La Agatha Christie reading challenge 2019 è arrivata ad aprile! L’iniziativa è promossa da Radical Ging e dalla Agatha Christie Limited e, se mi leggete, saprete che si tratta di una challenge che durerà da gennaio a  dicembre 2019: ogni mese una precisa richiesta, e il relativo libro. Dopo aver riletto un romanzo con Poirot e uno con Miss Marple, dopo aver parlato del mio romanzo di Agatha Christie preferito, aprile richiedeva un vincolo specifico, ovvero che il romanzo fosse antecedente al 1930. Tra i primi lavori dell’autrice in cui mi sono imbattuta c’era lui, datato 1928, uno dei primo romanzi gialli della Christie: Il mistero del treno azzurro. Protagonista, neanche a dirlo, il mio detective preferito, Hercule Poirot, con i suoi baffi e la testa a uovo.

La scelta di questo romanzo non è solo dovuta al fatto che sono pochi i lavori antecedenti al 1930, quanto a fattori davvero aleatori, che in questo caso sono la ricorrenza del colore azzurro nel titolo (uno dei miei colori preferiti), la copertina che richiama le stampe anni ’30 e la moda “marinara”, e ovviamente l’ambientazione, la Costa Azzurra, un posto che è gemello di casa mia, la Riviera Ligure di Ponente, e del quale conosco molto bene nomi, colori, paesaggi e sensazioni. Insomma, se proprio devo giustificare la scelta, potrei dire che ho scelto questo romanzo perché è chiaramente un giallo “di viaggio”, e questo viaggio conduce in posti che so essere incantevoli.

Lo sanno anche i personaggi, tutti – o quasi – a bordo del treno azzurro: «il treno migliore è quello che si chiama “Treno azzurro”. Viaggiando con esso si evitano le noie dalla dogana a Calais» sarà uno dei commenti. È il treno dei milionari, convoglio per ricchi inglesi che, solcata la Manica con un trasbordo del treno su traghetto fino a Calais e una ripresa della corsa sui binari, si dirigono verso la “Riviera” per i loro soggiorni di lusso tra Nizza e Antibes. Siamo a febbraio, un mese insolito, si potrebbe pensare. E invece no: gli inglesi del 1928 sanno molto bene che la Riviera a febbraio è un posto splendido («febbraio è molto più bello che gennaio, in Riviera»), e con il suo sole e la sua mimosa in fiore cancella il grigiore invernale e fa tornare voglia di vivere. È cosa nota, del resto, che questi luoghi, e ancora una volta specularmente la Riviera ligure che si estende a ponente, superato il confine con Ventimiglia, fossero ai primi del Novecento meta prediletta del turismo nobile inglese e russo, che ha lasciato molte impronte sul territorio in architetture, giardini, cultura.

Si mise a sedere accanto al finestrino, affascinata dal paesaggio soleggiato attraverso il quale il treno correva. Le palme, il mare di un turchino intenso, le gialle mimose, tutto pareva incantevole a lei che per quattordici anni non aveva visto altro che i tetri inverni inglesi.

Di maniere raffinate da ricchi non si potrebbe del resto fare a meno in un romanzo che vede al centro dei preziosi rubini e che inizia con una scena degna di una spy story, in una Parigi notturna con misteriosi ricettatori di preziosi e altrettanto anonimi nemici. Non li conosciamo ma, se appaiono, è ragionevole pensare che qualche ruolo lo avranno anche durante la vicenda, e così è, perché sul treno azzurro ci scappa il morto.

Se state pensando che la trama dell’assassinio in treno è molto simile a quella che seguirà anni dopo con i celeberrimo Assassinio sull’Orient Express, avete ragione: è così, la Christie aveva probabilmente già in mente un “morto ferroviario” e con questo romanzo rivierasco si era predisposta a mettersi alla prova. Una prova che personalmente ho apprezzato molto, perché nei meccanismi del giallo sono implicate anche le soste del treno nelle quali, neanche a dirlo, accadono cose importanti per l’indagine.

Insomma, un’atmosfera già internazionale, proprio come nel successivo Orient Express, un contesto sociale di estremo privilegio, e in mezzo a tutto questo la signorina Katherine Grey, che arriva da Saint Mary Mead, un piccolo villaggio inglese, ha ereditato una fortuna e legge romanzi gialli. Stop. Fermi tutti. Sì, avete letto giusto: Saint Mary Mead, proprio così: quello che diventerà il villaggio di Miss Marple, seconda anticipazione del futuro da parte della Christie in questo romanzo del 1928. Ecco una delle prime scene di Katherine a bordo del treno, con un dialogo che, pratica non sconosciuta ad Agatha, occhieggia a quei richiami metaletterari e a quelle strizzate d’occhio tra autore e lettore, con espliciti riferimenti all’attività dello scrivere e del leggere, che mi piacciono tanto:

il suo compagno di tavola, questa volta, era un ometto, quasi certamente non inglese, con grossi baffi impomatati e una testa a forma d’uovo che teneva un po’ inclinata sulla spalla. Katherine aveva portato con sé un libro, e si mise a leggere, ma a un certo punto si accorse che gli occhi del compagno erano fissi su di lei con una certa benevola ironia. «Scusi madame» le disse a un certo punto, «ma vedo che sta leggendo un romanzo poliziesco. Le interessa questo genere di letteratura?»
«Mi diverte» convenne Katherine.
«Già, già» disse l’ometto, con un gesto di comprensione. «Libri che si vendono molto, a quanto ho udito. E come lo spiega questo» […].
«Forse perché questi romanzi danno l’illusione di vivere una vita fuori del consueto» disse.
«Sì» convenne gravemente lo sconosciuto. «C’è qualcosa di vero in ciò che lei dice, mademoiselle
«naturalmente, si sa che cose di questo genere non accadono realmente…» riprese Katherine.
Ma l’altro la interruppe bruscamente: «Qualche volta sì, mademoiselle. Qualche volta sì. Per esempio sono accadute a me, a me che le parlo. Un giorno, forse, si troverà anche lei a partecipare a casi complicati. Non è impossibile, mi creda».

Poirot è il solito Poirot che amiamo e ben conosciamo: impeccabile, baffi e testa inclinata, un perfezionista, naturalmente qui già ritiratosi dall’attività ma, presente sul treno, pronto a occuparsi delle indagini con la solita perizia e con il movimento delle cellule grigie. «È una mia piccola mania quella di sapere», ricorderà mentre lo si coglie gongolare per ogni complimento e ostentare la puntualità, l’ordine e il metodo. Motivi, del resto, che gli fanno dire: «probabilmente sono il miglior detective che ci sia al mondo». In questo romanzo, a proposito del detective, sorprendiamo anche un cameriere, George, impeccabilmente inglese, mentre manca il fedele Hastings-narratore.

Tra un club di tennis rivierasco, l’hotel Negresco di Nizza (per chi non lo sapesse, uno dei più raffinati, affacciato sulla promenade), auto di lusso e ladri gentiluomini, non hanno potuto che riaffiorarmi in mente le scene di Caccia al ladro di Hitchock, con Cary Grant e Grace Kelly, film del 1955 girato proprio in Costa Azzurra. Pare che sia stato il film galeotto della storia d’amore tra Grace e il principe Ranieri, ed è una spy story di false identità, gioielli e lusso che per queste caratteristiche collego al libro della Christie.

«Sicché lei crede che i romanzi polizieschi ritraggano la vita reale?» sorrise a sua volta Katherine.
«Perché no? Il romanzo si basa appunto sulla vita… Comunque, posso dire una cosa. Se fossi un delinquente, non vorrei avere alle calcagna un segugio qual è Hercule Poirot»

Neanche a dirlo: con abili mosse e tasselli che magicamente torneranno a posto lasciando il lettore incerto sull’identità dell’assassino fino alle ultime pagine, anche in questa avventura la regina del giallo saprà accompagnarci con gradevolezza fino alla fine, ammantando il tutto dell’atmosfera aristocratica, soleggiata e frizzante della Riviera, che così tanto mi ha fatto apprezzare questa lettura. Pare che in realtà questo romanzo non fosse tenuto in così alta considerazione dalla Christie, che lo associava al periodo del suo divorzio, e non a caso, posso dedurre, una storia di divorzio è proprio al centro dell’intrigo di cui vi ho svelato solo alcuni particolari centrali: gioielli, fermate del treno, false identità.

Credo siano queste le parole chiave da tenere presente mentre si legge Il mistero del treno azzurro. Da stemperare poi nella risoluzione finale che si accompagna a questa morale “poirottiana” incentrata sulla metafora ferroviaria, che ho trovato molto divertente e dolce:

«I treni non hanno mai riposo, vero, signor Poirot? Si muore, si soffre, e loro vanno e vanno sempre… Dico cose assurde, lo so; ma lei mi capisce».
«Certo che la capisco, figliola E la vita è come un treno: procede, procede sempre. Ma è bene che sia così.».
«Perché?»
«Perché alla fine il treno giunge alla meta… C’è un proverbio, proprio inglese, che forse lei conosce…»
«Sì. “I viaggi finiscono nell’incontro degli amanti”»
Lenox rise. «Ma questo per me non sarà vero».
«Sì, che sarà vero! Lei è giovane, figliola, più giovane di quando creda. Si fidi di questo treno che è la vita, poiché è le bon Dieu che lo guida.»
Di nuovo si udì il fischio della locomotiva, e Poirot concluse: «Sì, se ne fidi… E si fidi di Hercule Poirot, che sa».

 

Il mistero del treno azzurro
edizione in lettura: Mondadori, I classici del giallo, 2004 (prima edizione 1940)
Voto lettura: 5/5

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!