Non so se a Calvino sarebbe piaciuto, so che a sua moglie Chichita, di sicuro, no. Lettere a Chichita è un volume uscito in questo 2023 di omaggi e recuperi calviniani, lo ha curato Giovanna, la figlia, e ha lo straordinario pregio di fornirci del materiale finora inedito. Si tratta di un epistolario, datato tra il 1962 e il 1963, tra Calvino e quella che di lì a poco, dopo averla conosciuta a Parigi in casa di amici, diventerà sua moglie.

È un epistolario con una sola voce, quella di Italo Calvino. Questo non è poco. Si tratta infatti della voce che sta dietro allo scrittore, di un Italo che racconta le sue giornate, i suoi problemi, il suo amore, ma anche tanta politica, situazioni professionali, e la propria evoluzione nel leggere la realtà. Credo stia proprio qui il valore documentario di queste lettere che oggi possiamo aggiungere ai materiali calviniani: sono la testimonianza di un periodo storico, dalla voce di una delle sue penne – e sguardi – più dotate.

C’è poi un valore altro, che non riguarda né la storia né la critica letteraria. Queste lettere sono bellissime. Bellissime in senso oggettivo: sono la forma scritta – e se parliamo di Calvino è certo che questa forma sarà molto sopra la media generale – di un amore unico in cui due anime affini si trovano, e costruiscono insieme un dialogo fatto di racconto di sé, ascolto, incastro, ricerca, comprensione. Alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, dove è stato ricostruito lo studio della casa romana di Calvino, c’è una gigantografia di una foto di Italo e Chicita degli anni Settanta direi, a giudicare dall’abbigliamento. Sono bellissimi: ho pensato a loro mentre mi perdevo tra i ricami di queste lettere, e sorridevo. Ho sorriso molto anche vedendo le foto che questo librino contiene – Italo e Chichita erano bellissimi insieme, l’ho già scritto – e anche dando un’occhiata alle riproduzioni di alcuni autografi. La calligrafia di Italo è veloce e forse realmente poco comprensibile, ma la cosa più divertente sono le righe ricavate ai margini, il testo che arriva al fondo e si arrampica e riempire tutto. Le parole infinite di Italo, lo spazio del testo, anche – e soprattutto forse – quando non scriveva per lavoro.

Se un viaggiatore, scrivendo lettere

Giovanna nella prefazione ricostruisce un contesto ben preciso: “mio padre – dice – divideva allora il suo tempo tra Torino e Sanremo. A Sanremo stava nella stessa casa in cui era cresciuto, Villa Meridiana, dove abitava sua madre”. Lui e Chichita si conoscono nel 1962. La fama di Calvino sta crescendo, è già un nome noto, lo sarà sempre di più a livello internazionale. Dunque Calvino viaggia, lo fa spessissimo e queste lettere all’amata lo seguono. Anzi, sono loro, gli innamorati, che si inseguono. È divertente ritrovare tutti i commenti sui progetti di spostamenti e viaggi sia di lavoro che di svago, che mi hanno ricordato tantissimo la trama intricata del Viaggiatore: inseguimenti, peripezie, aerei prenotati, vagoni letto, viaggi con la Giulietta (la stessa di cui raccontava Ernesto Ferrero dicendo che Calvino era un pessimo guidatore).

Quella di Italo e Chichita è una vita policentrica, ma non potrebbe essere altrimenti per due intellettuali di livello come sono loro. Policentrici sono gli interessi: si parla di politica, editoria, cinema, ci si scambiano libri, e per raccontare di sé, per farsi conoscere, Calvino invita l’amata a leggere Pavese. Gli interessi sono tanti, sono vorticosi, ed è lì – è anche lì – che i due si trovano. Si percepisce da queste lettere un’intesa fortissima, un’amicizia, oltre l’affetto, che è ciò che rende la coppia così solida: Calvino vuole parlare solo con Chichita, solo da lei si sente capito davvero, e presto lei diventerà il suo mondo intero.

Un dato incredibile raccolto in queste lettere è il plurilinguismo, oltre al policentrismo. Schizzando tra Torino, Roma, Parigi, Sanremo e altri luoghi del mondo, Calvino scrive per lo più in italiano, Chichita in spagnolo, ma sono entrambe lingue contaminate da francese, inglese, e giochi linguistici creati per lanciare ponti e capirsi. “Che peccato che non capisci né la mia scrittura né la mia lingua. Ti ho scritto tante belle cose” dice un Calvino colto nell’affanno costante tra vita editoriale e voglia di ritiro creativo solitario. Come abbiano fatto, questi due, a capirsi e a trovare il tempo per scoprirsi con due vite così veloci e dense di contenuti, è un mistero grande e affascinante.

Una casa sul Po, una a Sanremo

Sono stata in via Santa Giulia 80 a cercare la casa torinese di Calvino  – e di Einaudi, abitavano nello stesso stabile come ben ricorda anche Ernesto Ferrero – e mi sono resa conto che il condominio affaccia direttamente sul Po, si vede l’acqua che scorre. Calvino ha tenuto per anni questo appartamento. Intanto la città intorno cambiava, ma quando ci abitava lui – era una casa di appoggio anche nei periodi in cui viveva a Parigi – dall’altra parte del fiume c’era lo zoo, come racconto anche in Torino di carta. Ecco, questo è un dettaglio reale che emerge dalle lettere a Chichita, che come tutte le lettere quasi sempre hanno l’indicazione del luogo, oltre alla data.

Non solo sono tantissime le ricorrenze in cui capiamo che Calvino scrive da Torino, ma anche i riferimenti alla città abbondano: c’è la vita di redazione all’Einaudi, i cui racconti non mancano mai, e poi ci sono piccoli graziosissimi dettagli. Per esempio una scatola di gianduiotti ordinati per Chichita al Caffè Baratti e Milano, “caratteristici cioccolatini torinesi”. C’è l’esperienza in una clinica, qualche riferimento alla casa di Roma dove andava di tanto in tanto per lavoro, per lo più ci sono treni, viaggi in auto, la solita Giulietta, incluso un incidente autostradale e un riferimento alla noiosa strada del Col di Tenda che Calvino prendeva per andare a Sanremo.

Nell’ultima lettera, che all’esordio di questo 2023 compariva su Robinson di Repubblica, Calvino scrive a Chichita che proprio nei giorni trascorsi a Sanremo era riuscito a dare vita a un progetto “cosmico” su cui ragionava da molto. Le cosmicomiche, di fatto, sono nate a Villa Meridiana nel 1963. Ma al di là di questi fatti reali, che restano sullo sfondo, c’è il gran teatro della vita e dell’amore di Calvino e Chichita, e un corteggiamento super intellettuale. Calvino è intento a presentarsi all’amata con una profondità e un’autoriflessione che lasciano senza fiato. Che quello tra lui e Chichita fosse un amore speciale, un legame profondissimo e di intesa intellettuale, oltre che affettiva, l’hho letto in tanti libri, e qualcuno me ne ha raccontato da vive testimonianze. È un discorso letto e sentito così tanto che, mi sono detta, alla fine sarà stato vero. Ecco, le lettere a Chichita confermano questo straordinario legame: era davvero così.

Col passare del tempo i ricordi di prima mano riguardanti mio padre si diradano e aumentano i saggi biografici scritti da chi non ha conosciuto né lui né i tempi in cui è vissuto. Calvino diffidava di operazioni del genere, anche quando era lui a compierle

Sulla natura dei ricordi, e dell’autobiografia

A colpirmi molto è l’incipit della prefazione di Giovanna Calvino: “col passare del tempo i ricordi di prima mano riguardanti mio padre si diradano e aumentano i saggi biografici scritti da chi non ha conosciuto né lui né i tempi in cui è vissuto. Calvino diffidava di operazioni del genere, anche quando era lui a compierle”. Basterebbe questo per farmi desistere da ogni tentativo di scrittura su un autore che non ho conosciuto mai: non avrei potuto per ragioni anagrafiche. Però ne ho letto molto: ho letto di lui, ho letto su di lui. Ho tante parole e tanti “castelli” in testa, tali per cui l’approccio alle lettere contenute in questo volumetto mi sembra l’estensione di qualcosa di imprendibile che sto cercando da tempo di circoscrivere, con scarsi risultati. C’è sempre un Calvino inedito e sorprendente che esce fuori.

Una spiegazione generale del mondo è l’incipit di La strada di San Giovanni, racconto centrale per capire il rapporto di Calvino con l’autobiografia. Nelle lettere a Chichita Calvino fa una cosa meravigliosa che tutti gli innamorati di solito fanno: si racconta all’amata, “spiega se stesso”, o almeno ci prova. Ma siccome è Calvino e non uno qualunque di noi, il risultato è straordinario. Beninteso: c’è da tenere un faro acceso parlando di discorso autobiografico, perché nei racconti Calvino siede alla scrivania del narratore e ne indossa, iper consapevole, i panni, mentre nelle lettere è semplicemente Italo che scrive a una donna con cui sta bene e con cui vorrebbe trascorrere la vita. In questo strano annodarsi di fatti testuali e fatti autobiografici non sono riuscita a – o meglio non ho voluto – orientarmi troppo: queste lettere sono così belle che per me mantengono un valore letterario. Con buona pace di Chichita che, lo dice Giovanna stessa, non le avrebbe pubblicate per una forma di pudore e perché lei stessa, in vita, era uno dei poli di una storia d’amore bellissima.

Prendiamo dunque il materiale vario che ci forniscono queste lettere con qualche precauzione: i ricordi sono labili, ci dice Calvino; Calvino che è uno scrittore, e dunque un po’ di elaborazione letteraria in questi scritti forse c’è sempre, un po’ di gioco letterario; sono lettere che si accompagnavano a telefonate, viaggi, relazioni e dialoghi, non sono dunque un universo chiuso, ne sono uno spigolo. Sono lettere d’amore: frammenti di una storia che si stava concretizzando, di un guscio di conchiglia che si concrezionava nel racconto reciproco di due anime in sintonia. Cautela, quindi, ma anche occhi aperti per tutta la straordinaria vitalità e l’amore che si legge dentro queste parole di un Italo inedito.

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Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!