E così la Agatha Christie reading challenge 2019 è arrivata a settembre, mese curioso in quanto a letture di Agatha Christie perché proponeva un libro scritto da Mary Westmacott. Ma andiamo con ordine: come ormai saprete, la sfida all’ultima lettura proposta da Radical Ging e dalla Agatha Christie Limited prevede che si legga ogni mese un diverso libro di Agatha Christie. Ricapitoliamo le letture fatte finora: a gennaio 2019 ho riletto un libro con Poirot, poi uno con Miss Marple, a marzo il mio romanzo di Agatha Christie preferito, ad aprile una storia antecedente al 1930, a maggio  una raccolta di racconti poi un romanzo ambientato fuori dal Regno Unito, uno in una stagione particolare, e con agosto siamo arrivati ad Avversarsio segretodi Tommy e Tuppence. A settembre non cambia l’autrice, per quanto forse abbiate sussultato: Mary Westmacott è solo un nome del plume utilizzato da Agatha per alcuni romanzi non polizieschi. Io ho scelto, in questa ristretta serie, molto particolare, Il deserto del cuore. Ora ve ne parlo un po’!

L’idea di leggere un Agatha Christie “non giallo” mi dava qualche perplessità. Qualcuno infatti definisce questa produzione extra storie di delitti e investigatori una serie di romanzi “rosa”. Sì, riguardano donne e spesso vicende relazionali, ma devo dire che, complice la trama del libro che ho scelto, la scrittura della Christie si è rivelata degna del suo acume. Il deserto del cuore non è affatto un romanzo rosa e, secondo lo stereotipo abusato e commerciale “da donnette”, è anzi una storia che coinvolge per l’attualità e la profondità psicologica e che nonostante l’ambientazione esotica potrebbe, io penso, essere benissimo una storia inventata e scritta da un’autrice contemporanea.

Certo, che dietro questra trama ci sia Agatha Christie lo si intuisce dalla storia e dalla sua ambientazione. Siamo infatti, in apertura di romanzo, in pieno medioriente. La protagonista di questa storia, Joan Scudamore, è di ritorno nient’altro che da Baghdad, un posto, come dirà spesso, fuori dal mondo. Sta tornando via terra a Londra e il percorso che le si presenta davanti non è solo lungo, ma si farà complesso e curioso. Lo appare fin da subito, perché proprio appena partita da Baghdad incontra per caso una compagna di scuola che non vedeva da 15 anni, e che le lancia alcune piccole sfide, alcuni fastidiosi stimoli a riflettere. Cose di poco conto: Joan le mette da parte e prosegue il viaggio.

O meglio, vorrebbe proseguire, ma a causa dei temporali la strada si allaga e lei, giunta in auto a Tell Abu Hamid, stazione ferroviaria vicina al confine Turco, perde il treno che l’avrebbe portata fino ad Aleppo e Istambul (il famoso Taurus Express, ve ne parlavo qui a proposito di Assassinio sull’Orient Express, treno storico che peraltro, vedremo, anche Joan utilizzerà). Non solo lo perde, ma il treno resta fermo diversi giorni e lei è costretta a starsene lì, sola, alla rest house della stazione, struttura per viaggiatori con stanze e una piccola cucina gestita da un indiano che prepara sempre le stesse cose a pranzo, cena e colazione.

Una situazione imprevista, quindi, che inchioda la protagonista, letteralmente, fuori dal mondo. Intorno alla rest house non c’è infatti nulla fuorché il filo spinato che segna il confine con la Turchia e il deserto. Molto presto Joan finisce i libri che ha portato con sè, esaurita anche la carta per scrivere lettere non le resta nulla, nè il cucito nè un passatempo per ingannare i giorni che lenti procedono in solitudine, silenzio e deserto. Non ha niente da fare. E così si ritrova, sola, a pensare.

Qui, con un’atmosfera meravigliosamente e sottilmente inquietante che le era familiare, la Christie mette in scena qualcosa di potentissimo. Lo svisceramento delle paure più rencondite e nascoste dell’animo umano. Joan infatti ha lasciato a Baghdad una figlia con un bambino piccolo, reduce da una crisi di salute non chiara, mentre a Londra la attende il marito, amatissimo. Tutto sembrerebbe compatto, coeso intorno a lei e alla sua vita perfetta. Perché è lei a dipingersi il quadro in questo modo, a rifinirlo così chiaramente, in ogni dettaglio, da illudersi di avere una vita perfetta, un matrimonio felice, tre figli altrettanto fantastici. Ma la solitudine, si sa, è una brutta bestia. Solleticata dalle battute dell’amica ritrovata alle soglie del viaggio e letteralmente sconvolta, pagina dopo pagina, dall’assenza di contatti umani e di attività per ingombrare la mente e direzionare i pensieri sui binari corretti del “va tutti bene”, Joan cade in preda a un vortice di pensieri semrpe più fitto, sempre più voragine dentro cui sentirsi inghiottita.

I giorni in mezzo al deserto sono pochi, eppure sembrano infiniti. All’inizio per Joan sembra essere un inconveniente dai risvolti utili, come cerca di raccontarsi – il romanzo non è che, lo scoprirete, un suo raccontarsi storie per rendere sempre più solida e coerente la sua versione della vita e dei fatti – 24 ore di pace dal mondo, per pensar,e riflettere, rilassarsi. Ma è difficile convivere con la propria sagoma a fianco, e nient’altro che il deserto intorno, se non si è abituati ad avere accanto la propria coscienza, e soprattutto se non si è stati sinceri con lei.

Per la prima volta nella vita, durante l’angosciante attesa del treno che la porterà ad Aleppo, e poi a Istambul per terminare con l’Orient Express, Joan si ritrova sola con se stessa, in preda agli sferzanti venti dei suoi pensieri che da zefiri si adombrano di dubbi fino a diventare una tempesta che la stravolge. Giorno dopo giorno la protagonista si sentirà sempre più sopraffatta da tutte quelle incrinature che, consapevole, ha delegato al ripostiglio della sua mente per raccontarsi solo la versione piena di sè e determinata dei fatti. Scricchiola il rapporto con il marito, scricchiolano uno dopo l’altro i rapporti con i figli, pagine non lette si infilano nelle versioni dei fatti che lei stessa si è raccontata. Finché tutto si infrange e Joan, perso l’orientamento in mezzo all sabbia del deserto, in preda all’angoscia più grande, decide di cambiare vita, di lasciare giù il velo che l’esperienza del viaggio ha strappato dalla relatà confettosa che si era edificata intorno. Sì, sarà una Joan diversa, quando arriverà a Londra.

Lo sarà veramente? Ci riuscirà? E a scapito di cosa? Il deserto del cuore è un romanzo di raro spessore psicologico, che con una manciata di elementi se vogliamo anche esotici e insoliti (il pensiero di donne sole in mezzo a ferrovie fantastma del Medioriente ai primi del Novecento mi lascia sempre incuriosita), inscena un autentico dramma umano. Chi di noi non si è mai voluto nascondere imperfezioni che, pure, era in grado di cogliere, per raccontare, e illudersi di impersonare, una versione di sè migliore, una vita perfetta, luminosa e felice? Le ombre spaventano e feriscono, i problemi sono spesso fonte di angoscia, cambiamenti di rotta, dicerie del vicinato e degli amici, e questo Joan non potrebbe sopportarlo. Finché il mondo intorno non sconvolge il nostro quotidiano vivere, possiamo fingere che i pensieri finti abbiano la forza di stare in piedi da soli, ma quando ci troviamo schiacciati al muro, faccia a faccia con noi stessi – i veri noi stessi – il gioco si fa molto più difficile.

Ecco, la Christie coglie questo istante preciso, e mette in scena tutto il suo talento di autrice di romanzi polizieschi nel raccontarci un’esperienza drammatica vissuta da una donna che non è mai giudicata, mai presa in giro o offesa. Siamo nei pensieri di Joan, ne riconosciamo le debolezze, che sono quelle umane, di tutti, e come lei si specchia nel suo fantasma tra la sabbia del deserto, forse intravediamo lì intorno anche tutte le nostre ombre, le prepotenze, gli egoismi, le rinunce, le bugie che ogni giorno ci raccontiamo per costruirci un quadro perfetto dove cercare di vivere la nostra vita felice.

Una bellissima lettura, nuova e inaspettata: Il deserto del cuore rivela una Agatha Christie fine conoscitrice dell’animo umano, che è poi la caratteristica rara e unica per scrivere romanzi gialli. Provare per credere!

 

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!