Non c’era un programma definito, non ci avevo pensato e non l’ho fatto apposta. Sta di fatto che, cammina cammina, viaggia, leggi e studia, questo 2023, anno del centenario di Italo Calvino, mi ha permesso di toccare pressoché tutte le città in cui lo scrittore ha vissuto e, un po’ per caso un po’ per scelta, di scoprire, cercare, quasi sempre trovare le case dove ha abitato. Qualche tempo fa il collega Paolo Morelli del Corriere Torino mi domandava, come autrice di una guida letteraria, di una guida “reale” e addottorata in semiotica letteraria su Calvino, se a Torino esistesse una targa, un monumento, un “qualcosa” intitolato a Calvino.

Ci abbiamo ragionato insieme e abbiamo scoperto che no, non c’è niente di legato a Calvino che sia stato salvato dalla brulicante e vorace città e segnalato come “luogo letterario”. Paolo ha poi trovato spazi intitolati allo scrittore e ne ha parlato nel su pezzo Scrittori a Torino uscito su La Lettura del Corriere del 26 novembre 2023. Ma a me, dopo aver parlato della casa di Via Santa Giulia sul Po, dopo aver letto un sacco, ma davvero un sacco di letteratura critica su Calvino, e dopo essermi trovata a presentare insieme entrambi i miei libri perché, pur nella loro diversità, contengono un elemento comune che è proprio Italo Calvino, è rimasta un’idea.

Perché non cercare di ricostruire una piccola, incerta e acerba mappa delle case di Italo Calvino? Le informazioni e le foto che seguono sono tutte mie, di prima mano, con le fonti sempre citate, insieme a diversi approfondimenti.

A ‘mo di introduzione

L’idea mi è venuta tardi. È un tardi che va modulato su tempi più o meno lunghi. Per i tempi di Villa Meridiana a Sanremo sarebbe stato comunque troppo tardi: è stata venduta molto prima che nascessi. Per i tempi di Piazza Campo Marzio a Roma, invece, ancora mi rimprovero: ci sarò passata chissà quante volte, nelle altrettante incursioni che ho fatto a Roma da quando ero ragazzina, e siccome non sapevo che lì, fino al 2018, abitava ancora la famiglia Calvino (ovvero la moglie), non ho mai sbirciato sul citofono. Questo per dire che esigenze familiari, circostanze, o semplicemente la vita che scorre, hanno fatto sì che molte delle case di Italo Calvino non siano più, oggi, riconosciute come case di Italo Calvino.

A dire il vero, non c’è nessuna casa di Italo Calvino riconosciuta e “conservata” come tale, che io sappia. L’unico dubbio che mi è rimasto riguarda la villetta di Roccamare, a Castiglione della Pescaia: siccome la pineta dove si trova è inaccessibile poiché privata (e per capire di che tipo di situazione parlo invito a leggere Enigma in luogo di mare di Fruttero e Lucentini), non ho potuto indagare. Sono tuttavia certa che la direttrice della Biblioteca Civica di Castiglione abbia una risposta: mi ha raccontato lei stessa, a ottobre 2023, di esserci stata più volte in quella villa.

Insomma, ho letteralmente sfiorato tanti portoni, citofoni, cortili e finestre passando di lì per caso o cercando le tracce di Italo. Ne ho trovate davvero poche, di queste tracce, ma mentre cercavo ho preso treni, percorso marciapiedi, visto luoghi e città che già conoscevo e che ho guardato con prospettiva diversa, oppure scoperto posti nuovi. È strano come bastino due righe inedite, due collegamenti tratti da appunti presi sul quaderno studiando, semplici coincidenze, lettere e una quantità davvero inaudita di ostinazione a far sì che oggi, a dicembre 2023, io riguardi le foto sul telefono e intraveda il profilo di una mappa fatta di case e scritte, di voci e finestre. Sembra un po’ la mappa di un pellegrinaggio: il mio omaggio a Italo Calvino per i suoi cento anni. Ho letto molto, moltissimo di lui, e poi l’ho cercato e ho provato a vedere, letteralmente, quello che vedeva lui. L’ho visto attraverso la lente dei decenni trascorsi. Il mio smacco più grande è essere nata l’anno dopo la morte di Calvino: non ho mai avuto la possibilità, nella vita, di incrociarlo su questo pianeta. Ma alcune delle case dove ha abitato sono ancora lì: muri, mattoni, scorci. Proviamo a costruire questo itinerario.

Tutto inizia da Sanremo, con due case

Sanremo, per me, è come dire casa. E sì che non è casa, casa sta più a est, ma siamo nella stessa provincia, con la stessa “forma del mondo” negli occhi, nel medesimo “luogo geometrico dell’io”. Sempre ulivi sono, sempre striscia di terra che frana in mare aprendosi a ponente e levante, tra un golfo e l’altro, col nastro dell’Aurelia, ché di strada c’è solo quella, e con le fenditure che scavalcano gli ulivi e arrivano ai castagni, aprendo la strada verso l’entroterra, i boschi della Resistenza e la montagna. La mia provincia è la stessa dove combatté Calvino partigiano: Imperia provincia medaglia d’oro alla Resistenza, proclamata tale nel 1982 da Sandro Pertini, il presidente partigiano. A Imperia c’è l’Istituto Storico della Resistenza dove sono conservati i documenti di Santiago. Domenico Scarpa ha persino scoperto, ancora mi meraviglio di come abbia fatto, che Calvino partecipò a Imperia a un incontro su Boine: nessuna registrazione pervenuta.

Insomma che per me Sanremo è sempre stato un posto banale. Finché non lessi La strada di San Giovanni. Credo fosse il 2012, mi ricordo la libreria dove lo acquistai, ingiallito, perché quegli scaffali stavano per essere dismessi, alla Mauriziana dopo qualche anno sarebbe subentrata L’Armadilla. Dall’opaco, in particolare, mi stregò: mi fissai sul fatto che dovevo studiarlo, cambiai addirittura idea sulla iniziale traccia della tesi di dottorato. Potevo, a quel punto, non fare un viaggio in bus per Sanremo, per andare a scoprire i luoghi di Calvino? A Villa Meridiana ci sono quindi arrivata così, anni fa, quando, in tempi non sospetti, un anonimo Marco Macchi, oggi citato e ripreso da chiunque abbia girato documentari e/o scritto cose su Calvino per il centenario, portava gruppi di persone a spasso nei luoghi dello scrittore.

Villa Meridiana, però, non c’era più. Soffocata dalla famosa speculazione, la villa e il suo giardino pieno delle tantissime specie esotiche coltivate e studiate da Eva Mameli e Mario Calvino non sono ormai, oggi, che una minima parte di quanto descritto da chi aveva visto e vissuto, come il giovane Italo, quell’epoca d’oro. Però è lì che tutto è iniziato: le parole di La strada di San Giovanni centrano nitide tutto quanto. E a noi che viviamo qui, nel ponente ligure, cantano una storia che abbiamo sotto gli occhi: la villa a mezza costa, sul crinale dei due mondi dell’aprico e dell’opaco.

Questa immagine l’ho scattata io, ed è la stessa utilizzata per l’articolo dedicato a Sanremo e Italo Calvino uscito su Turismo Letterario

A Villa Meridiana si arriva dal centro di Sanremo in pochi passi: è tutto lì intorno, il mondo del giovane Italo Calvino. Sembra impossibile ma è davvero così: è stato uno di noi, ha visto lo stesso profilo antico della Pigna, ha passeggiato sul lungomare Imperatrice e frequentato i cinema di via Matteotti. Non ho mai osato citofonare al cancello che separa oggi dalla stradina – Via Meridiana, in salita e stretta tra i condomini -, la palazzina un tempo villa: oggi sono tutti appartamenti privati tra cui quello acquistato da Gabriella Poli. Tanti però sono riusciti a entrare nel cortile, e lo raccontano in libri e documentari.

Villa Meridiana, penso io davanti al pilastrino del cancello, che reca il nome della Villa e ci sancisce la sua natura reale, c’è lo stesso. È rimasta nella memoria, e oggi è fatta di inchiostro. L’ho vista e tenuta tra le mani all’archivio storico dell’Università di Torino, dove i documenti originali di Calvino sono indirizzati proprio lì, Villa Meridiana, Sanremo. L’ho vista in decine di fotografie esposte alle mostre di Roma, Favoloso Calvino e Lo sguardo dell’archeologo. La vedo ogni volta che giro per Sanremo e penso a come è fatta e come si è trasformata la città: ce l’ha raccontato Calvino. In realtà ci ha raccontato tantissimo di Sanremo, sotto mentite spoglie, come amava fare. Il Barone, la Speculazione, persino il Visconte: Medardo di Terralba, guarda caso il nome dell’altra casa della famiglia Calvino, quella dei nonni, dove visse Mario bambino con il fratello Quirino.

Qui ho avuto la straordinaria fortuna di poter entrare, fare un giro nel giardino e conoscere gli eredi. Sfortunatamente pioveva: pioverà spesso in questo itinerario per case, con lo scontato risultato di avere foto grigie. Sarà un invito a tornare? Villa Terralba svetta su strada san Romolo, per arrivarci bisogna scarpinare un po’ in salita dal centro di Sanremo, attraversare i pittoreschi vicoli tutti stretti della Pigna, il quartiere vecchio dove scorrazzava Pin, e poi proseguire oltre il Santuario della Madonna della Costa. La villa era una tenuta agricola, e tutt’ora conserva un vigneto, un uliveto e uno splendido giardino che affacciano sul golfo. Mi hanno assicurato che lì ci sono ancora un avocado (Mario lo introdusse in Liguria di ponente: le sue piante sono ancora numerose qua e là, ma molte sono state tagliate, se ne rammaricava già il giardiniere di Villa Meridiana, Libereso) che sembrerebbe aver ispirato Italo ragazzino per il Barone (altri dicono l’ispirazione sia un falso pepe ancora oggi vivo nell’ex giardino di Villa Meridiana, altri ancora i ficus giganti che abbracciano i giardinetti Regina Elena in cima alla Pigna), e un ulivo bianco, specie rara, piantato da Italo. In mezzo alle gocce ho intravisto piante grasse, strane specie di limoni, ortaggi, reti per gli ulivi. Ho persino conosciuto, in questo folle anno, la figlia dei mezzadri che lavoravano lì a Villa Terralba. Sì, le case di Calvino a Sanremo resistono, tra le fronde e la memoria, e ancora raccontano storie a chi le sa trovare nella brulicante città, tra le luci dell’Ariston e il traffico sull’Aurelia.

FONTI

Di Villa Meridiana si parla in tantissimi libri, tra le uscite più recenti il bel libro su Sanremo e Calvino di Gianmarco Parodi, e tutta una serie di altre pubblicazioni dedicate alla città. Anche nel documentario Lo scrittore sugli alberi, uscito nel 2023, ci sono tante immagini della Villa, di cui si ricostruire un po’ la storia. La Villa e le sue piante sono descritte benissimo in Libereso, il giardiniere di Calvino. Da un incontro di Libereso Guglielmi con Ippolito Pizzetti (Tarka, 2016), e i riferimenti reali si trovano, mescolati con la narrazione, anche nel libro di Enzo Fileno Carabba. Foto e immagini abbondano nelle attuali mostre di Roma, alle Scuderie del Quirinale e alla Biblioteca Nazionale Centrale.

Case di Torino capitolo 1: smog e ballatoi

Torino, nella vita di Calvino, meriterebbe un’intera trattazione a parte. Qualcosa racconto in Torino di carta, ma mi limito alla narrativa, mentre qui è di autobiografia che vorrei parlare, e le fonti cui attingere sono numerosissime. È da tutte loro che ho raccimolato informazioni utili per la mia indagine sulle case di Calvino. Per molto tempo non sono riuscita a scovare un indirizzo sulle case dove Calvino visse da studente, negli anni Quaranta, esattamente il periodo in cui iniziò a frequentare l’Einaudi, che invece sapevo essere dove si trova tutt’ora, nell’elegante via Biancamano, una traversa del mitico corso Re Umberto (dico mitico perché ci ha vissuto praticamente una generazione di scrittori).

I primi indizi li ho trovati, con molta sorpresa, dentro il libro di Elsa De Giorgi, Ho visto passare il tuo treno. La De Giorgi ebbe una storia d’amore con Calvino nella seconda metà degli anni Cinquanta. Nel libro parla di alcuni suoi viaggi a Torino, una città grigia, com’era la Torino di quegli anni, dove Italo era un giovane scrittore rampante che tuttavia conduceva una vita altrettanto grigia, una routine e uno stile impiegatizio, tra case di ballatoio anonime e abbigliamento altrettanto trascurato e triste (e pensare che Pietro Citati parla dell’abbigliamento del giovanissimo Italo ventenne come anomalo rispetto alla città: maglioni colorati e sandali, una specie di emigrato del mare nella città sabauda). L’alter-ego del Calvino di questo periodo è un po’ il protagonista della Nuvola di smog, dove Claudia è invece la trasposizione della De Giorgi. Proprio lei racconta di aver convinto Italo a trasferirsi dalle grigie case dove alloggiava in affitto (presumibilmente in centro, intorno a via Biancamano e alle trattorie dove era solito andare con gli einaudiani) nel quartiere borghese di Crocetta, e di averlo aiutato a rifarsi il guardaroba pensando anche all’arredamento.

Pare che Calvino, a queste sue case, non tenesse poi molto: all’epoca tornava ancora spesso a Sanremo (tornerà finché la madre sarà in vita) e Torino rappresentava l’impegno politico e il lavoro. Ma prima, prima ancora? A parlare di alloggi e vitto è lui stesso, giovanissimo studente di agraria, nei primi anni Quaranta. Le lettere, ripubblicate nel 2023 in volume, sono gustosissime a tal proposito. Italo studente racconta dei suoi amici di scuola di Sanremo, con cui continuava a vedersi, e iniziava a scoprire Torino, parla ai genitori e all’amico Eugenio Scalfari di quanto fosse difficile seguire le lezioni ad agraria, fatto che ci fa intuire il cambiamento successivo di indirizzo. E poi si lamenta delle spesso pessime condizioni di vita: cibo scarso (siamo pur sempre in periodo di guerra) e stanze fredde, con padroni di casa affaristi capaci di affittare la sua stessa stanza nelle settimane delle vacanze natalizie, per sfruttare al massimo le entrate.

Antonio Serrano Cueto deve aver studiato a fondo queste lettere e i loro riferimenti: è da lui che ho trovato gli indirizzi precisi delle case dove il giovane Italo studente soggiornava: sono tutte nel centro di Torino, prevalentemente nella zona a ridosso di via Po, verso porta Nuova, e poi poco più a ovest, più intorno a Corso Re Umberto. Ne cambiò moltissime, un’abitudine che, pare, proseguì anche dopo la guerra, con il lavoro editoriale già avviato e gli studi da ultimare. Nel 1941 alloggiava con un amico in via Del Mille 38 (la B della foto sopra, quasi sul Po, dietro la bella piazza Cavour); nel 1942 si trasferisce in via Bogino 2 (foto A, è l’attuale via del Circolo dei lettori di Torino). Per il 1945 si parla di una casa in via XX settembre 35 che non sono riuscita a trovare perché c’è pieno di banche e palazzi militari e a girare guardando e fotografando non avrei fatto bella figura: lì Calvino rimase fino al 1949. Nell’inverno di quell’anno, pare, si trasferì nuovamente, questa volta in corso Matteotti 15, in una mansarda (dalla foto, la C, qualcosa si intravede del palazzone alto e imponente che dà sul corso molto elegante). La sua collezione di case prosegue con via San Quintino 24 (la foto D), poco distante da lì e anche dal famoso Liceo D’Azeglio. La zona einaudiana, insomma.

FONTI

Lo scrittore invisibile è certamente la biografia più completa che ho letto, riporta informazioni su tutte le case di Calvino ma è qui in particolare che ho trovato tanti riferimenti alla vita da ragazzo a Torino. Di Elsa De Giorgi ho già parlato, e anche delle Lettere, edizione 2023 uscita per Mondadori e curata da Luca Baranelli. Torino di carta ci ha messo anche del suo.

Case di Torino capitolo 2: in riva al Po

A un certo punto Calvino smette di essere un ex studente squattrinato e diventa lo scrittore lanciato sulla scena internazionale che impareremo a conoscere. Ma lavora ancora, come sempre farà, all’Einaudi, e vive a Torino. Siamo nel 1960 quando cambia casa per trasferirsi nell’abitazione torinese, quella definitiva, che forse più di tutte le altre caratterizzerà la sua vita sabauda: si sposta in quell’anno in via Santa Giulia 80, sulla riva del Po e, come si apprende dalle Lettere a Chichita, proprio in linea d’aria con quello che allora ero lo zoo. Anche questa informazione sono riuscita a contestualizzarla grazie alle ricerche per Torino di carta: non mi ha stupita leggere le lettere dove Calvino dice di sentire i versi degli animali perché sapevo che proprio sulla riva del fiume, in Borgo Po, c’era il Parco Michelotti.

La casa era in affitto nello stesso stabile dove viveva anche “il padrone”, ovvero Giulio Einaudi. E dunque questa casa di Vanchiglia (il quartiere, lo stesso quartiere di Fred Buscaglione, giusto per capire cos’è stata ed è Torino in termini culturali) era certamente un centro culturalmente frizzante dove sono passati in tantissimi. È la casa che Calvino manterrà anche dopo, quando si trasferirà a Parigi. Intanto nel 1961 chiede di diventare consulente per la casa editrice e la sua vita si allarga un po’: nel 1962 conosce Chichita, nel 1964 la sposa e parallelamente terrà una prima casa a Roma, in via Monte Brianzo 56. Anche questa casa è citata nelle lettere alla sua futura moglie, e a giudicare da quanto scrive le condizioni non sono da reggia, e lui stesso ci trascorrerà poco tempo.

La nostra casa era a Torino sul Lungo Po nel quartiere Vanchiglia. Mia madre Renata Aldrovandi e mia sorella Giuliana abitano ancora lì. Da fuori non è niente di particolare, ma meravigliose sono le grandi finestre che si affacciano su un giardino, sul Po e la collina. Si vedono la Gran Madre, il Monte dei Cappuccini, il fiume che scorre. Quando ero piccolo dall’altra parte del Po c’era lo zoo. Mi addormentavo con i barriti degli elefanti, i gridi dei pappagalli, il ruggito del leone: una dimensione quasi salgariana.

Queste parole sono di Ludovico Einaudi. In rete c’è un bellissimo articolo, è un’intervista del 2012 proprio a lui, figlio di Giulio, che parla anche della casa di via Santa Giulia ed elenca tante delle caratteristiche che ho imparato studiando la vita di Calvino tra cui lo zoo, o lo splendido affaccio lungo il Po (non c’è strada davanti, la palazzina si apre sul fiume, con scalette per scendere sull’argine). Si parla anche dello stesso Italo: « aveva un appartamento nella stessa casa e capitava che scendesse a pranzo da noi anche se non c’era mio padre. Per me era come uno zio, la persona a cui ero più affezionato e lui era a suo modo affettuoso con me. Una volta mi regalò una piccola pianta grassa, sedum guatemalense, e mi spiegò meticolosamente come si poteva riprodurlo rimettendo nella terra le foglie che si staccavano. Con lui parlavo di fotografia. Era uno dei pochi del gruppo che lavorava con mio padre che mostrava un sincero interesse verso di me».

Il medesimo affetto nei ricordi di via Santa Giulia l’ho ritrovato integro nei libri di Ernesto Ferrero che raccontano degli anni all’Einaudi e di Italo. Forse è per questo che associo questo luogo non solo a Calvino ma a tutta l’Einaudi: all’archivio storico Einaudi, del resto, ho trovato tantissime carte relative agli stipendi della casa editrice che erano indirizzate proprio lì, via Santa Giulia 80. Nella Sala Calvino della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma oggi si trovano anche la scrivania degli anni torinesi di Calvino e il mobile-libreria in legno scuro. Mi sono spesso chiesta, alla luce delle tante dimore torinesi, dove si trovavano, dove sono rimaste, nel tempo, se sono state in ufficio, all’Einaudi – che, credo di aver compreso, aveva in custodia la libreria e il suo contenuto. Chissà cosa hanno visto questi mobili, quanti traslochi hanno fatto: non sono ancora riuscita a ricostruire filologicamente le loro vicende ma non escludo di volerci provare. Potrebbe essere una storia affascinante, e molto, molto torinese.  

FONTI

Sempre la biografia di Antonio Serrano Cueto mi ha accompagnata in questa indagine, che ha previsto anche una visita all’archivio Einaudi, ospitato a Torino, nei locali dell’archivio di Stato in piazza Castello. La vera guida, affettiva ed emotiva, sono Italo e I migliori anni della nostra vita, di Ernesto Ferrero, le Lettere a Chichita, e poi un simpatico librino letto tempo fa, Alla guida dell’Einaudi, scritto dall’autista di Giulio Einaudi, Mimmo Fiorino.

Una casa torre a Parigi, con un indirizzo inglese

Non pensavo sarebbe capitato, e invece il caso ha voluto così: in questo 2023 di Calvino e libri, sono capitata anche a Parigi. Potevo forse non andare alla ricerca della sua iconica casetta descritta così bene da Fabio Gambaro? Ovviamente no, e altrettanto ovviamente quanto ho raggiunto la villetta al numero 12 di Square de Châtillon pioveva. Però l’ho vista, e l’emozione è stata grande perché è proprio come la mostrano le immagini che avevo visto e soprattutto i video, come il famoso documentario su Calvino a Parigi dove lo scrittore viene intervistato proprio lì, dove stavo io con lo schermo del telefono pieno di pioggia, il naso all’insù.

Dico all’insù perché è una casa torretta, allungata in senso verticale (nella foto un po’ si vede, e si vede anche la poubelle, la spazzatura: visto l’interesse di Calvino l’ho lasciata apposta anche nell’inquadratura). A Calvino piaceva stare in alto: sarà lo stesso a Roma, sui tetti, e pare che anche la villetta di Roccamare avesse un mezzanino in alto dove lui aveva collocato il suo studio. Gli anni parigini sono lunghi: dal 1967 al 1980: sono densi di esperienze, ricchissimi sia culturalmente sia privatamente: c’è una bambina piccola, Giovanna che va a scuola e diventa grande. È stato bello ascoltarla dal vivo a Roma e cogliere il suo accento francese dietro l’italiano perfetto.

Square de Châtillon era frequentata da un sacco di intellettuali, è qui che Bernardo Valli ha riallacciato i rapporti tra Calvino e Scalfari, è qui che passavano Gianni Celati, Roland Bartes, anche Renzo Piano. E dire che il quartiere è tranquillissimo, lontano dal centro e direi anonimo. Eppure lì si è letteralmente fatta la storia della letteratura. Aver visto questa casetta dal vivo, sotto le gocce di pioggia e con una signora con cane iconico quanto la villetta, che sembrava uscito da un cartone Disney, è stato davvero un grande e inaspettato regalo.

FONTI

Lo scoiattolo sulla Senna, di Fabio Gambaro, è sicuramente la guida migliore per scoprire gli anni parigini di Calvino. E poi, va da sè, Eremita a Parigi e La poubelle agrée (dentro La strada di San Giovanni).

Sui tetti di Roma

Lo scorso 18 ottobre ero in auditorium alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma per assistere all’inaugurazione della mostra Lo sguardo dell’archeologo. Era presente Giovanna Calvino, la figlia dello scrittore, la quale nel piccolo discorso che ha tenuto ha spiegato una cosa molto importante: «Venire qui, in questa biblioteca – ha detto – è come tornare a casa. Ho venduto la casa di Campo Marzio, i nuovi proprietari hanno fatto lavori, hanno cambiato tutto e la casa, come è arredata oggi, è uscita su un giornale, su una rivista di arredamento e architettura. Io e mia figlia abbiamo deciso di non guardarla per rimanere col ricordo di come era prima. Ma sono felice che la casa di Campo Marzio abbia una nuova vita, e non ho nessun senso di perdita perché la casa adesso è qui, ed è proprio lei». (Il video integrale della presentazione dove vedere e ascoltare Giovanna, è qui).

Della Sala Calvino della Biblioteca parlo nell’articolo linkato sopra a proposito della mostra: si tratta proprio di quel che resta, oggi, dell’ultima casa di Calvino e della sua famiglia, piazza Campo Marzio numero 5. Ci sono passata il giorno stesso: è proprio a due passi da Montecitorio, nel cuore della città. Ho l’impressione, nitida, che davanti a quel portone antico io ci fossi già passata un sacco di volte. Studiare è bello perché ci rende più consapevoli: ecco, se io, da ragazzina, fossi stata consapevole dell’esistenza di un citofono sul quale c’era scritto, fino a poco tempo fa, Calvino, forse oggi avrei un rimpianto in meno. Domenico Scarpa mi ha raccontato al telefono che in quella casa c’è stato, invitato da Chichita, che fino al 2018, anno della sua scomparsa, ha abitato lì. Moltissimi altri studiosi ci sono stati: sono loro i miei occhi, e lo saranno sempre perché anche questa volta arrivo tardi: ora quella casa è di Thom Yorke, questo è l’articolo sul restauro della casa di cui parlava Giovanna Calvino.

E pensare che lì ci ha abitato anche il Signor Palomar: è lui che guarda Roma dalla terrazza che si spalanca sui tetti, è lui che osserva il volo geometrico degli storni, le loro evoluzioni tra le cupole. Sembra proprio di vederla, Roma, da quei racconti. Certo, vedere l’arredamento che era in quella casa oggi conservato in biblioteca attenua un po’ il senso di perdita, ed è bello pensare che quel patrimonio ora sarà conservato e studiato. Ci sono un sacco di racconti della casa di Roma in praticamente tutta la bibliografia su Calvino: nel 1980, quando si trasferirà lì di ritorno da Parigi, è già uno scrittore noto a livello internazionale. È tra quella casa e Castiglione che preparerà le Lezioni americane, è lì che scrive gli articoli per Repubblica, con cui inizia a collaborare, riallacciando i rapporti con Scalfari. A pochi passi abitava Natalia Ginzburg: due torinesi che si ritrovano nel centro dell’Urbe, questo incrocio mi fa sempre sorridere molto.  Campo Marzio quindi, mataforicamente, c’è ancora, ed è come Villa Meridiana, impressa nell’immaginazione dello scrittore, e viva e pulsante tra inchiostro, scaffali e scrivanie. È come se Calvino fosse ancora lì, il maglioncino sulle spalle, il tavolo di cristallo e la Olivetti Lettera 23 appoggiata sopra, pronto a un nuovo gioco di osservazione, a una nuova contrainte, a una nuova casa tra i tetti di una città invisibile.

FONTI

La casa di Roma, per me, è Palomar: si trova tutto lì. Ma c’è un’altra fonte interessante, ed è un podcast della serie dedicata al centenario di Calvino curata da Marco Belpoliti, Un’autobografia senza io. Insieme a Laura Di Nicola direttrice del Laboratorio Calvino, Belpoliti ricostruisce l’immaginario della casa di Roma, tra tetti e biblioteche, tra metafore e poetica calviniana. È la puntata numero 9, ed è secondo me la più bella.

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Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!