Add ultimamente non sbaglia un colpo. Ho pensato questo qualche mese fa leggendo “Sul camminare” di Annabel Streets, e poi l’ho ripensato con forza chiudendo l’ultima pagina di “Soli”, il saggio che il critico d’arte e scrittore tedesco Daniel Schreiber dedica a uno dei temi tabù della nostra società, la solitudine. Questo libro è e resterà, per me, una lettura preziosa, una chiave di volta, un libro che ha fatto cose. Mi ha accompagnata alla scoperta di nuove prospettive, mi ha commossa, ma soprattutto c’è stato, si è materializzato come una presenza, una carezza, una compagnia, e mi ha calato in sicurezza in profondità che non avevo ancora esplorato a dovere. Esattamente tutto ciò che sembrerebbe non appartenere alla solitudine, cioè un conforto, uno stare accanto, una comprensione e una presenza accogliente. Sono tutte sensazioni meravigliose e derivano da un libro: non credo sia una stranezza, solo la conferma  – l’ennesima e arricchente conferma – del potere di oggetti a forma di parallelepipedo fatti di carta, inchiostro e parole che usiamo chiamare libri e che a volte, come in questo caso, un po’ ci cambiano la vita.

Storia di una solitudine

La premessa era d’obbligo per anticipare che questa non è una recensione e non ha la pretesa di esserlo. Si tratta forse di un commento, l’entusiasta lettura di un volume che mi ha colpita fin banalmente dalla coloratissima copertina (che, diciamocelo, un po’ cozza contro l’idea buia e cupa di solitudine). Ho sottolineato tantissime riflessioni che in questo volume l’autore fa raccontando la sua storia. Uno degli aspetti che rendono “Soli” accattivante, all’altezza di ogni lettore e per questo un libro “amico” e non un saggio anonimo è infatti che non è solo un testo critico sulla solitudine, ma una storia. Una storia che vede Schreiber protagonista in prima persona poco prima del covid, durante la pandemia e dopo, in ripresa.

Partiamo proprio da qui: lo scossone al mondo che è stata la pandemia. È capitato, anche all’autore di questo libro, di finire per ritrovarsi solo. Prima che il covid ci costringesse chiusi in casa, privandoci di sfoghi sociali, di relazioni concrete, fosse anche solo un aperitivo o un cinema, curare il giardino di un’amica, incontrarsi e abbracciarsi, l’autore viveva una vita senza una relazione ma piena di amici e affetti che lenivano la mancanza quasi nascondendola, assopendola.

Poi è arrivato il terremoto che tutti ha stravolto e, come una gigantesca punta colorata di evidenziatore, eccola lì, si è presentata alla porta di chi era solo, al cospetto delle proprie forze e risorse: la solitudine ha marcato la sua presenza, autodichiarandosi e mangiandosi tutto il resto. Davanti a famiglie, relazioni affettive e legami stretti, il covid ha smantellato tante di quelle reti di amicizia che, al di là delle relazioni sentimentali, costituiscono il sottobosco della vita emotiva di larga parte delle persone. Ci siamo abbracciati stretti, tra le mura di casa, e chi non c’era è rimasto staccato, isolato: solo.

Questo è il punto più basso dell’esperienza dell’autore, che dalle considerazioni sulla propria situazione, sul fastidio, sulla solitudine, appunto, ha iniziato a riflettere. È stato lo spunto per il libro, che si è accompagnato a una ricerca personale fatta di scelte non sempre sicure, anzi di tentativi e fallimenti, ma anche nuove opportunità.

Scardinamenti e nuove idee sulla solitudine

Attenzione: non significa che l’autore, o chiunque altro si senta o sia sentito solo, deve rimboccarsi le maniche perché le occasioni arriveranno, si tratti di relazioni affettive o amicizie. No, l’andamento del percorso del protagonista sulla linea della storia “classica” non è questo. Qui c’è il primo scardinamento che mi ha fatto apprezzare tanto “Soli”: non deve per forza andare tutto come nelle favole. La vita è questo: casualità, a volte fortuna, o il suo inverso. Ed è dunque possibile, riscontrabile, essere sfortunati e non trovare il principe azzurro (con buona pace dei puristi dell’equità di genere: è una metafora che vale per ogni lei, lui, o indefiniti altri e altre) spezzando quell’ideale culturalmente inculcatoci sottopelle da quando nasciamo, quello “alla Mulino Bianco”, la famiglia felice, la vita che scorre pacifica e serafica in mezzo agli altri, aborrendo la solitudine.

Schreiber fa innanzitutto i conti con questa visione limitata e limitante della realtà oggettiva delle nostre vite. Sul limitata non mi soffermo: siamo dentro un’onda culturale di cambiamento e credo sia evidente il motivo per cui parlo di visione limitata, e poi la solitudine è da sempre anche prerogativa di creatività, per questo associabile a stati positivi. Sul limitante, invece, è utile dire qualcosa, riportando al centro di questa visione parziale non come ci vedono da fuori, ma come ci vediamo noi. Ecco: “Soli” è un bellissimo libro anche perché ribalta le prospettive. Non è un movimento del tutto naturale e richiede lo sforzo di uscire da alcune conformazioni sociali e culturali che a volte ci imprigionano la mente. Grazie a questo libro, il passo più in là si può fare con agilità, senza etichette né giudizi ad appesantire l’esplorazione. Ed è importante perché, come fece il Barone rampante di Calvino salendo sugli alberi, guardare da un’altra prospettiva allarga la visione e ci fa scoprire nuovi angoli.

In questo libro non c’è una ricetta contro la solitudine, casomai c’è la storia di un incontro con la solitudine: un riconoscimento, e un’esplorazione. Fino all’individuazione di una forma di comprensione, o meglio fino alla consapevolezza. Credo questa lettura abbia molto a che fare con la psicologia, che è un tema che ogni tanto mi capita di affrontare su questo blog grazie a letture che trovo di volta in volta interessanti (per esempio questa e questa di Damiani editore). Il libro di Schreiber è un po’ come un terapeuta: ascolta e accompagna, e compatisce, nel senso etimologico del termine, cioè prova le stesse nostre emozioni, e ci abbraccia, ci capisce, non ci giudica.

Dentro la solitudine

Ma ci avvisa: la solitudine non è cancellabile, fa parte della vita ed è anzi un’esperienza ineludibile con la quale dovremo sempre fare i conti, anche e soprattutto in un mondo che ci grida il contrario, invogliandoci a tuffarci nella mischia e dimenticare. Essere consapevoli è l’esatto opposto: avere coscienza della solitudine, conoscerla, esplorarsi nel rapporto con qualcosa che ci può far male, ci può graffiare, a volte anche in profondità, come racconta l’autore. Al contempo, essere consapevoli aiuta a maturare delle capacità: ascoltarsi, capire, e dunque agire per danzare insieme alla solitudine, facendola diventare parte della nostra vita. Una vita che non si arresta, non porta su di sé un cappello di infelicità e maledizioni, di tristezza perenne e fallimento. È una vita come tante altre vite, dedita magari alla cura e alla crescita personale, gli strumenti che l’autore rintraccia e che impara a usare per sé, per comprendere la propria solitudine, stringere con lei un patto di pace.

“Soli” è un libro di profondissimo conforto, di luce – i colori della copertina, ricordate? – una lettura che accompagna dentro un mondo di grande e intensa umanità, spesso ancora troppo relegato a giudizi morali o di merito. Essere soli fa parte della vita, è una constatazione per certi versi molto cruda, ma è vera. È un’esperienza che può ferire, affliggere, tormentare, può far disperare e lanciare addosso la sensazione di mancanza, di fallimento, di scacco nei confronti della vita. Ma può anche voler significare molto altro: focalizzare l’attenzione su di sé e lavorare per rinascere migliori ogni giorno, dotati della forza per contrastare il senso di vuoto che la solitudine ci cuce addosso, per sentirci soddisfatti, sicuri, aperti al mondo e nel mondo.

Non è una ricetta, lo dicevo: è un modo di guardare alle cose, una postura dello sguardo, e poi della mente. Necessita di allenamento, e di qualche buona guida, e questo libro è un ottimo inizio per mettersi al lavoro su di sé e curarsi, volersi bene, rispettarsi. È un libro che accompagna, e già per questo accarezza la solitudine di ciascuno e la fa premere di meno sul cuore. Un libro che sa leggere chi lo legge, fornendo non solo un esempio ma ampie riflessioni, riferimenti culturali e una mano tesa. È un libro di conforto, un bellissimo abbraccio sussurrato da uno sconosciuto, che è l’autore, il quale si materializza attraverso le parole in tutta la sua straordinaria umanità che vale quanto l’umanità di ciascuno di noi. Questo fanno i libri: mettono in connessione, aprono dialoghi. Insomma, ci rendono meno soli, e questo libro di Add me lo ha confermato con una forza rara grazie alla quale sarà difficile archiviarlo sullo scaffale senza tornare a sfogliare pagine e rileggere sottolineature.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!