Le aspettative, quelle con cui si apre gennaio 2021. Aspettative personali, certo: è un inizio di anno, è un primo mese, una pagina bianca, forse addirittura più di altri anni, anzi certamente. Ma anche aspettative mondiali: è trascorso l’anno sciagurato del covid, quello che ci ha cambiato le esistenze, ce le ha straziate, complicate, ci ha fatto perdere il fiato, riconquistare forze, o forse ci ha solo costretti ad aspettare.

Quindi inizia gennaio silente, pacato, tranquillo: sul divano, con Propaganda live, capodanno in casa, in pigiama, addormentati sotto le coperte, e va bene così. Capodanno strano, certo, ma pur sempre accompagnato da calore domestico che lecca le ferite e accompagna nelle difficoltà, che sono sempre tante. C’è un dolce strofinaccio rosso con un calendario, un panettone al pistacchio tanto desiderato, un tempo lento, ripetitivo seppur libero, sereno nonostante piova senza tregua per tutta la prima, pacata settimana di gennaio in zona rossa, o quasi.

Le aspettative, dicevo, sono innumerevoli. Si cerca di iniziare bene, con calma ma con tutto sotto controllo. Si cerca di guadagnare tempo per un poi che non è visionabile, dietro la miopia confortante e al contempo inquietante del periodo. Ci si nutre, o si cerca di farlo: tra letture che stentano a partire nei primi giorni dell’anno, Pirandello in streaming a teatro, lo studio. L’anno e il mese iniziano con sette giorni ininterrotti di studio: sfoglio libri, prendo appunti, scopro un sacco di cose sulla mia provincia nella stasi apparente di una scrivania mentre la pioggia batte incessante.

E poi si ricomincia: riparte il tran tran, con quel piccolo trauma delle Feste da mettere via, del calore natalizio da disfare insieme all’albero, le luci davanti cui passare serate dolcissime, la consapevolezza della calma davanti a tempi ignoti che attendono me, attendono tutti. Sono tempi strani: gennaio inizia con quello che sarà ricordato con “l’assalto a Capitol Hill”, una follia targata Usa, ma il mese si chiude con l’apparente follia tutta nostrana della crisi e della conseguente caduta del governo in piena pandemia. Non si sa più cosa pensare.

In questo frangente trascorre anche il quarto compleanno di A contrainte: dovrei avere le forze di rivedere il progetto, di metterci mano, di curarlo come si cura una pianticella d’orto durante la stagione fredda, in attesa della primavera. Invece sono sopraffatta da tantissime altre cose, e mi preparo ad esserlo ora che gennaio incalza, le feste spariscono, come i decori di Natale, si torna alla vita di prima.

L’11 gennaio riparte il tempo sospeso da un mese esatto prima. C’è una stanza, un amico ritrovato, un’esperienza da raccontarsi. La vita riparte con il sole invernale e le parole di Nico Orengo, Le rose di Evita, la Riviera, la mia Riviera da scoprire e scoprire adagio adagio, in un tempo sospeso dove fili e traiettorie si delineano come fili di una rete che ancora non vedo nella sua interezza. Così firmo contratti, invio, prendo bus al volo in mattinate di sole che non sembra nemmeno gennaio, rispondo al telefono a gambe incrociate su una panchina al sole.

Piano piano il ritmo si prende il suo spazio, si ricuce lo strappo durato un mese, là dove si era inceppato il disco. Ci si dà da fare: con la raccolta della spazzatura in spiaggia dopo altre e nuove mareggiate, con caffè offerti e passeggiate al sole tra una conchiglia, un video da inviare agli amici lontani, un pensiero di delicatezza e serenità dopo difficoltà e salite tra le pareti di casa. C’è un aiuto, in una stanza piena di parole che mi rende felice una manciata di ore mentre fuori impazzano inceppamenti, lacrime, fallimenti che sono inezie guardati da lontano, ma lì fanno spavento, colpiscono e feriscono, e segnano la frenesia che ha ripreso il corso. Le settimane di gennaio sembrano volare senza che ci sia mai stato un prima, un giorno leva l’altro scrupolosamente segnati sull’agenda che veloce si sfoglia, giorni con appuntamenti che si susseguono, video call, cose da fare.

Gennaio è un mese di incontri: sembrava niente e invece ora mi guardo indietro ed è stracolmo di sguardi, parole, accordi, pieno di vita, con ostacoli e tentativi, e peripezie e “nonostante”, tra cui la zona arancione dove ricadiamo ancora, nuovamente, come larga parte di Italia tra confinamenti, coprifuoco e il governo che decide che è un buon mese per cadere, in mezzo a una pandemia, nell’esordio già congelato di un anno le cui grandi aspettative sono scivolate presto nel dimenticatoio, fagocitate dall’esasperazione per una realtà da ricucire, da far ripartire.

Succede davvero di tutto in questo impensabile mese di esordio: pasta fresca, pizza, animali da fattoria, corsi sul mare, eliofanografi, fotografi internazionali, corse, post-it e registratori, pile e batterie, quaderni che si riempiono, penne a portata di mano. Succede anche che, considerata la quantità di lavoro che mi lievita tra le mani, si addomestica un po’ il vuoto lancinante per il mio lavoro.

La domenica è assolata e si incastra tra zone arancioni, promesse di mimosa e focaccia con l’angolo, per tirare su il morale e non pensare a tutto quello che non va, che pure persiste. I tramonti di gennaio sono rosati in un cielo che, mentre cerco l’inverno, si scrolla di dosso il freddo e riappare azzurro primavera, o si risveglia in un arcobaleno che accende la giornata. Una carezza da riscoprire buttandosi fuori di casa una mattina al motto di Cosa fatta capo ha, tra foglie verde linfa, silenzio e salite, il mare che si calma sul tetto di un piccolo mondo a volte ostile ma pur sempre magnifico.

Esco, mi sposto, firmo, sogno, spero e programmo: tra ansie e anse, curve strette e ipotesi, facciate e silenzi. Arrivano carezze inaspettate, suona il telefono, mi metto persino a fare ginnastica. Sarà che mi ha spronato una lettura: a volte succede, sembra folle ma è così davvero. Un libro che dà la carica e fa sentire meno soli, un’amica che parla di yoga, una playlist trovata per caso, e via, per sentirsi migliori e manutenere la macchina, oberata di stress e ore al pc.

La lettura e i progetti riprendono in grande stile dopo una partenza inceppata: ho una folgorazione per Nico Orengo nella prima metà del mese, lo voglio riscoprire, mi ci tuffo e trovo bellezza da commuoversi, letture su panchine al sole, la mia terra. Scopro il libro di Mafe De Baggis ed è subito intesa senza remore, e poi mi dedico a un progetto sull’inverno che mi porta alla ricerca vana di una panchina in una domenica in zona arancione. I bar sono tutti chiusi, vago per una focaccia costringendomi (non che sia un grande sforzo) a pranzare con un cannolo gelato. Sono giornate a volte assurde, senza troppo senso né regola. Giornate di un ritmo calmo che vanno gustate prima che il mondo cambi ancora. Finiscono con Cesare Pavese e un pranzo di pesce, con le arance appena raccolte e il verde intenso dell’erba nuova.

Quando si conclude gennaio sembra quasi primavera e consola un po’ l’amarezza di questo strano tempo che si ripiega a specchio, a riproporre un rosario di date da sgranare in attesa che ripassi il film dell’ultimo folle e stranissimo anno pandemico.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!