Ha inaugurato lo scorso 26 gennaio e resterà visitabile fino al 13 ottobre 2024: Le ossa della terra. Primo Levi e la montagna, è la mostra che il Museo della Montagna di Torino dedica allo scrittore, approfondendo in un percorso inedito e originale alcuni aspetti della sua vita e del suo lavoro. Prima di parlarne, un po’ di credits: la mostra è curata da Guido Vaglio e Roberta Mori ed è organizzata in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi, una realtà torinese da scoprire e conoscere che attualmente, tra le mille attività di curatela e approfondimento, ha anche riportato in città la bellissima mostra I mondi di Primo Levi.

“Le ossa della terra” costruisce un percorso tematico attraverso foto, testi originali, reperti curiosi e idee. Sono quelle di Primo Levi: a fare da filo conduttore alla narrazione c’è infatti la voce del chimico-scrittore. In una veste per certi versi inedita, quella di amante della montagna. Chi ha letto Il sistema periodico forse ricorda, come me, i racconti dedicati alla scalata delle montagne, al rapporto di sfida e resistenza con la roccia che è, per l’appunto, il sistema osseo della terra, e quindi non si stupirà della scelta di questa esposizione. Chi, al contrario, fosse ancora sulla soglia dei tanti mondi di Levi, avrà una splendida occasione per disvelare quanta profondità, quanta storia e quanta vita ci sono dietro le pagine di uno scrittore ancora pensato e conosciuto solo come testimone.

Io ho ri-scoperto Primo Levi nei suoi mille mondi grazie al lavoro per Torino di carta: forse perché mi sono concentrata sul legame con la città, forse semplicemente perché ho allargato la bibliografia di riferimento ai romanzi e racconti non esclusivamente legati alla memoria della Shoa.  Così procedendo ho trovato un universo inesplorato e tanti, tantissimi spunti che prima o poi recupererò e dai quali partirò per studiare una voce singolarissima della nostra letteratura. Mi sono quindi assicurata una copia del catalogo della mostra che, oltre a contenere i testi dei curatori e le immagini dei documenti e delle opere esposte, è arricchito da contributi di Enrico Camanni, Massimo Gentili Tedeschi, Giuseppe Mendicino, Alessandro Pastore, Marco Revelli e Domenico Scarpa.

Le parole per la montagna

Avevo intitolato questo paragrafo, in origine, “Storie del Sistema periodico”. Mi sembrava infatti che una prima ricognizione della mostra al Museo della Montagna non potesse che partire da quei racconti ciascuno dei quali intitolato come un elemento della tavola periodica. Perché è lì che avevo appreso del rapporto speciale di Primo Levi con la montagna, e non mi sbagliavo. Tornano infatti tra le foto – bellissime – di Primo Levi ragazzo e adulto, ma anche le sue idee, le annotazioni, e molte citazioni da “Potassio”, “Oro, “Ferro”. Quest’ultimo, in particolare, è il racconto che forse più di tutti mette in evidenza la passione per le vette come elemento chiave nell’esperienza di vita e umana di uno scienziato, geologo ma anche chimico, inestricabilmente intrecciata ai rapporti con le persone e con la Storia.

È la storia grande, quella decisiva, che sorprende Primo Levi in montagna. Anche questa è una pagina cardine di Il sistema periodico, ne parlo tra poco approfondendo un altro tema che lega la “palestra di roccia” alle amicizie di Levi. È con quelle esperienze umane che lo scrittore ha allenato la propria resistenza, imparando a sopportare, a non perdere la fiducia, a prepararsi ai pericoli. Non è un caso se “andare in montagna” fosse diventata, dopo l’8 settembre, l’espressione che significava entrare nella lotta partigiana. E Primo Levi, come scoprirà chi lo legge per intero e chi visita “Le ossa della terra”, aveva dato il via a un’esperienza partigiana in montagna finita tragicamente, come ben sappiamo. Sarà infatti catturato il 13 dicembre del 1943 in Valle d’Aosta con altri quattro amici. Non tutti faranno ritorno.

Storia grande, e storia singola di un uomo: in mostra ho scoperto una lunga intervista a Primo Levi di Alberto Papuzzi, giornalista suo amico (e, per inciso, autore del mio manuale universitario di linguaggio giornalistico) e compagno di escursioni su quella montagna così decisiva per la formazione dell’uomo Primo Levi. Montagna speculare alla città mai lasciata, Torino, e montagna centrale per un’intera generazione che a quella roccia aveva aggrappato le speranze di un futuro migliore che, a un costo altissimo, ci è stato garantito. Fuori tema ma non troppo: la mostra è ospitata dal Museo della Montagna di Torino che, oltre a una posizione invidiabile in alto sulla prima collina, a dominare il panorama sulla città e sulla sua corona alpina sullo sfondo, è sede di un’esposizione permanente dedicata alla scoperta della montagna e al suo rapporto con l’uomo. In questo racconto c’è anche il CAI, nato a Torino. Dunque non è male, prima di visitare la mostra su Primo Levi, fare un giro al museo: una volta tornati a “Le ossa della montagna” si scoprirà anche cosa ne fu del CAI durante l’epoca fascista, e si troverà un reperto che mi ha emozionata molto, ovvero i quaderni dei bivacchi di montagna dal 1939 al 1945, una testimonianza preziosa che aiuta a fare la storia grande attraverso le storie piccole che sono rimaste in forma di inchiostro su quelle pagine.

La montagna e gli amici di Primo Levi

Se in montagna Levi trova tanti degli elementi del suo sistema periodico, è sempre lì che forma, costruisce e alimenta una rete di sostegno preziosissima: i suoi amici. Ho già scritto che questo percorso al Museo della montagna racconta una personalissima esperienza di vita nel rapporto più vivo e inebriante con la natura, ma anche un’esperienza umana profondissima. È emozionante vedere le foto di gruppo che ritraggono Primo ragazzino con gli amici di famiglia, e poi da ragazzo, con alcuni volti che, sappiamo dalla storia, non vedranno mai un’Italia libera, o con alcune persone che invece ci saranno sempre, invecchiando insieme a Levi stesso. Una di queste è Bianca Guidetti Serra, “l’amica”, come recita il titolo di un libro che narra del legame tra lei e Primo Levi. Inserita tra i Giusti dell’umanità, come ricordavo in questo mio articolo che ne riprende uno vecchio, Bianca ebbe un ruolo determinante durante la prigionia di Levi, la storia la racconta bene Carlo Greppi in un altro volume bellissimo che è Un uomo di poche parole.

Prima che la tragedia della deportazione distruggesse tutto, per Primo e i suoi amici la montagna era un meraviglioso spazio di libertà: il luogo della trasgressione dei ragazzi, dove sentirsi, ed essere liberi, mettersi alla prova, divertirsi. Grazie ad alcuni quaderni e libri “segreti” che testimoniano il periodo milanese dei vent’anni, tra il 1942 e il 1943, scopriamo delle avventure di Primo con i suoi compagni all’insegna dell’ironia e della scanzonatezza, sullo sfondo di una grande storia che incombeva – oggi lo sappiamo – e che avrebbe trasformato le vite di ciascuno di loro. A colpire è proprio questa viva umanità: c’era la guerra, ma loro erano ragazzi appassionati di montagna, c’era il fascismo, e loro credevamo fortemente in un ideale di libertà e onestà. Sono diventati ingranaggi della Storia, piccoli pezzi che oggi ci parlano e ci indicano la via.

Più di tutti, e insieme a Bianca Guidetti Serra, la figura che si staglia in questa parte del percorso è certamente Sandro Dalmastro, di cui Levi ci lascia un ritratto fatto di parole – solo parole: impossibile fissare la vitalità del suo amico – in “Ferro”, dentro Il sistema periodico. Un ragazzo geniale, studente di chimica e nel tempo libero amante della montagna, che affrontava come sfida fisica. Il tema sarà costante in Levi: una prova che si snocciola nel rapporto con l’elemento naturale, con la materia. Sempre di un chimico stiamo parlando. Grazie a queste pagine di vita intensissima (affiancate tuttavia da letture che faranno il futuro scrittore, senza mai allontanarlo dal mondo delle parole: la mostra lo ricorda bene!) capiamo come la montagna sia stata una scuola. Nel cuore di un’Italia stretta nella morsa della retorica fascista, arrampicarsi era una prova costante di onestà intellettuale in perenne dialogo con la concretezza. Un modo per restare se stessi, per trovarsi e identificarsi prima di essere travolti. E così, per resistere.

Uno scrittore torinese, e i suoi simili

Il legame di Levi con la montagna non è solo una scusa intorno alla quale costruire questa mostra: è uno snodo determinante nella sua vicenda. Ancora una volta, chi ha letto Il sistema periodico lo sa bene e troverà nel percorso del Museo della montagna vari puntelli per disvelare un tema molto più ampio. In effetti, c’è tantissimo nei libri di Levi, e usciti dal Museo verrà voglia di rileggerli, oppure cercarli e scoprirli, perché quest’uomo che guardava alla scienza e insieme alla letteratura ha volato altissimo.

La prima parte della mostra offre un ulteriore spunto di analisi che mi ha fatto allungare la lista delle letture di fare. Accomuna infatti l’esperienza di Levi ad altre due parabole parallele di testimoni-letterari, cioè Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern. È innanzitutto la montagna a unire i tre scrittori. La guerra è alle spalle, ciascuno vi ha partecipato a suo modo, vivendo l’esperienza di una disumanità senza mai perdere il contatto originale con la materia viva. È singolare che ad accomunarli sia proprio una passione. Ma è una passione che racconta un mondo intero: porta alle radici naturali, e insieme è la guerra, connatura tutte le esperienze di trasgressione, libertà e dramma che Levi, Rigoni Stern e Revelli hanno sempre intrecciato ai loro racconti di resistenza.

Sono davvero toccanti le lettere e le dediche sui frontespizi dei rispettivi libri di questi scrittori. Ci sono dentro le vibrazioni di un rapporto di stima vera, ci sono le parole spontanee della letteratura nel suo essere pura, concentrata e profonda, senza le luci di apparenza che viviamo oggi sui social, ci sono infine l’eleganza e la cortesia di un mondo che era diverso da quello di oggi. Eppure era solo l’altro ieri: i tanti video che corredano la mostra ci presentano immagini a colori dei tre scrittori impegnati in tanti incontri pubblici. Protagonisti di un Novecento oscuro che, tuttavia, ci hanno insegnato modi dello sguardo intrecciati alla natura – alla montagna in questo caso – e all’umano. Non hanno mai abbandonato questo doppio legame, e sono convinta sia per questo che “Le ossa della terra” è una bellissima scusa per tornare sulle pagine di Levi, ma anche di Rigoni Stern e di Nuto Revelli. Perché di montagna, di amicizia, e di resistenza c’è ancora tantissima necessità.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!