di Leyland non potrebbe non ruotare intorno alle parole, non solo perché fa il traduttore ma perché ha un legame intenso e speciale con una casa editrice. Leyland, di fatto, legge ed entra nelle lingue altrui meglio e più a fondo di persone estranee al suo mondo e modo di vivere. Sarà questa dote a spingerlo a una meditazione profonda che consegue a un episodio crudele che gli capita quasi per caso. La realtà si trasforma, le parole hanno il potere di cambiarla radicalmente. Cosa fare? E come se ne esce?

Sul tempo e la casualità

Il peso delle parole è un romanzo pieno di domande generate da un incidente paradossale eppure pesantissimo, capace di rivoluzionare la percezione del tempo per il protagonista. Nel filo dell’esistenza arriva un nodo improvviso, e si è costretti a scegliere delle direzioni nel caos dell’esplosione, annichiliti dall’improvvisa interruzione di un filo che scorreva come automatico. È forse casualità, quella del destino dell’uomo, oppure è una consequenzialità che ci porterà tappa dopo tappa a noi stessi? E che ruolo hanno le possibilità nello snocciolarsi di questa trama? Leyland non fa che domandarselo, e inizia uno scavo dentro se che, mano a mano che la vicenda si ricompone cronologicamente per noi lettori, lo assedia, lo calma, gli fornisce slancio e dubbi. Leyland, in fondo, non fa che tornare a vivere dopo un trauma gigantesco.

Il suo elaborare procede dalla propria interiorità alle relazioni con gli altri. Leyland è un traduttore e ha sempre vissuto dentro la lingua scritta, nella sua perfezione cristallina. All’improvviso quel mondo di carta si attiva: la lingua esce, e parla, è la vita che avvolge, colpisce, spaventa. Cosa succede quando i libri diventano realtà? Anche l’impensabile, che rivoluziona tutto e mette in discussione le certezze, la propria persona in relazione al mondo, il rapporto con il tempo, che non torna mai indietro, con lo spazio che si dilata e nel quale possiamo sentirci spezzettati. E poi il nostro rapporto con le persone.

La casualità che si abbatte su Leyland si ripercuote su chi gli sta intorno: i figli, Sophia e Sidney, i colleghi, ma soprattutto un ventaglio di straordinari comprimari che in questo romanzo emergono come piccole gemme. Ci sono Kenneth, il nuovo vicino di casa, Pat, il ristoratore-cameriere, Andrej, traduttore che porta dentro sé un trauma altrettanto grande. Sono loro a circondare Leyland, tendergli la mano o prendere la sua: tutti fanno rete, ed è in fondo la rete vitale salvifica per il protagonista, sperso nella tempesta che nella mezza età ha rivoluzionato la sua vita.

Di ponti e traghetti per tornare a casa

Tradurre, ho sempre pensato e mi hanno sempre insegnato, è traghettare da una lingua all’altra il prezioso carico del senso. Il traduttore è un affascinante professionista che funziona come un ponte: ponte tra codici, tra culture, tra universi. È un lavoro impegnativo per persone che in qualche modo abbracciano più modi di stare al mondo, ma forse non ne abitano nessuno. È quello che succede al nostro Leyland: inglese, poliglotta e curioso di tante lingue, che all’improvviso si trova sospeso nella modalità tipica del traduttore, ma questa volta non tra lingue, bensì tra passato e futuro, in una terra inesplorata che lo inchioda alla domanda delle domande: chi sei, tu, e cosa vuoi dalla vita?

Il rovello del traduttore passa dalla pagina alla strada: Leyland cerca tregua a Londra, ma mantiene un intenso legame con Trieste, città che ha visto fiorire la sua famiglia, e dove conserva tante solide amicizie. È un rovello, una domanda pungente: dove collocarsi? Che voce – che lingua – usare? Come tutte le lingue di cui è vorace, anche le geografie sono tutte le possibilità che all’improvviso la vita sembra offrirgli con estrema generosità. Ognuna ha sfumature, pro e contro, ognuna è un mondo da abitare, e Leyland non sa quale scegliere, perso com’è nella ricerca di sé.

Ci sono un sacco di trasporti dentro Il peso delle parole, e forse non è un caso. I traghetti fanno avanti e indietro tra Trieste e Muggia, e poi la metro, la Tube di Londra che così tanto piace a Leyland, e ancora treni, e tanti aerei. Per trovare se stessi bisogna viaggiare, a questo servono i mezzi: a tornare a casa. Ma dov’è questa casa, dov’è il tetto del presente per Leyland? A Londra, dentro un libro? Nei ricordi che ha vergato su lettera, o a Trieste dove si avvicendano le vite e le scelte dei suoi cari? Forse la casa è più vicina di quanto crede: dentro di sé, nel suo presente improvvisamente ancora vivo e pieno di possibilità.

Trovare le parole giuste

Leyland è un cercatore di parole. Dotato di una rara sensibilità linguistica, infarcisce Il peso delle parole – titolo che ben esprime le intenzioni della trama – di riflessioni sul lavoro della traduzione, un tema che personalmente mi ha da sempre affascinata, dalle versioni di greco e latino alla vicenda di un romanzo come I fiori blu di Queneau. Le lingue, Leyland lo sa bene, distinguono per tono, stile, melodia e ritmo ciascuna persona. Sono la voce, la voce di ognuno. Ma Leyland non sa come suona la propria.

Nessuno legge tanto in profondità quanto un traduttore: e quando è il traduttore stesso a rileggersi? Intorno alla frattura che dà origine allo sviluppo narrativo di questo romanzo, si snoda una lunga, tormentata, complessa ma anche leggera riflessione di Leyland su di sè: sui cambiamenti, sul proprio posto nel mondo  e nei confronti degli altri. Una ricerca nelle parole, che dura fintantoché il protagonista non si (ri) trova.  È anche questo lo scopo della sua ricerca, una ricerca che è fatta di viaggi, di persone, di nuovi inizi, di scrittura e traduzioni. Sono tante le lettere che il lettore incontra: Leyland all’inizio le legge perché le ha scritte alla moglie in un momento particolare. Passata quella fase, si rende conto tuttavia che sono un modo perfetto per imparare ad ascoltarsi: mettersi su carta, trovare la propria voce dietro i pensieri e la loro organizzazione narrativa. E dunque continuano, flussi di pensieri che ci restituiscono la sua idea del mondo, il suo progressivo osservarsi mentre è attraversato da emozioni inedite, tra paura, speranza, gioie e dubbi. Una sorta di terapia della scrittura grazie alla quale si avvicina a se stesso.

E poi c’è la traduzione. Mi ha colpito molto, e lo trovo di una bellezza struggente inserito nel contesto di questa storia, che il libro su cui Leyland è impegnato nel passaggio da italiano a inglese sia Il mestiere di vivere, il diario di Cesare Pavese, che inizia così: “è bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, a ogni istante”. Un suggerimento perfetto per Leyland, per la sua nuova condizione che, frastornato e ancora emotivamente scosso com’è, gli impedisce di trovare una meta e lo schiaccia in rimbalzi tra presente e passato, con idee fumose di futuro. Il tempo muta ancora, deve ristabilizzarsi lungo tutte le pagine, progressivamente. Intanto Leyland si cerca, seleziona tra le possibilità della propria vita esattamente come fa il traduttore con le parole, costruisce dalle sue scelte le tracce della propria voce.

“L’alfabeto intimo della fantasia”

Il peso delle parole è la storia di uomo che davanti alle proprie certezze sbriciolate ha bisogno di tempo per capire, di scrittura, di amicizie. E quando quest’uomo è un traghettatore di parole, la ricerca non può che essere intrisa di riflessioni davvero profonde, di estrema delicatezza, sull’arte (il mestiere?) di scrivere, e forse di vivere. È una ricerca che prende via via le forme di una giostra: tutti i personaggi salgono a bordo e preparano le rotte per la propria esistenza, si lasciano sedurre da suggerimenti e ispirazioni. A scatenarli è forse la rivoluzione che parte dallo stesso Leyland, una discesa dopo la china, costellata di dubbi e nuova come una pagina bianca di un quaderno appena aperto.

È un romanzo di grandi profondità, quello di Mercier, di orizzonti che sembrano perdersi come quello del Molo Audace di Trieste – ecco la copertina così azzeccata, così evocativa – un libro di lettori. Leggere libri è in fondo darsi la possibilità di vivere altre vite: cosa succede quando questa possibilità arriva nel mondo? Si trema, un po’: saltare il fosso diventa come attraversare – traghettarsi oltre, forse – un buio che disorienta, ma che poi libera, aprendo il cielo e permettendo all’improvviso di accorgersi di tante cose date per scontate.

Leyland deve capire cosa è successo, immergersi a fondo nella cesura che ha distinto la sua vita di prima da quella di ora e ritrovare una direzione. Per niente parliamo di senso: senso come strada orientata, senso come motivazione alla propria esistenza, senso come quello che tiene insieme lo stesso testo tradotto di lingua in lingua. Quando il senso cambia, all’improvviso e doloroso come un’esplosione, cosa bisogna fare? Ho trovato questa ricerca sottilmente delicata e intensa, intrisa com’è di letteratura e riferimenti al mondo editoriale, con un po’ di semiotica, un po’ di geografia. Mi ha affascinata la figura di Leyland, cittadino del mondo eppure perso, capace di comprendere moltissime lingue ma all’improvviso muto davanti al proprio futuro. Mi ha trovata – i libri, chi legge se ne è accorto di sicuro, sanno già tutto – solidale sullo stesso rovello che ingarbuglia la vita del protagonista: dove sentirsi a casa? Quale delle due città scegliere, se è poi il caso di scegliere? A volte il destino dei traghettatori di parole e di mondi è quello di restare sospesi, un piede di qua e uno di là. Si è qualcuno e qualcosa in ogni città, ma senza confini netti, senza separazioni, casomai con espansioni che di volta in volta danno una sagoma alla nostra essenza che viaggia e sta al mondo. Qui si riempie di parole e persone, si sente a casa in tutti i posti familiari, dove è certa di poter essere se stessa, dove noi possiamo immergerci e sprofondare così tanto in ciò che siamo da generare nuove scritture.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!