Giallo e azzurro, mimosa in esplosione floreale e cielo terso: l’annuncio di primavera in Riviera di Ponente arriva prima del 21 marzo, tanto che a febbraio si registra sempre un cambio di passo, la luce si allunga, il tepore dei raggi risveglia le gemme. Ma poi accade anche qualcosa di insolito, come questa nebbia di mare che tra il 24 e il 25 febbraio si è vaporosamente e insidiosamente alzata dai flutti, abbracciando le città.

La città smarrita nella caligo

Caligo: si chiama così, ed è un sostantivo femminile. Dunque la caligo: la nebbia di mare. Un fenomeno stranissimo e, pare, a sentire i meteorologi, assai raro. La scienza ci dice che è generato dalla caduta di aria calda sulla superficie marina, in questo periodo alla temperatura più fredda dell’anno. La conseguenza è la creazione di vapore, di nebbia. Solo che non siamo in Pianura Padana in una di quelle grigissime mattine che ricordo di aver trascorso in treno a guardare il lattiginoso nulla dal finestrino. No, siamo nella ridente e soleggiata Riviera dei fiori, che deve il suo nome alle coltivazioni e al relativo mercato diventato importantissimo proprio grazie al clima mite e temperato che permetteva di avere fiori in serra e non praticamente sempre.

E invece la nebbia. Chiariamoci, non una lieve foschia, non una nuvoletta passeggera. No, la caligo si è manifestata poderosamente prima sul Levante e sul genovese, regalando immagini inedite della Lanterna impacchettata tra le nuvole, e poi, quando ormai non ce lo aspettavamo più, noi di Ponente che siamo abituati al sole tutto l’anno e al microclima unico che ci regala l’orografia del territorio, eccola lì, la nebbia su Imperia. Al mare. Anzi, la nebbia dal mare, che adagio adagio ma implacabile si alzava dalla superficie d’acqua salata e, aumentando spessore con il calore del sole, si infilava tra i palazzi.

Sono spariti i fari, baluardi del porto, gli alberi delle barche, i campanili e il grattacielo che segna lo skyline di Oneglia. Passeggiavo tra l’attonito e l’affascinato sul molo e l’unica immagine che mi veniva in mente era quella di una grande gomma che stava cancellando la mia città. Mi è venuta in mente La città smarrita nella neve, il racconto di Italo Calvino raccolto in “Marcovaldo”, dove il protagonista si affaccia una mattina dalla finestra e trova tutto bianco. Certo, in quel caso è la neve, ma la sensazione di un foglio bianco su cui riscrivere la città è stata proprio simile.

Benvenuti a Rotterdam, Riviera dei fiori

All’improvviso lo sguardo non riusciva a spingersi più in là di una coltre lattiginosa che odorava di alghe e pesce. Benvenuti a Rotterdam, ho pensato. L’atmosfera era proprio quella dei porti brumosi del grande nord, visibilità ridotta, gorghi di luce sull’acqua, gabbiani arresi e appollaiati sulla superficie del mare, pochi passanti incuriositi colti a guardare nel niente. E le barche in porto, commenti dialettali di pescatori sull’inutilità di uscire, una nave cargo attraccata al molo corto di cui a stento si intuisce il profilo, viaggiando con la mente tra immagini di grandi porti del nord Europa e di una serie infinita di libri e storie immagazzinati in testa.

Me lo ricordo, il porto di Rotterdam: una città fantasma. Enorme distesa di acqua grigia, moli e boe galleggianti decorate da gabbiani in attesa di calcolare i venti e le rotte, gru in movimento, una giungla di braccia meccaniche apparentemente robotizzate, nessun umano all’orizzonte, solo i flutti di un grande mare aperto molto più oscuro e insidioso del brillante e azzurro Mediterraneo che scalda cuore e anima a noi che sul mare ci viviamo.

Foschia, pesci, africa sonno nausea fantasia. Esatto, Genova per noi di Paolo Conte fa proprio così: tutti qui in Liguria la sappiamo a memoria e ce la cantiamo in testa quando il cielo sul mare si copre e ci sentiamo addosso quella nebbiolina salmastra che sciupa i capelli perfettamente in piega e che, soprattutto, ci spinge via, ci fa viaggiare con i pensieri e ci porta chissà dove, frastornati nel biancore inaspettato, senza più direzioni, senza più le luci sicure del porto. Ci confonde un po’ le idee, a noi che abbiamo sempre l’orizzonte del mare ben stampato nello sguardo (Calvino non aveva tutti i torti quando parlava della sua prima immagine del mondo).

Macaia, scimmia di luce e di follia

Leggendo articoli e commenti vari sui social in questi giorni di follia collettiva (Paolo Conte tanto lontano non ci era andato) e di foto postate sui social dove i nostri bei borghi di mare sono vestiti di caligo, ho scoperto (riscoperto: ne parlavo già in tempi non sospetti proprio qua sopra) la sottile differenza tra i due fenomeni: caligo e macaia.

Come conferma Treccani, caligo è un nome femminile (o maschile, soprattutto in regionalismi nel nord Italia) che deriva dal latino caligo-caliginis (caligine: ma che parola meravigliosa è?!) e significa proprio nebbia, foschia. Certo, se la caligo si manifesta in Liguria diventa un fenomeno spiazzante, e infatti abbiamo dato tutti di matto, immersi in atmosfere affatto nostre, improvvisamente nascosti sotto una coperta salmastra che, sospinta dal vento da sud, si insediava tra le case, tra i vicoli e risaliva le colline tra le fasce, generando panorami davvero insoliti e suggestivi. A guardare certe foto di promontori sembra di viaggiare in aereo e vedere la città dal finestrino, tra le nuvole, un mare – letteralmente – di nuvole.

E poi c’è lei, la macaia, che non è solo un fenomeno generato in stagione più estiva sempre dallo scontro di due fronti caldo (l’aria) e freddo (l’acqua del mare), ma è proprio un modo di essere. Ovviamente ligure. Anzi, tutto ligure: c’è in Paolo Conte che racconta Genova, sì, ma c’è in De André, e in Bruno Morchio. L’etimologia è altrettanto affascinante: pare derivi dal greco malakia, languore, o forse dal latino malacia, cioè bonaccia di mare. Una specie di stasi ovattata, che va a braccetto con la saudade genovese, quella malinconia che sa di viaggi per mare e orizzonti, di mugugno e rimestamento interiore. Insomma: sa proprio di Genova, di mare e reti tirate su, barche in secca e gente che passeggia sul molo con le mani sprofondate in tasca. Non c’è espressione migliore per definire quel languore lì, quello che ogni ligure ha provato in questi giorni tra stupore e straniamento, immaginando di approfittarne per delle foto uniche, o camminandoci dentro, in mezzo al bianco senza più alcuna bussola, vaneggiando di climi e atmosfere perfette per qualche storia.

Sul sito turistico della Regione Liguria trovate un po’ di spiegazioni sulla caligo, e una bella galleria fotografica da Ponente a Levante.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!