Raro trovare un mese con una densità di eventi paragonabile a quella del maggio 2019. È un mese che sembra iniziato ieri, e invece è già giugno. In mezzo c’è un mondo intero, che include volti, eventi, viaggi, e l’attraversamento di una soglia oltre la quale le cose non sono state e non saranno più quelle di prima: una nuova pagina di un racconto.

Se esiste l’iniziativa chiamata Il maggio dei libri, fuori da ogni istituzionalità anche il mio è stato un maggio dei libri. Come non pensarlo sommando la vittoria a un racconto con tanto di cortometraggio ispirato, il Salone del libro e i suoi cinque giorni di allegrezza e follia, e soprattutto l’uscita di Torino di carta, il mio primo libro? Fondamentalmente è intorno a questo evento che ha preso a ruotare veloce, sempre più vorticoso il mese di maggio: sei pronta? Accadrà, manca poco e lo vedrai, così, di carta, con la sua copertina, le tante copie. Eccolo lì, sul banco del Palindromo al Salone del libro: il mio libro, la sua Mole verde bosco circondata di libri in copertina. Da lì in avanti, un carosello impazzito e senza requie di volti, strette di mano, dediche, autografi, mail, impegni, date, parole, racconti. Ho il sospetto che, come anticipavo sopra, sia stato l’accesso a un mondo altro, dal quale tornare indietro sarà molto difficile, forse impossibile.

Con le prime interviste e presentazioni di Torino di carta, uscito il 23 maggio, si è infatti scatenata una valanga esponenziale di proposte, idee, cose da fare. Sono uscita sulla Stampa, in radio, sono stata inserita in programmi di festival, ho presentato il libro al Circolo dei lettori. Insomma: maggio è stato parecchio significativo nella mia storia personale e professionale, credo che resterà una sorta di pietra miliare, anche se chissà cosa mi riserva il futuro.

In un generale senso di spaesamento, di stordimento conseguente ai tantissimi stimoli e alle liste infine di arretrati in perenne recupero, maggio è trascorso in una giravolta di tanto in tanto opprimente, un filo nauseante, soffocante, l’aria che mancava, come il sole estivo che stentava a uscire. È stato un maggio piovoso, e freddo, iniziato e finito con la giacca al contrario di quel che accadeva gli altri anni.

Tuttavia, il mese è iniziato al riparo da quest’onda, con gli amici in mezzo agli ulivi, un abbaino aperto sul verde e un uovo di Pasqua spalmato su uno stipite, una passeggiata tra le ginestre che sbocciavano e tanto vento a ricordare che, forse, per l’estate bisognava aspettare ancora un po’. Poi è arrivato il lungo periodo torinese, una specie di tour de force a cui approcciarsi con il gusto allenamento: mostre, musei, peregrinazioni, giornali, letture, programmi costantemente o quasi smentiti. Intanto, a maggio pioveva e pioveva. Pioveva su un sacco di cose di carta e libri.

Come ho già accennato, i primi del mese ho partecipato alla premiazione del concorso Tutto Sotto, dedicato alla Torino noir e sotterranea e a cui avevo partecipato con un raccontino. Sapevo di essere tra i finalisti durante la serata di premiazione all’ex cimitero di San Pietro in Vincoli, in compagnia di Margherita Oggero e degli altri finalisti seduti con me su una tribuna che faceva sembrare di essere concorrenti a Per un pugno di libri. Quello che non sapevo è che avrei vinto col mio racconto come miglior narrazione per una trasposizione cinematografica. Tant’è che, quando è comparso sullo schermo il mio nome nei titoli di testa, ho iniziato a sorridere e mi sono goduta il simpaticissimo cortometraggio tratto dalle scene che avevo intrecciato nella mia immaginazione. È stata una bella soddisfazione, lo ammetto. Il racconto si chiama Le chiavi di casa e lo trovate qui.

Pioggia e vento in maggio non potevano che creare la magia e procacciarmi il classico raffreddore con mal di gola e tosse da primavera capricciosa. Tra salti molteplici in farmacia e fastidio da polline, tra termometri e serate tra le coperte che nemmeno a gennaio, anche questa parentesi è trascorsa e ne conservo a mala pena il ricordo. Maggio, come già ho scritto, è stato un frullatore non da poco, così pieno, così denso e così fitto che anche le cose momentaneamente più grandi, i fatti enormi e attesi da mesi, sono trascorsi con la rapidità di un frecciarossa.

Ecco infatti il Salone del libro, preannunciato da salti lavorativi tra rilegature d’artista e magici libri pop-up in sontuosi palazzi. Pronti, partenza e via, pass al collo, zaino in spalla, dita veloci sulla tastiera a immortalare nei pixel le parole di una sopravvissuta alla Shoa e dei grandi intellettuali e scrittori del Novecento e del contemporaneo. Primo Levi su tutti, al quale sono stati dedicati tantissimi degli incontri che ho seguito, e poi Sellerio, Jhumpa Lahiri, Fruttero e Lucentini… È stato un Salone speciale perché è stato il Salone del Palindromo e di Torino di carta: il Salone del firmacopie che mi ha emozionata fino a non capirci più niente, tra sorprese e amnesie imbarazzanti, quello della sala stampa nuova all’Oval, spazio ampio e luminoso dove trovarsi e ritrovarsi a lavorare tra colleghi, tastiere alla mano e programma pasticciato e pieno di segni a penna. Il Salone dei caffè, delle ovvie file, di Premi Nobel e di Jovanotti, delle foto alla torre dei libri, degli amici incontrati, dei selfie con Giacomo Leopardi e con un Pif abbastanza schifato dalla mia idiozia. Il Salone, soprattutto, di Marco e Davide, che sono diventati il mio ufficio stampa portatile. Cinque giorni gloriosi, in cui accumulare pile di libri, opuscoli, Topolini e acquisti improvvisati da Libraccio, in cui cibarsi di panini e aspettare la fine del tunnel per fare un mare di lavatrici. Insomma, il solito fantastico e pazzesco Salone, vissuto dall’inizio fino all’ultimissima goccia, malinconica e ironica come solo la fine di una gita, di quelle epiche e con lo zaino pesante da farti barcollare all’indietro.

Niente riposo, dopo il Salone: ed è per questo che la ripresa, a maggio, è stata ardua e quasi impossibile. Nessun momento di sosta, pausa di riflessione, nessuna manciata di ore per riordinare la disastrosa pila di materiali accumulati e le idee. Ed eccoci quindi a riprendere le corse, i tasti, le mail: Porta Palazzo in un giorno di sole dall’alto della terrazza, assaporando il profumo di un maritozzo, e poi Spazio211 e un concerto di ritmiche tra amici. Fino al binario 13 del 17 del mese, un treno in partenza e un inefficace abbozzo di vacanza incastrata a forza nel caos del mese più allucinante di tutto l’anno. E in due vite precarie che ogni tanto pesano come piombo.

Destinazione Ravenna, inseguendo – o anzi anticipando – il giro d’Italia, tra mosaici paleocristiani e moderni, incontri inaspettati, pioggia a secchiate, case dei tappeti che nemmeno piazza Armerina, biciclette, spettacoli teatrali, Concita De Gregorio persa al Salone e recuperata e aperitivi in rosa. Tra la storia pulsante e l’attualità contingente che schiaffa la gente sui treni e nelle sale d’attesa delle stazioni.

Altri bagagli, altre lavatrici. E poi un plumcake ancora caldo in spalla e lo scoccare della freccia del destino a un incrocio del centro dove inciampare dentro uno scippo in corso. Anziani a terra, sangue, corse, urla, borse e telefonate al 118. Ho rilasciato la prima testimonianza verbalizzata e firmata della mia vita, e nonostante la scena a dir poco sconvolgente e inaspettata, il cambio piani per la mia serata e le lancette perse di vista, mi sono trovata a sorridere quando la poliziotta mi ha rivolto un encomio per l’accuratezza della descrizione e dei dati. Ho pensato che tutta questa mia vita da lettrice, e da lettrice di gialli, a qualcosa è probabilmente servita.

Sicuramente, è servito partecipare tutto l’anno al collettivo di scrittura Pintecaboru, del quale abbiamo festeggiato con spumante e il plumcake di cui sopra l’ultima lezione, tra risate, foto e progetti per l’anno che verrà. Sentirsi parte di qualcosa che ha le radici affondate nei libri, nella lettura e nella scrittura è stato del resto il sentimento preponderante del mese di maggio, e credo che a distanza di mesi e forse anni ricorderò questo maggio 2019 come il momento in cui ho toccato con mano lo straordinario potere dei libri e delle parole.

Se il 23 maggio era il giorno ufficiale dell’uscita in libreria di Torino di carta, si dà il caso che in quella data mi trovassi per casualità a casa, al mare, tra un’assurda riunione per i seggi elettorali, ai quali ero stata chiamata, e un’altrettanto surreale ruota panoramica installata tra le gru del porto e i dehors.  Una boccata di iodio prima di un altro tour de force. Eppure ancora niente estate, un’aria umida pesante e grigia che mi ha accompagnata alla grande giornata incollata a un’aula e a un banchetto di prima elementare, il libro di Agatha Christie nascosto sulle ginocchia per far trascorrere il tempo, e una carrellata di meravigliosi personaggi da scoprire registrando carte di identità e tessere elettorali. In fondo, per quanto estremamente lunga e faticosa, la giornata delle elezioni vista dai seggi è sempre una piccola lezione di democrazia e sociologia, e anche a questa tornata le mie aspettative non sono state smentite.

È stato proprio durante le elezioni che ho scoperto della morte di Vittorio Zucconi, e pochi giorni dopo della scomparsa di Pasquale Indulgenza. Dal panorama internazionale a quello locale, due perdite inattese e sconvolgenti alle quali non pensavo avrei dovuto pensare. E invece. Siccome anche maggio è stato crudele e non ha mancato di manifestare la sua ostilità in problemi e nodi da sciogliere, o in veri e propri buchi neri, torniamo alle pagine brillanti. C’è infatti ancora molto prima che la mia carrellata del mese finisca.

C’è infatti il debutto del mio libro al Circolo dei lettori, il 29 maggio, una serata vissuta con tanta emozione e altrettanti visi amici. Devo ancora prendere coscienza del fatto che in una sera di maggio io mi sia seduta su una poltroncina e abbia iniziato un viaggio scortata dalle parole bellissime di Noemi Cuffia in una sala barocca e piena di gente curiosa e interessata alle mie parole, e agli scrittori della Torino di carta.

Ho avuto la straordinaria fortuna di avere a fianco un baluardo di casa e della me stessa che affonda le radici nel posto dove sono nata e dove sono diventata io, a tenermi in piedi e forse anche ad attestarmi che stava tutto accadendo sul serio, e non solo nella mia fantasia. E così Torino di carta ha preso il largo, nella città senza mare, e anche sui sassi della Galeazza, ché un battesimo come si deve è d’obbligo in un caso così prezioso e importante.

Finire e iniziare questo mese formidabile e impensabile a casa: sì, si può. Casa che serve per tenersi aggrappati a qualcosa mentre la realtà scorre dal finestrino velocissima e beffarda, che serve per respirare, trovare quella boccata in più che calma il cuore e accarezza l’animo, stanco e impaurito dalla mancanza di tempo. Il tempo, questo sconosciuto. Tempo di un clima impazzito, tempo per parlare, per organizzare, per scrivere e pensare. Il tempo perso, quello accelerato e quello così bello che sembra finto e non si riesce ad apprezzare. Tanto, tanto tempo è trascorso a maggio, affollato di visi e frammenti di episodi che, come i mosaici che ho visto a Ravenna, costruisce un’immagine da vicino un po’ sgranata, grossolana, ma da lontano forse solida, una linea nitida a mostrare un grande foglio di carta, dove tutte queste parole si accompagnano a quelle precedenti, e  a quelle che saranno.

Me lo hanno ricordato i bimbi di quinta elementare che il 31 maggio, dopo una giornata tra ferrovie, scritture (perché maggio è stato anche il mese in cui ho conosciuto e intervistato James Balog, piccola enorme fortuna di cui, credo, mi vanterò a vita) e prospettive traballanti si sono scatenati su un palco per l’ultimo atto dei loro cinque anni di crescita e amicizia tra i banchi. Pensavo che era una storia tanto delicata quanto incredibilmente forte, che era un passaggio obbligato per la crescita, già così denso di magia e malinconia, così unico nella memoria da risvegliare il mio ricordo, e insieme quello delle tante storie che lo hanno accompagnato, forse emozionato, guidato, suggestionato… È stato un maggio di soglie attraversate e di traguardi superati. Quel che arriverà è ancora sfumato, ma quel che lascio alle spalle è noto, e sta già prendendo forma in una storia.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!