Questa intervista a tre, che considero una delle occasioni più fortunate della mia storia professionale, è stata pubblicata originariamente il 28 dicembre 2017 su Mentelocale Torino. Se il jazz a Torino avesse tre nomi, tra i tantissimi potrebbero essere questi tre: Enrico Rava, Flavio Boltro, Fabrizio Bosso: tre generazioni diverse allo stesso strumento. Che fortuna intervistarli, che onore!

Flavio Boltro, Fabrizio Bosso, Enrico Rava

Enrico Rava, Flavio Boltro e Fabrizio Bosso: tre generazioni di trombettisti che raccontano l’eccellenza del jazz italiano , ma anche tre torinesi riuniti nella speciale occasione di una festa di compleanno.

Lo scorso 9 e 10 dicembre il contrabbassista Rosario Bonaccorso ha infatti spento le 60 candeline in musica in una doppia serata che ha visto protagonisti alcuni tra i più noti rappresentati del jazz italiano nel mondo. Al teatro Lo Spazio Vuoto di Imperia c’erano anche Dino Rubino, Enrico Zanisi, Alessandro Paternesi, Aldo Zunino, Andrea Pozza, Nicola Angelucci, Emanuele Cisi, e ancora David Gordon, Bebo Ferra, Alessio Menconi, Riccardo Zegna, Christian Lavernier, e poi gli artisti e percussionisti del PercFest, che Bonaccorso organizza da vent’anni a Laigueglia (Sv) ogni estate, Marco Fadda, Giorgio Palombino, Paolo Pellegatti, Luigi Bonafede, Dominique Viccaro e la trascinante energia cubana di Janysett Mcpherson.

«I protagonisti della mia vita musicale – li ha definiti il contrabbassista – e gli amici di quarant’anni di musica». Alcuni conosciuti da ragazzo, quando iniziava a entrare nel mondo del jazz, proprio a Imperia, dove Bonaccorso ha le radici affettive ed emotive pur essendo siciliano e abitando ora in Austria, altri incontrati durante un percorso musicale che lo ha visto girare il mondo insieme al suo contrabbasso e ai tanti colleghi che sono accorsi alla sua festa di compleanno. Tra loro Enrico Rava, con cui ha collaborato, tra gli altri, al progetto Un Incontro in Jazz insieme a Flavio Boltro, Gino Paoli, Danilo Rea e Roberto Gatto, e poi Fabrizio Bosso, parte del Travel Notes Quartet con cui Bonaccorso ha dato luce a Travel Notes e In cammino, insieme ad Andrea Pozza e Nicola Angelucci. Il suo ultimo lavoro lo vede ancora una volta band leader e compositore, si chiama A Beautiful Story e riunisce insieme a lui giovani talenti del jazz come Dino Rubino alla tromba, Enrico Zanisi al piano e Alessandro Paternesi alla batteria.

«In Italia abbiamo dei talenti pazzeschi, alcuni dei quali sono qui in queste serate – è il commento di Enrico Rava – ma siamo come la Spagna: ci sono dei musicisti strepitosi che nessuno, fuori, conosce, siamo pieni di nomi famosissimi noti solo a noi, e forse neanche. Se non si esce dai confini, si resterà lì tutta la vita. A chi voglia veramente fare jazz consiglio di andare dove c’è la musica, di non restare a Torino, Messina, Firenze…Andate dove succedono le cose: Parigi, New York, Londra, non per sempre, ma per entrare nel giro. Come ho fatto io».

Enrico Rava è senza dubbio uno dei jazzisti italiani più noti a livello internazionale

Nato a Trieste nel 1939 ma trasferitosi presto a Torino, città originaria della famiglia, Enrico Rava è senza dubbio uno dei jazzisti italiani più noti a livello internazionale. Sulla scena dagli anni Sessanta, come ben racconta il recente film-documentario Note necessarie che gli ha dedicato Monica Affatato, Rava ha iniziato tardi a suonare la tromba, fuggendo da Torino in cerca di nuovi stimoli.

«Il mio rapporto con Torino è conflittuale – racconta infatti – durante la mia infanzia e adolescenza era una città grigia e operaia, dove succedeva pochissimo dal punto di vista culturale. Sì, c’erano alcuni punti di riferimento come il cineteatro Romano, cinema d’essai, ma c’era poco jazz, un grosso concerto all’anno forse, alcuni meravigliosi come Armstrong o più tardi Miles Davis. Per il resto dell’anno c’erano i circoli del jazz, una cosa tristissima, erano per esempio la sede degli ex allievi del San Giuseppe, oppure l’Arci, dove ci si riuniva una volta a settimana per ascoltare insieme i dischi. Era un’epoca molto diversa da oggi: sto parlando della fine degli anni Cinquanta. Per me quindi, quando ho iniziato a suonare e avevo quasi 18 anni, l’unico desiderio era quello di scappare il più lontano possibile, cosa che ho fatto a 23 anni».

Flavio Boltro, un’altra delle eccellenze della tromba jazz italiana

Generazioni diverse, e una città che evolve anche nel jazz, come testimoniano le storie di Flavio Boltro, classe 1961, e di Fabrizio Bosso, nato nel 1973, entrambi diplomati al Conservatorio Verdi. «Sono nato a Torino, ci ho abitato fino a cinque anni e poi ci siamo trasferiti a Pianezza perché mia mamma, che era maestra, passò di ruolo lì – a parlare è Flavio Boltro, un’altra delle eccellenze della tromba jazz italiana, all’attivo le collaborazioni con Cedar Walton, Bob Berg, Don Cherry, Billy Hart, Billy Higgins e con il nostrano Stefano di Battista – a Torino ho mosso i primi passi e fatto le prime jam session nell’unico locale che c’era in quegli anni, Il capolinea dell’8. Le prime volte andavo con mio papà, che mi accompagnava perché ero minorenne e non avevo ancora la patente».

Trombettista anche lui – aveva suonato con Fred Buscaglione, Cinico Angelini, Gorni Kramer è con il papà che Boltro ha iniziato lo studio dello strumento.  «Il mio approccio con il jazz è partito a casa fin da piccolo con mio papà, appassionato – ricorda Al Capolinea andavamo solo ad ascoltare, poi verso i 17 anni mi sono lanciato: due musicisti che conoscevo mi hanno chiamato a fare un brano, e da lì piano piano ho iniziato ad andare tutte le settimane a fare le jam. Appena ho avuto la patente ci sono andato per conto mio, ero all’ultimo anno di conservatorio e facevo le fughe di sera per andare alle jam, il mattino dopo arrivavo a lezione con gli occhi da sonno perché avevo fatto tardi e il mio professore mi guardava e lo sapeva, ma fortunatamente era una persona aperta! Ho dei bellissimi ricordi di Torino, la mia carriera è iniziata lì, con tanti musicisti poco più grandi di me e con un po’ di esperienza che mi hanno aiutato a entrare in questo mondo».

Fabrizio Bosso: una splendida carriera che lo corona tra i più apprezzati trombettisti jazz

Città del jazz, città di talenti, dove talvolta le coincidenze diventano fondamentali. «Mi sono diplomato alla sede distaccata del conservatorio, a Cuneo, e ho iniziato a frequentare Torino dopo, quando sono entrato nel giro di jazz – racconta Fabrizio Bosso, che dopo collaborazioni, dischi e concerti in giro per il mondo vanta una splendida carriera che lo corona tra i più apprezzati trombettisti jazz – Per me è stata una fortuna crescere lì, ho avuto la possibilità di ascoltare grandi trombettisti, uno su tutti Flavio. La nostra amicizia è nata in maniera abbastanza singolare: mio padre, trombettista autodidatta, era iscritto a un corso di improvvisazione tenuto da Flavio, io andai ad ascoltare il saggio finale, avrò avuto 12-13 anni, lui era più grande e suonava già benissimo. Da lì mi dissi: io voglio suonare la tromba così! La prima jam l’ho fatta proprio con Flavio a La Contea. Sì, penso di essere stato fortunato a crescere a Torino, anche se poi sono andato via presto, ma avevo bisogno di girare, di fare le mie esperienze».

A volte, però, a Torino si torna. Se Enrico Rava ricorda i concerti da tutto esaurito al Teatro Regio e all’Auditorium Agnelli dei primi anni duemila, l’ultimo grande appuntamento con il jazz sotto la Mole è stato il Moncalieri Jazz Festival, che lo scorso novembre ha dedicato una serata alla figura di Dizzy Gillespie in compagnia dello stesso Rava, che ha partecipato con un paio di brani, e di Flavio Boltro e Fabrizio Bosso, coinvolti con i propri gruppi a fianco dell’Orchestra Sinfonica Rai. «Una cosa grandiosa, fantastica – a parlare è Flavio Boltro, il cui entusiasmo è ancora palpabile – è andata benissimo, con una soddisfazione enorme per gli organizzatori. Per noi trombettisti torinesi di tre generazioni diverse e conosciuti a livello internazionale trovarci all’Auditorium Lingotto da solisti con l’orchestra è stata un’emozione stupenda. Nonostante 37 anni di carriera da un palco all’altro, essere nella tua città, guardare la prima fila e conoscere tutti ti fa venire la lacrimuccia, prima di salire sul palco io mi sentivo come il ragazzino al primo concerto, incredibile! È stata una cosa meravigliosa in un luogo altrettanto bello. Un appuntamento del genere, nonostante gli anni di carriera, le tante difficoltà di questo mestiere e la costante paura che qualcosa non funzioni, l’ansia di far andare bene le cose, il non sentirsi arrivato anche dopo un sacco di esperienza, ecco, un’occasione così bella nonostante tutte le cose che ti demoralizzano un po’ e che capitano almeno una volta a tutti ti fa sentire appagato e felice».

Il jazz a Torino

«È stato molto bello, una grande festa – aggiunge Bosso a proposito del rapporto tra lui e i colleghi torinesi – con Enrico abbiamo fatto concerti dove lui era ospite del mio quartetto, con Flavio abbiamo avuto un quintetto e stiamo pensando di fare qualcosa anche se essendo tutti leader è sempre difficile». Occasione d’eccezione anche per Enrico Rava: «sono contento perché ho incontrato due amici che amo molto come Flavio e Fabrizio. E poi Gillespie è una delle pietre miliari della storia del jazz, è lui che ha inventato il Bebop. Se dovessi citare altri nomi salienti direi Armstrong, Bix Beiderbecke, che adoro, e poi Miles…Per un fatto affettivo dico anche Chet Baker, che in America non è amato come da noi. C’è pieno di trombettisti pazzeschi nella storia del jazz». 

E la situazione del jazz a Torino, oggi? «C’è stato un momento in cui era ottima – è il commento di Rava, c’era un centro jazz che organizzava concerti bellissimi, poi il motore è morto e questa bellissima situazione non si è più ripetuta, adesso è molto meno interessante di qualche anno fa». Dello stesso parere non è però Flavio Boltro, che fa base a Parigi da vent’anni ma spesso torna in Piemonte, complici la famiglia e una casa di montagna dove ritirarsi a studiare: «secondo me Torino ha fatto un salto di qualità negli ultimi dieci anni, c’è un buon equilibrio tra lavoro e lato artistico. La città si è data un gran da fare per l’arte in generale, è cresciuta sempre di più e io che ho la fortuna di girare tutta Europa e posso quindi fare paragoni trovo che sia molto in alto rispetto ad altre città che erano avanti e poi si sono fermate. Essendo nato lì, mi fa un gran piacere».

Da Torino passa una buona parte dei giovani jazzisti di oggi, destinati a provare strade e a costruire carriere internazionali alternandosi tra paesi diversi, come nella vocazione di una musica che ha nel proprio dna l’assenza di confini e barriere. «Sicuramente in Europa siamo ai primi posti per quanto riguarda talenti e musicisti affermati che portano la propria musica in giro per il mondo – riflette Fabrizio Bosso– non è facile però: mancano gli spazi e poi c’è un rimprovero che naturalmente non faccio a tutti, ma vedo in qualcuno una certa spocvhiosità. Parlo del fatto di pretendere già a vent’anni, se ci si trova a fare una cosa importante, di mantenere quel livello e andare sempre più su. Ma non è così: va accettato il fatto che si può suonare in un teatro da mille persone o in altre situazioni più piccole, perché ne vale la pena. Manca la gavetta, forse perché ci sono più mezzi e si può arrivare a un livello tecnico più alto e più velocemente, senza troppi aiuti e senza nemmeno fare troppa esperienza. Suonare però è un’altra cosa rispetto a prepararsi le cose a casa: c’è bisogno di tenere il palco. Non significa prendere la parola, io per esempio lo faccio poco, ma sapersi mettere in contatto con il pubblico. È una questione di energia, devi imparare a crearla anche con i tuoi musicisti, scegliere quelli giusti».

«Fatelo se non ne potete fare a meno, se è un bisogno interiore fortissimo»

«Se esci diplomato in jazz non ti chiama Herbie Hancock – ironizza Enrico Rava sulle sezioni jazz dei conservatori – se sia un bene o un male non lo so: un male certo no, però magari serve ad avere la possibilità di insegnare. Evito di dare consigli ai giovani, è meglio sbagliare da soli. L’unica cosa che posso dire è: fatelo se non ne potete fare a meno, se è un bisogno interiore fortissimo. E senza considerarlo un lavoro, una carriera: se va bene, tanto meglio, se non va bene resta il piacere di suonare».

Mai sazio di nuove esperienze, Enrico Rava sarà in concerto nei prossimi mesi con il suo quartetto, con la pianista giapponese Makiko Hirabayashi e con Jesper Bodilsen e Morten Lund, del trio di Stefano Bollani. Sarà inoltre ospite in un disco di Silvia Manco, pianista e cantante, dedicato a Blossom Dearie, jazzista poco nota degli anni Sessanta di cui Rava è particolarmente appassionato.

Appuntamento invece a Umbria Jazz Winter, a Orvieto dal 28 dicembre al 1 gennaio, per Flavio Boltro e Fabrizio Bosso. A Cava dei Tirreni con Stefano di Battista lo scorso 15 dicembre, e poi a Parigi, Boltro suonerà tra Bologna Rimini e Ravenna nei giorni immediatamente prima del Natale, sarà a La Spezia per Capodanno, con Matteo Cidale e Leonardo Corradi, per poi essere presente a Orvieto ospite del duo Danilo Rea e Gino Paoli.

Il 31 dicembre la rassegna invernale di Umbria Jazz vedrà anche Fabrizio Bosso e il suo quartetto, composto da Nicola Angelucci,  Julian Oliver Mazzariello e Jacopo Ferrazza, da poco uscito con il nuovo lavoro discografico per Warner Music, Mery Christmas Baby. Undici brani che riscoprono l’immaginario del Natale, impreziositi dalle voci di Walter Ricci e Karima. «Avevo in testa un disco natalizio da un po’ – spiega Bosso – mi piacciono i brani natalizi, specialmente quelli della tradizione americana, sono degli standard. Per cui quando è arrivata la proposta dal mio produttore mi sono detto che era il momento di provarci. È stato molto divertente, abbiamo registrato la parte strumentale in un giorno, dedicando il secondo alla parte vocale. La fortuna è stata quella di entrare in studio con musicisti conosciuti, un quartetto affiatatissimo che è in giro da tanto, eravamo appena tornati dalla Corea. In questo caso si trattava di temi di Natale, abbiamo cercato un po’ di musica al di là dei brani scontati che andavano fatti e a metà session mi sono accorto che ci divertivamo a suonarli, così è partito un piccolo tour». Dopo Orvieto, il quartetto sarà così a Ronciglione il 1 gennaio 2018, a Santa Maria a Vico il 2, per concludere al Blue Note di Milano il 6 gennaio.

Author

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!