Quel che è stato aprile, si era scritto, «lo si racconterà in una piazzetta di un borgo ligure». Quel che era stato il tempo prima, quel che si è cristallizzato in trenta giorni corsi via come un lampo: i giorni di aprile. Giorni di primavera piena come inceppata, quando vorresti il sole ancora non torrido per tornare a uscire e contemplare il mondo, ma il caldo non arriva, dà solo rapide illusioni, e tornano le nuvole.

«Lo si racconterà in una piazzetta di un borgo ligure»: lo si dirà cosa? Il tempo, credo l’oggetto misterioso sia stato lui. Il tempo che è un po’ clima, un po’ scorrere delle stagioni, tra sorprendenti fioriture che nel giro di venti giorni annunciano colorate la primavera e si trasformano nelle segrete e dolci essenze presagio di estate, ed è tutto più bello. Il tempo che non basta mai a fare tutto, le pile di arretrati, le accelerate con cui aprile ha esordito, scale contorte di agende, ritardi, giravolte, frullatori cronologici e crolli di stanchezza. Tempi futuri: tempi passati. Futuri passati è una delle numerose mostre che durante aprile ho visitato al Polo del ‘900, e che ricostruiva il filo immaginario con cui, tra libri, immagini e film, il Novecento si predisponeva ad accogliere il futuro che sarebbe arrivato. Neanche a dirlo, un geniale Umberto Eco intervistato da Alberto Sinigaglia già aveva capito tutto: ci ho passato una buona mezzora di un pomeriggio frenetico, improvvisamente immobile davanti al televisore dove il professore mi raccontava l’oggi che aveva previsto trent’anni fa.

Nel caos del tempo che compone questo aprile, una giostra dove ogni giornata non assomiglia a nessun’altra, mia fortuna e mia pillola di stress, ho passato molto tempo al Polo del ‘900. Vuoi il caso, vuoi gli eventi, molte volte mi sono trovata a cavalcare a passo spedito per via Garibaldi per raggiungere i palazzi di corso Valdocco e visitare, intervistare, approfondire. Ho fatto tesoro di tutte queste esperienze, che mi hanno regalato conoscenze nuove, sguardi più approfonditi. Una cosa che vedo accadere di “post al mese” in “post al mese”: forse scavo meno in profondità, ma ho allargato la visione, e va bene così per ora.

Se poi aggiungiamo alle occasioni culturali offerte da Torino le molteplici e rocambolesche interviste del mese di aprile, tra panchine in mezzo alla strada, telefonate, domande improvvisate sulla fretta oppure bruscamente cambiate per idee arrivate di getto, la visione si amplia ulteriormente. Ho parlato con scrittori che ho letto e amato (Christian Frascella), con persone che ne sanno un sacco più di me (Alessandro Bollo, direttore del Polo del ‘900), con un gruppo musicale che ho scoperto in radio e apprezzo (Accordi Disaccordi), perché aprile è stato anche il mese del Jazz Festival, chiuso con un bel concerto e saluti e dischi.

Non mi sono fermata, eppure mi sono inceppata, frenata, persa. E poi mi sono stupita, e la corsa è stata ancora una volta arrestata. È stata colpa della bellezza: ad aprile ho avuto la bellissima occasione di ammirare dal vivo disegni di Michelangelo Buonarroti (pazzescamente ubicati sul tetto del Lingotto, con la pista d’auto) e Leonardo Da Vinci. La meraviglia che racconta storie e possibilità da cinquecento anni fa. Un passato che diventa futuro, una visione limpidissima e un raro e prezioso regalo quello di poter vedere tutto ciò ancora integro.

Perché aprile è anche il mese in cui ho passato una serata intera incollata a RaiNews 24 osservando con angoscia Notre Dame bruciare in una Parigi attonita. Scene da inferno e sgomento, un’acuta consapevolezza della centralità del patrimonio materiale e simbolico, delle cose del nostro immaginario, degli oggetti, dell’arte e della cultura. Il lancinante sentimento dell’importanza dello studio e della ricerca, la commozione davanti alla bellezza, seppure bellezza che svanisce.

Una commozione che è tornata il 25 aprile, giornata dedicata alla ricerca, al ricordo, zigzagando liberi tra le pagine della città. Parlare di pagine e di città in una stessa frase non potrebbe abbinarsi che con il mese di aprile 2019. Perché è ad aprile 2019 che la notizia è finalmente giunta sulla ribalta del mondo: a maggio uscirà il mio libro, Torino di carta, edito da Il Palindromo e pieno di storie e personaggi legati a Torino e ai libri.

In fondo, è sempre tutto follemente legato ai libri nelle mie storie di vita. C’è il lavoro, che ad aprile mi ha portato a raccontare di Torino che legge, di Matota con Pino Pace, del Salone del libro, sempre più vicino. Ci sono i progetti costruiti con tenacia davanti a pizze, tulipani in bottiglia e spritz modificati, le mail quelle brutte, le arrabbiature e tuttavia la forza di ripartire grazie al motore infinito dell’amicizia. C’è una storia bellissima di librerie e amicizie che resterà tra le cose più belle di aprile 2019 e che indica luminosa la via da seguire. E poi c’è Primo Levi, l’esplosione delle iniziative legate al centenario dalla sua nascita a Torino, le lezioni sulla sua poliedricità, i suoi passi sui marciapiedi di Torino finiti anche nel mio libro, una sera a teatro per Se questo è un uomo, emozionantissimo meccanismo scenico sulle parole affilate come proiettili di Primo Levi. Insomma, altra bellezza.

«Lo si racconterà in una piazzetta di un borgo ligure», circondati da bellezza. Oppure lo si sottintenderà. Non sono cose da analizzare troppo quelle che raccontano con limpida novità e un filo di spavento di quanto abbia fatto stranezza correggere le bozze del proprio libro, di quanto altrettanto insolito sia stato fare un appello e badare che la gente non copiasse durante gli esami, e correggerli, e mettere dei voti. Aprile è già passato mentre scrivo, o tento di scrivere di quel che è stato aprile. E tutto sembra sfuggirmi, sabbia che scivola verso il suo lido, di cui sentiva irrefrenabile attrazione. È lì che i tempi si rimettono a posto: fretta di accelerare, inchiodate improvvise, strappi e rincorse ritrovano il respiro sul battere dell’onda a riva, il suo strascico di schiuma e sale che torna, e poi si allontana, e ancora ritorna. E scopre tutte le sue preziose conchiglie, volti che sono casa, voci e storie che sono pavimenti, abbracci che sono un tetto.

Nella piazzetta del borgo ligure il mare riporta respiro, le persiane si spalancano su panni stesi al vento, la luce gioca con archi e carruggi, le chiome verde brillante salutano i fiori e profumano l’aria. Tutto è perfetto: la città mi ha rivelato i suoi segni segreti fatti di orizzonti e profumi, di cammini infiniti e ginestra che bussa alle porte. Qui, finalmente, posso raccontare. Aprile è stato un viaggio fino a Ipazia: città dei segni. Segni di carta, libri e pagine, storie raccolte nel passato che diventeranno futuro. E il futuro è qui, parte insieme al calendario di maggio.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!