C’è forse una data migliore del 29 febbraio per parlare di una vacanza che è stata quasi non registrata, e di uno dei suoi luoghi più suggestivi? Il Convento dei frati Cappuccini di Monterosso al mare appare di tanto in tanto, più che nei ricordi, nella mia consapevolezza. Un anno e mezzo fa sono stata alle Cinque Terre, da sola. Avrei voluto andare al mare per stare qualche giorno in pace, nel relax totale. Era la fine di un settembre caldo, uscivo da una stagione lavorativa intensa e da una strada di ripensamenti, ansie, desideri disattesi e amarezza. Niente lasciava immaginare che avrei trovato quattro giorni di mareggiata intensa, tanto da dover rinunciare alla spiaggia e a qualsiasi uscita in barca.

Non restava che cavarsela ugualmente, da soli. Volevo andare al mare per rilassarmi e non pensare a niente, e invece no. Non ho mai tirato fuori asciugamano e occhialini: se ci penso, oggi, mi sembra una vacanza irreale, una parentesi di cui ho una coscienza antica rimasta impressa nelle sensazioni, più che nello sguardo. Eppure ho visto cose incantevoli, ho incontrato, e parlato – io, da sola! – con un sacco di persone. Tra queste, c’è Alberto del Convento dei frati Cappuccini di Monterosso. Un posto dell’anima che ha chiuso la mia stranissima vacanza dandole un senso speciale. Un posto a cui penso da allora, senza mai aver avuto lo slancio per scriverne. Ma lo avevo promesso, ad Alberto, e con un ritardo clamoroso oggi vi racconto di questo posto, e dell’esperienza rara e di estrema grazia che ho vissuto.

Una cornice insolita

Quando sono arrivata a Monterosso al mare avevo diverse cose da testare e imparare. Su di me, prima di tutto. La cornice di quella vacanza era insolita, stranissima, mi ha sfidato e un po’ scottata. Prima di salire al Convento, sola e tra le gocce di pioggia, avevo trascorso tre giorni interi a contatto con le contraddizioni delle Cinque terre, e di me stessa. Avevo cenato due volte sola al ristorante, e chi ci è passata sa quanto possa essere imbarazzante chiedere un tavolo per uno quando fuori c’è la fila, sapere di occupare un posto invece che due, mangiare in silenzio, soli, gli sguardi altrui che accoltellano, la solitudine come una muta che cerca di fare da guscio protettivo, ma quasi soffoca, e fuori tintinnio di bicchieri e atmosfera rilassata da vacanza, persone che condividono e tu no, sola, lo sguardo tuffato nel telefono.

Stare da soli agita, a volte. Ma in un contesto tutto sommato piccolo e raccolto, succede che poi, rogressivamente, si prende familiarità con i luoghi e, al contempo, col proprio spazio interiore. Può finire anche che ci si ritrovi. A piccoli passi ci si affaccia su una pagina nuova, inedita per se stessi. Alle Cinque Terra cercavo una vacanza, nel senso più banale, ma non sapevo bene cosa aspettarmi, nemmeno bene dove aspettarmelo. Forse in riva a quel quadrato azzurro intenso che avevo visto spesso dal finestrino del treno e dovrei avrei desiderato fermarmi. Invece ero lì e non potevo.

Però non dovevo perdermi d’animo: i posti erano incantevoli, paesaggi sempre visti solo in cartolina e ora a mia disposizione, e luoghi con la propria storia spesso destinata a finire in secondo piano rispetto alla fama paesaggistica. Avevo scelto Monterosso come base sia per le sue belle spiagge, che ho vissuto mentre erano spazzate via dal mare, sia per la presenza di un luogo che mi attirava e incuriosiva con il suo fascino spirituale e la promessa di essere ben altro che un prodotto di marketing turistico. Un posto autentico, da conoscere per davvero: il Convento di Monterosso.

Contraddizioni e meteo

Seguendo la linea delle parole di Montale scolpite sul lungomare di Monterosso, tra le onde fragorose e la minaccia della pioggia, ho trovato cose da vedere, persone da osservare, visite guidate cui partecipare, abbonamenti per il treno che mi hanno permesso di visitare tutte le Cinque Terre, più La Spezia, schivando l’acqua ed emozionandomi. La mareggiata era spettacolare con i suoi colori, la sua potenza, i boati delle onde sugli scogli dentro i borghi, nuvole di arcobaleno tra il sole ancora caldo e gli spruzzi di acqua salata tutto intorno. Mi sono stupita perché, cercando una vacanza al mare, avevo trovato dei luoghi di mare non propriamente rispondenti alla mia idea. Tutti i borghi erano gremiti di persone da tutto il mondo, prezzi alle stelle e treni stipati: mi sono interrogata sulla sostenibilità di questa situazione affacciata a parapetti ai quali tutti aspettavamo romantici tramonti leccandoci le labbra per la salsedine che le onde ci avevano spalmato sopra. Sono uno strano posto, le Cinque terre. Vanno prese da ligure, forse.

E per quanto fossi “dell’altra riviera”, ho cercato di fare proprio così. Cambiare prospettiva, rivedere le conoscenze spesso traballanti, ridefinire strategie e ottimizzare: i miei giorni alle Cinque Terre sono stati all’insegna di un cauto guardarsi intorno, chiedere di tanto in tanto, esplorare. Ci sono stati errori, movimenti inutili, momenti di difficoltà. Cercavo cose, non sapevo nemmeno bene cosa: avevo letto, immaginato, in tutti e cinque i borghi ero già stata e ricordavo. Ma non avevo esplorato. È finita che, in questa strana vacanza che ho riposto nell’armadio come un maglione per il quale è passato il tempo, ho fatto moltissimi passi più del previsto. Li ho fatti schivando il brutto tempo che, implacabile, ha colpito l’ultima mattina, peggiorando fin tanto che sono salita sul treno del ritorno fradicia di acqua.

Ma il mattino, no, il mattino dell’ultimo giorno era solo tutto plumbeo: il lungomare di Monterosso quasi deserto, considerato il flusso turistico inaspettato anche in quella che credevo essere bassa stagione, faceva una strana impressione, come qualcosa di inedito. Sembrava, insomma, tutto sbagliato. Credevo che l’ultimo appuntamento che avevo prenotato sarebbe saltato, e nuovamente provavo la sensazione di qualcosa di desiderato che non va come previsto. Che senso aveva, con un tempo così, salire a piedi fino al Convento, posto in cima sopra al borgo, e non godere di alcuna vista panoramica? Niente mare azzurro, niente sole giallo. Solo colori da giornata malinconica di autunno: una gamma di grigi e blu.

“Allora ti aspetto”

Del Convento di Monterosso avevo letto online, scoprendo che, contattando la struttura, sarebbe stato possibile anche visitarla. “Pace e bene” è il saluto francescano che si legge sul sito. Sito che è peraltro aggiornato e gradevole. Ho da subito immaginato che a curare la comunicazione del Convento fosse qualcuno di capace. Anche perché non c’è solo la vetrina web: il Convento è coinvolto in e promuove una serie di iniziative che hanno il minimo comun denominatore nell’accoglienza e, aggiungo io, nel sorriso. Si percepisce un’atmosfera di serenità e pace, appunto. Sarà per questo che quella mattina, nonostante la minaccia di pioggia intensa e l’allerta lanciato da Regione, ho trovato il coraggio di salire a piedi lungo la stradina che dal lungomare di Monterosso si arrampica tra i pini verso la chiesa, il Convento e l’orto.

Ero l’unica, per strada. Mi ero dotata di mantellina antipioggia e ombrellino, e un po’ mi sembravo come quei famosi pellegrini che non pensavo esistessero davvero, in un posto inflazionato come le Cinque Terre. Ma questo è un crocevia di cammini: mi sbagliavo. Un’altra contraddizione meravigliosa di queste piccole e affascinanti borgate: volevo andare al mare e invece no, le folle premevano alle porte dei ristoranti e io ero sola, e mentre la gente imperversava, ora scoprivo un posto di silenzio e pace sulla vetta del colle San Cristoforo che dominava il borgo elettivo di Montale. Superficie e profondità: proprio come le Cinque Terre, che verticali scendono e si incastonano sui panorami larghi e orizzontali di un meraviglioso mare.

In comune tra le due visioni del mondo c’era sicuramente la bellezza. Di questo non ho mai dubitato, ancora prima di partire, quando ho contattato il Convento per chiedere se fossero possibili visite, dal momento che mi sarei trovata a Monterosso. Anzi, è stato fin da lì che mi sono sentita accolta. Alberto mi ha contattata su whatsapp, preoccupato che gli fosse arrivata la mia mail automatica in cui dicevo di essere in vacanza. Abbiamo fissato l’ora e mi sono scusata per la mail scrivendo che era “un automatismo utile ma anche ostile”. Al che Alberto mi ha simpaticamente risposto che l’espressione l’aveva fatto sorridere e l’avrebbe utilizzata. È stata una bella presentazione: parole scritte che precedono un’accoglienza. Non lo sapevo allora, credo, ma probabilmente in quella strana vacanza solitaria e meteorologicamente sfortunata stavo cercando un posto-rifugio, qualcosa da scoprire e che mi desse una sorta di abbraccio. L’avevo trovato.

Un piccolo luogo dell’anima

Quella mattina ha iniziato a piovere appena sono arrivata sulla piazzetta sulla quale si affaccia la chiesa. Sono dunque entrata, per riparami, senza sapere che di lì a poco sarei tornata accompagnata da Alberto, mio cicerone alla scoperta dei tesori del Convento. Non c’era un’anima e il silenzio era totale, ecco perché mi sono subito accorta dei ragazzi stranieri che approdavano in cima alla salita, come me poco prima, anche loro in pantaloncini e giubbini antipioggia. Mi sono sentita meno fuori luogo. E così, rotti gli indugi, ho citofonato al convento. E sono stata accolta.

Direi che la frase già riassume tutto da sé: accolta. All’asciutto, con un sorriso, con estrema disponibilità. In fondo ero sola, rompevo le scatole con la mia curiosità, e non era nemmeno la giornata più bella del mondo. Le indicazioni sul Convento – non mi dilungherò qui nella sua storia, perché questa è una mia storia: sul sito si trova tutto! – dicevano che questo è un luogo “dove si sperimentano quotidianamente la serenità francescana e una profonda spiritualità”. Non sono bugie. Tutto è semplice ma accogliente: è la prima sensazione che, ancora più veloce e intensa dei pensieri, mi ha colto non appena entrata. “Va tutto bene, sei a posto, è giusto così” sembrava suggerire tutto. Alberto mi ha accompagnata tra le varie stanze della zona visitabile. La mensa è forse il luogo che mi ha colpita di più. Dapprima per la semplicità della tavola, pure estremamente accogliente, un abbraccio in forma di convivialità, e poi, ma solo poi, per la finestra sul panorama.

Sono convinta, e un po’ ne faccio un vanto, di essere tra i pochissimi ad aver goduto dell’incantevole cartolina della vista dall’alto dal Convento su Monterosso in una giornata plumbea. Non è mica da tutti. I colori erano affascinanti, il mare aveva delle sfumature incredibili e la minaccia della pioggia era ormai una certezza. Certo, mi ha detto Alberto, qui col sole cambia tutto. E un po’ mi è dispiaciuto non poter godere degli spazi all’aperto di quello che è per antonomasia un posto panoramico eccezionale. A pensarci ora, però, i colori che conservo rispetto a quella scena sono davvero unici: era l’autunno che premeva, e io ero al riparo. Credo che questa sensazione mi resterà addosso, e anche se riproverò l’emozione della visita al convento in una giornata tipicamente mediterranea, il ricordo andrà sempre a quella mattinata silenziosa e fredda, alle gocce che bagnavano il chiostro mentre Alberto mi concedeva un po’ del suo tempo e della sua storia personale, intrecciandola a preziose informazioni sulla gestione del Convento, ma anche sulla chiesa, e sulle attività bellissime portate avanti dalla comunità che ruota intorno al lavoro di Padre Renato Brenz Verca, che ho anche incontrato quella mattina.

Trovarsi, a Monterosso al mare

È stata un’esperienza molto peculiare, la mia. Ha coronato una prova di solitudine intensa in un giorno anomalo, esattamente come questo 29 febbraio in cui scrivo, un anno e mezzo dopo il viaggio, quando ancora l’opuscolo del Convento dei frati Cappuccini di Monterosso gira tra i miei quaderni e fogli e mi ricorda, con la sua immagine piena di sole e mare piatto estivo, che quella che ho visto era una pagina davvero unica.

Ho attribuito un valore speciale a quest’esperienza, così piccola, circoscritta eppure intensa. Perché è come se mi fossi trovata. Mi sono messa alla prova con una scommessa e, lasciata libera di esplorare e fare pasticci, ho trovato un posto sconosciuto ma accogliente, davanti a una porta che mi è stata aperta, tratta in salvo dalla pioggia, a godere di una natura che fa un po’ quello che vuole, e che a volte scombina i piani. Ma che, a ben vedere, ripassando velocemente le spettacolari foto di quella mattina, è bella proprio per questo.

Il Convento di Monterosso resta, per me, un autentico luogo dell’anima: piattaforma di contatto con una me stessa più autentica, con una spiritualità che il frastuono della vita quotidiana sopisce. Un luogo di serenità: va tutto bene, è possibile sorridere, fermarsi un attimo e respirare, ritrovandosi. Il Convento è naturalmente visitabile: tutti i dettagli sono online e qualcuno vi risponderà alle richieste di informazioni. È una meta per gli amanti della storia dell’arte, visto che risale al Seicento e custodisce qualche piccolo tesoro. È un rifugio per quanti siano in cerca di una spiritualità vicina al messaggio francescano, e organizza anche ritiri spirituali. Ed è un posto stupendo, sia che si tratti di una giornata di sole e di azzurro, sia in mezzo a una tempesta. Parola mia.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!