Iperborea ha da poco inaugurato una nuova collana di saggi narrativi, proprio così, un bellissimo ossimoro, se vogliamo pensarlo tale. Si chiama “i corvi” e tra i primi titoli disponibili include un libro che mi è piaciuto tantissimo: L’uomo con lo scandaglio, di Patrik Svensson. Come mai questa affinità elettiva? Facile, conoscendo i miei gusti letterari: questo libro mette insieme il tema del mare, la curiosità, e questa particolare forma che non è totalmente scientifica come un saggio, ma nemmeno totalmente romanzesca come la narrativa.

Un ibrido. Una forma che ne tiene insieme due e, secondo me, proprio in questa sua natura trova un elemento distintivo e di grande forza. Ma, come dicevo, c’è anche il mare a fondamento del fascino che promana da questo libro, fin dalla bellissima copertina blu-azzurra. Questo testo infatti è un viaggio che ci porta dal cosmo al punto di vista umano, dalla superficie alle profondità del mare, dall’infinitamente grande al microscopico. Al centro ci siamo noi: gli uomini che da quel mare e dalla possibilità di esplorarlo sono da sempre stati stregati. Ci sono i miti e le fantasie che fin dall’antichità ci hanno permesso di raccontarci il nostro rapporto con il mare, rendendolo ubiquo in tutta la nostra cultura occidentale. Un mare che non ha confini ed è per questo il simbolo più potente di libertà, un rifugio e una promessa insieme. E ci sono i problemi, le enormi e forse inarrestabili contraddizioni di questo rapporto. C’è, insomma, un sacco di mare, ma ancora di più ci siamo un sacco tutti noi, e questo è il segreto che tiene incollati alla pagina fino alla fine.

Dalla superficie agli abissi, e tutto intorno

C’è un percorso che accompagna L’uomo con lo scandaglio: l’autore ci porta dalla superficie agli abissi, e nel frattempo ci fa conoscere quel gravita intorno. Incontriamo elementi di biologia, piccolissimi, i più grandi mammiferi marini, e poi vite umane. Leggiamo di emozioni e passioni, ma anche di metodo scientifico. Ogni capitolo è dedicato a un tema specifico eppure tutto l’insieme è così coeso, così strutturato e orientato che non può non esserci un percorso. La bibliografia che accompagna questo libro lo conferma: Svensson ha fatto ricerca, ha introiettato e ci ha restituito la sua visione di una complessità notevole.

Che questo libro affronti tanti argomenti, intrecciati intorno a un grande nucleo tematico che riguarda l’uomo e la sua curiosità, crea la direzione. Ci sono capitoli che affrontano temi scientifici come la percentuale enorme di mare che caratterizza il nostro pianeta, e che ci è ancora sconosciuta, la biologia dei capodogli, ma anche altri che diventano piccoli racconti e ripercorrono insieme a noi la storia della circumnavigazione del globo, piccoli passi umani, tra passeggiate naturalistiche e libri, dedicate allo svilupparsi del rapporto umano con il mare.

E poi le contraddizioni che si innestano in ciascuno di questi intrecci: l’uomo predone, lo sfruttamento di massa, il pericolo che, da elemento connaturato all’esplorazione, avventura e paura insieme, diventa pericolo per noi, causato da tutte le brutture che l’approccio umano, che mai così nettamente come in questo libro apparirà assurdo, infligge all’oceano. C’è una responsabilità nell’uomo con lo scandaglio: lo spirito avventuroso e la necessità di esplorare si inceppano quando sulla voglia di scoprire prevale la voglia di guadagnare. Finisce che, ancora prima di scoprire l’oceano, lo abbiamo già ferito a morte. Svensson lo fa con apparente leggerezza, con la facilità logica delle dimostrazioni osservabili, dati alla mano, ma mettendo a confronto la molla che spinse Ulisse e ispirò Melville ci inchioda: che cosa abbiamo fatto? E perché? Chi siamo noi veramente: uomini con lo scandaglio o creature che forse non meritano di vivere nell’armonia del pianeta e dentro il suo ritmo biologico perfetto?

l’esplorazione umana dell’oceano, nata dalla curiosità, ha portato a un’alterazione dell’equilibrio della quale oggi nessuno può prevedere le conseguenze. Ed è successo tutto in un brevissimo arco di tempo. Era destino? Era inevitabile che glie sseri umani, quanto più fossero riuscti a mappare la Terra, a scoprirla e a conquistarla affrancandosi dall’ordine evolutivo, tanto più sarebbero risultati un’anomalia, un’interferenza? Considerato ciò  di cui l’uomo si è resto responsabile viene da chiedersi: facciamo ancora parte di questo mondo?

Uomini con lo scandaglio

L’uomo con lo scandaglio, in fondo, è una storia umana. Dentro ci troviamo tanti personaggi che patteggiano tra curiosità febbrile e paura, tra voglia di sapere e ignoto. Il cuore del libro è lo scandaglio, lo strumento con il quale l’uomo ha nel tempo approfondito la sua conoscenza dei fondali invisibili, profondissimi, che si estendono sotto la superficie di quel blu che caratterizza il nostro pianeta e lo riempie per il 70%. In un percorso cronologico, dai metodi rudimentali che hanno permesso all’uomo di orientarsi – le prime tecnologie – si è andati sempre più giù, con una sagola e uno scandaglio, propaggine dello sguardo. Uno sguardo curioso e indagatore: la molla da cui tutto si dipana, la sete di conoscenza. Gli esseri umani sembrano spostarsi non solo perché hanno delle necessità, ma una volontà, come se fossero alimentati da un fuoco, prerogativa tutta umana: rischiosa, eppure così importante.

Ci sono tre personaggi, tra i capitoli, che incarnano questa molla e che restano nel cuore. Il primo – procediamo cronologicamente, come l’autore – è uno schiavo. Siamo nel Cinquecento del sedicente Illuminismo, il secolo dei grandi navigatori e dei primi cartografi. Magellano è colui che, storicamente, è ricordato per aver compiuto il primo giro intero del pianeta in nave. Non conoscevo quell’avventura che, scoprirete, è finita parecchio male. Tra gli uomini a bordo c’era anche un ragazzo della Malacca, lo schiavo personale di Magellano che, forse, è stato proprio il primo circumnavigatore del globo, all’insaputa di tutti, persino sua.

Il secondo è un panettiere scozzese, tale Robert Dick, un uomo semplice, ma curioso, cercatore di fossili e botanico self made. Una figura ai margini della storia, cui ridare dignità attraverso il recupero della sua curiosa impresa, quasi silente, non fosse che dalle sue mani è stato rinvenuto un tassello decisivo per la biologia marina. Perché proprio un ritrovamento di quest’uomo senza studi né fama ci ha aiutati a risalire all’origine della vita. La molla? Un’enorme voglia di comprendere. La stessa che caratterizzò la vita, gli scritti, le scelte e le ricerche di quella che è nota come “biografa marina”, Rachel Carson. Non conoscevo nemmeno lei e il suo libro più famoso, Il mare intorno a noi. Donna forte e fragile, come tutti i grandi personaggi, Rachel Carson ha avuto una visione davvero antesignana, tutta da scoprire.

C’è un po’ di Calvino in questo mare

Ok che è una mia fissa (lo si intuisce dal fatto che io stia raccogliendo pareri sui testi dedicati a Calvino nel suo centenario), ma nelle suggestioni di Svensson io ho trovato moltissimo Calvino. C’è innanzitutto la partenza cosmica, con la nostra biglia blu sprofondata nell’universo. La relatività della nostra posizione, fragilissima e labile in un equilibrio infinitamente più grande di noi. E poi c’è la questione dello sguardo, e del costante interrogarsi che porta a produrre domande e ancora domande, sacro fuoco dell’apprendimento, della crescita, benzina per andare avanti.

L’uomo con lo scandaglio è un’indagine su un nocciolo molto calviniano: il rapporto dell’uomo con il mondo, che è in fondo anche il rapporto dell’uomo con se stesso, con la propria immagine. Da sempre l’uomo deve osservare e capire le relazioni tra le cose per procedere nella sua avventura, e deve leggere l’ambiente, percependolo e sviluppando un pensiero cognitivo consequenziale, per orientarsi. Per essere compreso, il mondo va percepito: e cosa ci raccontano testi calviniani come Dall’opaco se non questo movimento costante? L’uomo con lo scandaglio è forse anche un po’ un Barone rampante che nel rapporto con la natura cerca una nuova relazione con il mondo, un Palomar che osserva per capire il mondo, se stesso e il posto che occupa nel mondo, un grande occhio-mente (definizione che rubo a Marco Belpoliti) che si interroga senza requie per dare un senso all’esistenza.

Non manca il riferimento alle scienze esatte, quel mondo dal quale Italo Calvino rifuggiva, l’eredità familiare rispetto alla quale si ribellava, ma il cui metodo aveva introiettato. L’esattezza, il rigore, l’attitudine alla ricerca senza fine. Svensson ci ricorda infatti un dato importantissimo, e cioè che la scienza non è la verità, ma solo un approccio alla verità. Un metodo, insomma, grazie al quale non arrivare mai a conclusioni definitive, ma restare ancorati alla necessità di interrogare l’universo nel modo giusto. Calvino era affascinato da questo meccanismo, anche lui aveva pensato a come catturare lo stupore generato dalla nostra posizione umana nell’universo e rispondere alle sue domande attraverso la letteratura.

Nella distesa marina immutabile ma paradossalmente in costante mutamento, non mi è sembrato quindi strano intravedere il signor Palomar che osserva, e che cerca di inquadrare un’onda e farla sua. O forse no, forse è solo lì per contemplare, e farsi solleticare da continue domande che gli fanno rendere conto di essere vivo:

a volte penso che il mare sia così affascinante proprio perché sembra un posto dove non succede niente. Niente sulla superficie scintillante in un giorno di bonaccia, quando l’acqua arriva fino all’orizzonte in ogni direzione

Nell’abisso

Pregio di Svensson è raccontare scoperte scientifiche e dati legati alla biologia marina, alla geografia, alla storia in un modo così accattivante che restano dentro. Forse perché colpiscono al cuore della curiosità che è al centro di questo libro, prerogativa fondante dell’uomo con lo scandaglio, e di ogni lettore.

Tra le cose che ignoravo c’era l’esistenza di un punto letteralmente abissale dei fondali marini noto come l’Abisso Challenger, a oltre undicimila – undicimila! – metri di profondità. Una cosa disumana, nel senso letterale del termine: un posto remoto, dove le condizioni di vita per noi sono nulle, dove anche solo la pressione dell’acqua è talmente forte da annientarci. Eppure, 4 uomini nella storia ci sono stati. Uomini con lo scandaglio, uomini-scandaglio essi stessi, prestati al gioco dell’esplorazione estrema.

E poi ci sono strumenti e pratiche entrate nell’uso comune come l’astrolabio e il sestante, e le braccia, l’unità di misura con cui si registra la profondità, oppure sostanze quasi magiche come l’ambra grigia. Questo libro è anche una piccola storia della conoscenza e della sua evoluzione attraverso l’ingegno umano. Storia delle grandi imprese, di esploratori come il norvegese Heyerdahl con la sua zattera Kon-Tiki, del cartografo Fra Mauro, e di grandi fantasie, perché dove non arriva lo sguardo umano, a volte arriva proprio l’immaginazione. È insomma un libro che cuce insieme in forma godibilissima vicende umane, personaggi, scienza e tecnica che hanno accompagnato l’esplorazione, le propaggini della curiosità umana, gli scalini della conoscenza, il fascino delle ipotesi, la miopia paradossale della predazione, la nostra infinita vulnerabilità.

se si considera anche la profondità, i mari costituiscono più del novante per cento della nostra biosfera, ossia la parte della Terra adatta a ospitare la vita. L’oceano è così vasto e inaccessibile che, oltre a caratterizzare l’intero pianeta, è il luogo in cui si creano le condizioni per un numero potenzialmente infinito di forme di vita

Cos’altro leggere sul tema

Se fossi un ecommerce, il mio algoritmo pescherebbe dal suo catalogo altri consigli utilizzando una formula matematica. Invece io sono una semplice lettrice, una lettrice forte che nella sua enciclopedia di letture ha qualche tentacolo – è il caso di usare questa metafora visto l’ambiente marino in cui ci troviamo con Svensson – che trova delle analogie e dei richiami. È capitato più volte di scrivere di mare e di libri su questo blog (qui e qui, per esempio, ma anche qui), ma ancora più nello specifico ci sono diverse letture che mi hanno riportata col pensiero ai temi di L’uomo con lo scandaglio, cioè il rapporto dell’uomo con il mare, l’avventura, la meraviglia, la natura, e ciò che rovina tutto questo.

Fuori i titoli, allora. Il primo è credo il mio libro preferito del catalogo Iperborea, ed è Il libro del mare di Morten Strøksnes. Si tratta di un reportage narrativo, altra forma di scrittura che mi piace sempre tanto, e racconta la storia dell’inseguimento di uno squalo della Groenlandia, uno di quegli animali marini che ci affascina per la sua conformazione – è senza occhi, visto che vive nelle profondità buie dove non arriva luce – e per la sua longevità – può vivere per dei secoli (ma ci pensate?). È una storia immersa nella natura sfavillante del grande nord: siamo sul mare di Norvegia, e difatti a questa geografia peculiare avevo dedicato un articolo su Turismo letterario. La scena più bella che mi è rimasta incisa dentro? L’incontro con il capodoglio.

Lo avevo anticipato: il fascino degli animali che popolano il mare e i suoi abissi è qualcosa che ci inchioda davanti a quella distesa azzurra e blu, da sempre. A questo legame atavico, e alla curiosità che lo alimenta e se ne nutre al contempo è dedicato un libretto di Fabio Genovesi che non è propriamente un romanzo ma che mescola la capacità narrativa dell’autore ad alcuni dei suoi temi forti: Il calamaro gigante. Inchiostro di seppia e di penna si mescolano mentre leggiamo di avventure, di sfigati che sembravano tali e non lo erano, di grandi imprese, e fondamentalmente di sogni. Perché i sogni a volte sono salati e hanno bisogno di un orizzonte mobile al quale puntare ma che non si potrà mai raggiungere, e Fabio Genovesi questo aspetto lo conosce molto bene. Così bene che gli ha dedicato il suo ultimo romanzo Oro puro, che guarda caso ci riporta per mare, nella grande avventura per antonomasia, quella della scoperta dell’America, che è poi un’enorme metafora della scoperta di noi stessi. Una storia potente, enorme, con una voce narrativa, quella di Nuno, che resta dentro. Consiglio davvero la lettura di questi libri in modo ravvicinato: Svensson non fa che accostarsi le suggestioni di Genovesi e di Strøksnes e dar loro un abito più strutturato per raccontarci non tanto cosa è il mare, ma cosa siamo noi, davanti al mare.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!