A ottobre 2023 ho fatto un viaggio condensando più tappe. L’elemento comune? Italo Calvino. Quando ho organizzato l’itinerario non sapevo ancora che alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma sarebbe stata ospitata una mostra che avrebbe costituito un tassello ulteriore della mia esplorazione. Non solo: la mostra inaugurava proprio quando io mi sarei trovata a Roma. Con una sorpresa: la presenza della figlia di Italo Calvino, Giovanna. Ecco perché non potevo mancare a Lo sguardo dell’archeologo, un percorso espositivo che si incastra benissimo con due altre caratteristiche del luogo dove è allestito.

La prima: la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ospita un museo permanente, si chiama Spazi Novecento ed è liberamente visitabile non solo da studenti e fruitori della Biblioteca. È un percorso che, come ben sottolinea il nome, ripercorre le vite di tantissimi scrittori del Novecento attraverso manoscritti, lettere, ma anche oggetti che hanno caratterizzato la vita – la scrittura, forse meglio – di questi personaggi e le loro case (di Elsa Morante c’è una suggestiva ricostruzione con tutti gli arredi originali). Avevo già visitato questa esposizione trovando con mia sorpresa una stranissima scrivania tutta spigoli e forme strane appartenuta a Italo Calvino nel periodo torinese.

E proprio Calvino è il secondo fatto notevole. Dal luglio 2021 alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma è ospitata la Sala Italo Calvino. Anche questa l’avevo già visitata in modo rocambolesco nell’estate 2022: si tratta di uno spazio dove viene riprodotta fedelmente la zona studio della casa romana dei Calvino di piazza di Campo Marzio 5, dove lo scrittore visse fino al 1985. La sala contiene gli arredi: scrivanie, librerie (gli scaffali, proprio), quadri presenti nell’ultima casa vissuta dallo scrittore. Questo straordinario patrimonio, cui si aggiunge il fondo archivistico, è stato ceduto in comodato dalla figlia Giovanna alla Biblioteca, nelle persona dell’allora Direttore, Andrea De Pasquale. La Biblioteca è quindi attualmente il luogo dove si conserva una memoria importantissima di Calvino: non a caso questa sala, che normalmente è molto difficile da visitare (servono apposite richieste) fa parte oggi della mostra. Un’occasione in più per esplorare il mondo dello scrittore e scoprire tantissimo.

Giovanna Calvino con Eleonora Cardinale (e una signora che non c’entra nulla!)

Un Calvino mai visto

Ma veniamo a Lo sguardo dell’archeologo, visitabile fino al 26 gennaio 2024 con ingresso gratuito (a questo link gli orari precisi, sempre meglio verificare!). Il sottotitolo della mostra è “Calvino mai visto”: in questo percorso, curato da Eleonora Cardinale, sono portati alla luce documenti, fotografie e persino oggetti che fanno parte del fondo donato da Giovanna Calvino alla Biblioteca oppure che sono stati acquistati di recente dalla biblioteca. C’è dunque una parte inedita che è ricchissima e che attinge alla vita familiare e al lavoro di Calvino, e ci restituisce oggi dettagli curiosi e indicazioni sulle sue scelte di uomo, di scrittore e di lettore. C’è un criterio nella scelta di questi materiali: la mostra si articola in 7 sezioni, ognuna delle quali ruota intorno a un oggetto. Naturalmente non si tratta di oggetti scelti a caso: ciascuno attiva un racconto tematico.

Ci sono per esempio la bellissima litografia del Noble Cavalier di Alexander Calder, oppure i tarocchi usati per Il castello dei destini incrociati, ma anche le tessere di partito di Calvino e la statuetta dell’osservatore, quella che dà il nome alla mostra e che così tanto ricorda l’atteggiamento di un Palomar-Galileo. A partire da ogni ispirazione si aprono le stanze della mostra con le loro foto, manoscritti e oggetti vari. Tra questi ne salvo qualcuno, in una rassegna di piccole note che mi hanno colpita. Partiamo dal testo autografo di “Acqueforti di Liguria”, tra i primi tentativi di poesia di Calvino. In queste acqueforti è contenuta “I muri a secco” che inizia, folgorante secondo me, così “Antica, la mia gente aveva l’arte di fare i muri”. C’è un mondo, in questa frase, e contiene tutta La strada di San Giovanni. Questo foglio è degli anni ’40, nel 1943 infatti Calvino scrive a Walter Ronchi cercando di pubblicare qualcuno dei componimenti (le altre acqueforti erano Le fasce, I beudi, I torrenti, Le mulattiere).

Un altro frammento buffo di vita vera: nel 1962 Italo regala a Chichita (che in quel periodo i due avessero iniziato a frequentarsi e scriversi è testimoniato dalle Lettere a Chichita, dove Italo, per l’appunto, si racconta anche coi suoi libri) una copia con dedica dei Racconti. L’autografo dice Torino 10 marzo 1962 ed è firmato Italo, un’altra calligrafia, quella di Chichita probabilmente, fa una freccia e scrive “era aprile”. Meraviglioso! Non potrebbero mancare in questa rassegna di cose e oggetti gli occhiali da vista, quelli neri e spessi che Italo indossa in alcune foto famose. Sembra siano appoggiati lì, sulla scrivania, in attesa di essere indossati prima di mettersi al lavoro sui tasti della Olivetti. E che dire della copia del Sentiero dedicata a Mario ed Eva? “Ai miei genitori. La prossima volta farò meglio. Italo. Torino, ottobre 47”. Sbam! Ma c’è un altro Sbam!, ed è la copia del Barone datata 1957 e dedicata “alla Mamma questo libro botanico con affetto Italo”.

C’è sempre un po’ di Sanremo

Ma torniamo al percorso di visita. La prima sala ci riporta come sempre (anche a Roma e Genova è così) al sostrato biografico: i genitori scienziati, che così tanto hanno determinato l’immaginario e persino il lessico del futuro scrittore, la nascita a Cuba, il ritorno a Villa Meridiana. Sono tante, alcune inedite anche per me che ne ho viste tante e in tanti luoghi, le foto di Italo bambino e della famiglia. Nella parte dedicata all’album di famiglia si trova persino una lettera dattiloscritta di Mario Calvino al fratello Quirino datata 3 novembre 1923, Santiago de las Vegas, Cuba, dove annuncia di essere padre “di un bel maschiotto, al quale ho posto il nome di Italo Giovanni Calvino”. Mario allega poi il certificato di nascita per farlo registrare al Comune di Sanremo, e annuncia che stanno pensando di tornare per luglio, “sperando anche che per tal epoca la Stazione di Floricoltura di Sanremo potrà funzionare”.

Altre pagine bellissime sono quelle dedicate alla scuola. C’è una foto di un’ammassata di ragazzi, la classe terza liceo del Cassini. La didascalia è un capolavoro di adolescenza che arriva dal 9 gennaio del 1941. In mezzo a qualche firma si legge infatti “Ricordo dell’ammutinamento e della sovversione generale della III Liceo. NOI NON CI FREGA NESSUNO!”. Mi ha ricordato lo spirito, la voce del Calvino post adolescente che scrive lettere all’ex compagno di banco Eugenio Scalfari. È autentico e fa un sacco sorridere, lo si sente davvero vicino, anche e nonostante questa “distanza archeologica”.

Non è finita la galleria di sorprendenti testimonianze del giovane Calvino: c’è un testo autografo su protocollo a righe “ideato e scritto” il 13 agosto del 1941 che si intitola Lo spaventapasseri e che ha un incipit che ricorda, sorprendentemente o meno, La distanza della luna, la prima cosmicomica scritta da un Italo maturo almeno vent’anni dopo. Un’altra chicca sono i libri di scuola sui quali Italo disegnava vere e proprie vignette. Come tutti, anche lui si annoiava tra i banchi e aveva trovato un modo per svagarsi. Naturalmente era un modo creativo che sottintendeva già uno spirito narrativo. Mi hanno fatto, anche questi, molto sorridere. Meno sorriso lo hanno generato le cartucce di arma da fuoco sparate dalle camicie nere a San Giovanni nel febbraio del 1945 che Eva Mameli conservò in una busta e sono arrivate nel fondo Calvino. È vero in termini concreti e pesanti come quelle pallottole che l’esperienza partigiana fu uno spartiacque per la vita del giovane Italo, lo mise a contatto con l’esperienza del “lancinante mondo umano”.

Manoscritti, oggetti e una penna

In mostra occhieggiano qua e là documenti del laboratorio di scrittura di Calvino che mi hanno incuriosita tantissimo. La sua scrittura corsiva, spesso in blu, si arrampica su fogli di correzioni e righe dove allestisce e crea mondi. Ci sono per esempio i fittissimi schemi e strutture che si era appuntato per i racconti di Palomar, e c’è una pagina piena di correzioni di Eremita a Parigi. La più bella è una pagina di appunti scritti piccolissimi e tutti storti e pieni di rimandi per La Poubelle agrée, di cui è presentato tutto il manoscritto con bozze e riscritture: ci porta dentro la testa di Calvino, nel suo mondo di rimandi, ramificazioni, associazioni. Non capisco la calligrafia ma il metodo mi arriva forte e chiaro, è come capire che tutto quell’inchiostro è la parte sotterranea del testo che ci è arrivato.

Una delle sorprese “mai viste” è un testo che la Biblioteca ha potuto acquistare ed espone: si tratta di un inedito di carattere politico, un testo che si intitola “Il sorpasso”, e che fi rifiutato dalla «New York Review of Books»: a raccontare la storia è lo stesso direttore della Biblioteca Stefano Campagnolo durante la presentazione cui ho assistito. Ho trovato in tutte le mostre che ho visto su Calvino, e anche in questa, il riferimento all’esperienza dei Cantacronache, progetto che coinvolse Calvino per la scrittura di testi per canzoni. In questa mostra ci sono anche altre curiosità multimediali che arrivano direttamente dall’archivio di famiglia. Si tratta di alcuni filmini inediti di Italo piccolo: siamo a Villa Meridiana e si vede lui bambino. La curatrice della mostra ha spiegato che nel fondo Calvino sono state trovate delle bobine con un proiettore della Pathé Baby. Per i curiosi, alcuni di quei filmini si intravedono nel documentario che la Rai ha trasmesso proprio lo scorso ottobre, Italo Calvino. Lo scrittore sugli alberi, con tanto di commento molto tenero di Giovanna Calvino.

Qualcuno forse si domanderà se ho potuto o sono riuscita a parlare con Giovanna Calvino. Più che la timidezza mi ha bloccata un fatto: cosa le avrei potuto dire? Che era un’emozione? Però l’emozione ce l’ho avuta davvero quando le ho parlato per prestarle una penna: sempre avere una penna in borsa! Potrà servire in casi come questo. E le ho riparlato poco dopo: davanti a un attestato di un corso seguito da Calvino negli anni Trenta e siglato Torino, Giovanna esprimeva perplessità sul fatto che suo padre ragazzino si trovasse allora a Torino. A me, che ero lì dietro e avevo sentito, è venuto un flash: ho letto in qualche biografia, probabilmente questa, di un corso seguito per corrispondenza, come si usava all’epoca, e dunque sì, c’è scritto Torino ma Italo abitava allora ancora a Villa Meridiana ed era ragazzino.

Poco fuori dalla mostra

Questi i miei contatti con Giovanna Calvino: non potevo seguirla, né pedinarla, né chiederle di raccontarmi per ore e ore quello che ricorda del padre. L’ho lasciata andare, anche perché il percorso della mostra si snoda attraverso il corpo enorme della biblioteca. Proseguendo così verso la Sala Italo Calvino si incontrano alcuni pannelli che espongono i bozzetti originali che Sergio Tofano disegnò per le avventure di Marcovaldo. Sono, neanche a dirlo, pieni di bellezza e poesia: tra tutti, quello che vede Marcovaldo insieme a Domitilla e ai figlioletti affacciato alla mansarda spalancata sul cielo infestato dal consumismo di Luna e Gnac.

Altri oggetti sono nello Spazio Novecento. Oltre alla scrivania della casa di Torino, che immagino essere quella più usata, di via Santa Giulia (ne parla Ernesto Ferrero), ci sono tanti libri con dediche e autografi: i libri degli altri, in senso concreto. I volumi inviati a Calvino da tanti colleghi sono uniti nel fondo Calvino e provengono sia dalla casa romana sia da quella torinese. Tra le foto che ho fatto per ricordare le dediche più curiose, ci sono Cortàzar, che firma da Parigi, nel 1969, il suo 62/Modelo para armar, e poi Palazzeschi con Storia di un’amicizia “con ammirazione pari all’affetto”. La vie mode d’emploi reca un frontespizio una dedica scritta con la grafia ordinata e minuta di George Perec: “Pour Italo Calvino / Cet immeuble aux destin croisés / son ami”.

Un altro dei miei autori preferiti è Daniele Del Giudice, di cui compare Lo stadio di Wimbledon firmato “A Italo / primo pilota di questo aeropolano”. Mi avvio verso la fine di questa rassegna con i mitici Fruttero e Lucentini, che “a Italo e Chichita” dedicano A che punto è la notte (La donna della domenica, prima edizione, è l’unico volume che sono riuscita a distinguere nelle librerie di Calvino, ma solo perché la costa è spessa e rossa!) “con affetto e il balzacchiano augurio che in una successiva notte d’inverno il nostro venditore si incontri col vostro viaggiatore”. E poi c’è Raymond Queneau, che dedica “à Italo Calvino” I fiori blu, che lui poi tradurrà in quello che per me è un capolavoro di contraintes.

La Sala Calvino

Avendo visitato Lo sguardo dell’archeologo il giorno dell’inaugurazione, con tante personalità e la stessa Giovanna presenti, non c’è stato molto tempo per vedere tutto e soffermarsi con attenzione. Sono quindi rientrata nella Sala Calvino e, se la prima volta ero stata ritrosa per pura timidezza e soggezione, questa volta avrei voluto guardare meglio ma ho scoperto con rammarico che era stato installato un sistema di allarme che suona ogni volta che ci si avvicina troppo ai libri appoggiati di costa sulle librerie. Problema: non ho una vista così potente da riuscire a decifrare i titoli a distanza, per cui sono stata diversa minuti a strizzare gli occhi senza tuttavia vedere. Mi dispiace molto: questo luogo ha bisogno di tempo e possibilità per essere esplorato, perché niente è lasciato al caso.

Nella Sala Calvino non sono stati solo spostati gli arredi e i mobili della casa di Piazza Campo Marzio, è stato riprodotto l’ordine esatto delle cose, compresi tutti i libri, che si trovano quindi nello stesso ordine in cui li lasciò Calvino. Nel 2022 la curatrice mi spiegò che c’erano studi in corso: a giudicare dai segnalibri che ho notato a ottobre 2023, sono sicura che questi studi siano andati avanti, e che i libri siano stati esaminati. Sono molto curiosa di leggere i risultati degli studi, ma anche invidiosa di chi ha potuto vedere e toccare, senza l’impedimento di un allarme davvero antipatico. Mi dico che sarebbe una casistica da signor Palomar: esserci, vedere, ma non poter vedere oltre una certa distanza, che significa di fatto non vedere e non capire.

Tant’è. Come ricordavo, tra le cose più affascinanti di questo spazio non ci sono solo le librerie bianche, la libreria torinese (impossibile vederla da vicino, essendo su un tappeto originale e inaccessibile), ma le scrivanie con le macchine da scrivere e con la sfera di vetro trasparente, quella di una famosa foto che certamente avrete già visto. La casa romana aveva un terrazzo, come testimoniano i racconti di Palomar: è lì che Calvino li ha scritti, e quel tavolo verde da terrazza è oggi in biblioteca, anche lui. Altro dettaglio emozionante: i quadri che erano appesi alle pareti. Ci sono pezzi di Scialoja, c’è la foto di Elio Vittorini, che ha girato tutte le case di Calvino, ci sono tanti oggetti acquistati nei viaggi, una litografia con un Italo giovane che ha un sorriso accattivante e bellissimo. Bellissimo come è un po’ più adulto di fianco alla sua Chichita, così come appare sulle pareti di vetro della sala, a osservarci curiosare indiscreti tra le loro cose.

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Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!