Prosegue con marzo la Agatha Christie reading challenge 2019 (promossa, lo ricordo, da Radical Ging e dalla Agatha Christie Limited), che per questo mese detta la regola di scegliere il libro dell’autrice che più ci è piaciuto. E dunque, dopo aver riletto un romanzo con Poirot e uno con Miss Marple, sono ritornata al simpatico e geniale belga con baffi e testa a uovo. Perché il mio romanzo preferito in assoluto di Agatha Christie è L’assassinio di Roger Acroyd, anche noto come Dalle 9 alle 10.

Chi tra di voi è un lettore di gialli classici inglesi starà già sorridendo perché si tratta di un romanzo imprescindibile della storia del genere. Contiene infatti una trovata oserei dire unica, che naturalmente non posso svelarvi per non far precipitare quel bellissimo castello edificato riga dopo riga nel rapporto tra scrittore e lettore. La soluzione del giallo vi lascerà – o vi ha già lasciato – senza parole, e il motivo di questa reazione si ricollega squisitamente al campo da cui arrivo: la semiotica, la teoria della narrazione. Dunque non ho avuto alcun dubbio fin dall’inizio: è davvero il mio romanzo preferito di Agatha Christie. E ora, con la contrainte che mi obbliga a non svelare nulla, cercherò di spiegarvi perché!

Partiamo dal paratesto. Ancora prima di iniziare la rilettura di questo romanzo, infatti, l’occhio mi è caduto sul nome dell’autore di prefazione e postazione: Leonardo Sciascia. Non ricordavo affatto questo dettaglio – che  a ben vedere dettaglio non è – e mi sono felicemente stupita di notare che un grande intellettuale del Novecento abbia messo mano al commento di un giallo come questo che, lo ripeto, non è affatto banale, anzi costituisce uno dei più moderni e brillanti esempi di letteratura di genere, secondo me.

Quindi, con la benedizione di Sciascia che con indubbio talento non svela nulla ma ricorda che siamo davanti a una sorta di “quadro natalizio”, dove tutti i congegni – come i parenti – devono essere presenti affinché un meccanismo già rodato funzioni, sono entrata in un romanzo datato 1930. La lettura di un giallo di Agatha Christie, mi aveva ricordato Sciascia, è sempre una “vacanza soggettiva”: come tutte le letture, aggiungo io. Perché leggere gialli, infatti, se non per il piacere sottile dell’essere sfidati?

Siamo a King’s Abbott, paesino della provincia inglese lontano da tutto e molto piccolo, tanto che la sua comunità, oltre a conoscersi pressoché nella sua integrità, vive di pettegolezzi, occhi pronti a spiare dalla finestra e, come un quadro inglese che si rispetti, segreti nascosti. Troviamo il nostro ormai noto eroe detective Poirot in pensione, ritirato dalla ribalta che lo ha visto protagonista di tanti casi clamorosi, brillantemente risolti, e oggi dedito alla coltivazione delle zucche nel villino dei larici a King’s Abbott, dove solo pochi ne conoscono identità e fama, vista la cortina di discrezione che ha creato intorno a sé.

Poirot è così defilato che nemmeno i suoi vicini ne conoscono il mestiere, e dunque il dottor Sheppard, narratore di questa storia al posto della classica spalla Hastings (il buon amico, dirà Poirot, oggi in Argentina) crede all’inizio che sia un parrucchiere in pensione. Sciascia, però, ci aveva avvertito: «il dottor Sheppard è tutt’altro che “la spalla” di Poirot: è indipendentemente e assolutamente “lo scrittore”». Tant’è che la narrazione che il dottore fa, su un vero manoscritto che, alla maniera del già celebre Watson, serve a tenere traccia dei fatti e dell’indagine, avrà un ruolo centrale anche per lo stesso Poirot. Hastings, insomma, resta fuori dalla storia, insostituibile come ogni personaggio ormai caro al lettore.

Ma eccoci al fattaccio: Roger Acroyd, signorotto di campagna molto ricco al centro della scena del paese, viene trovato assassinato. C’è una scena del crimine ben definita, ne abbiamo anche una mappa riportata fedelmente dal dottore nel suo racconto, ci sono diversi personaggi che ruotano intorno a questa vicenda, ognuno col suo segreto, perché, come ricorderà Poirot più volte, nessuno dice interamente la verità, e parallelamente ognuno ha qualcosa da nascondere. È un discorso rivolto a tutti i personaggi, davvero a tutti.

Ora, non posso sbilanciarmi sulla trama, perché la particolarità di questo enigma della Christie è che, se non lo avete mai letto, vi rovinerei tutto. Un po’ come accade al cinema per Il sesto senso: il film contiene un congegno narrativo così sopraffino e particolare che, una volta svelato, impedisce di riguardare il film come lo avete visto – con sguardo innocente – la prima volta. Ecco, è la situazione che mi ha coinvolto in questa rilettura. Sapevo già tutto, e rileggere da capo il libro, ormai non più lettrice innocente, mi ha permesso la magica possibilità di inciampare in indizi evidenti seminati dalla Christie ma così abilmente incastonati nel flusso del racconto da apparire innocui alla primissima lettura. L’incantesimo della lettura innocente, però, è irrimediabilmente spezzato una volta arrivati alla fine, non solo per me, ma per tutti: ed ecco perché non posso rivelare nulla di questa trama, se non aveste ancora letto il libro, ve la rovinerei definitivamente, senza possibilità di rimedio alcuno, salvo una perdita di memoria!

Discrezione e reticenza sono, non a caso, le due dimensioni entro cui tutto il castello de L’assassinio di Roger Ackroyd si muove, anche se in apparenza gli elementi centrali restano lo studio dove viene ucciso il personaggio, la finestra aperta, una poltrona e soprattutto degli orari. Non è un caso che il titolo scelto per altre edizioni italiane sia Dalle nove alle dieci: sta infatti nel determinare l’ora esatta della morte uno degli inneschi che porterà Poirot alla soluzione.

Il fatto simpatico, una grande strizzata d’occhio al lettore con l’ingresso dell’autrice a gamba tesa in questa storia, è che ci potreste arrivare anche voi lettori, riflettendo bene su alcuni dettagli dell’ora, all’assassino. Tutto vi è presentato nella sua chiarezza. Solo che, all’inizio, ancora non lo sapete. Ecco, io trovo questo mescolamento di slealtà e lealtà nei confronti del lettore l’aspetto più interessante e geniale di questo romanzo. Non è solo una storia gialla, è una storia su come si scrivono le storie gialle, una dichiarazione della scrittrice, del suo estro e della sua presenza costante, consapevole e un po’ scaltra, dentro le storie. Come scrive Sciascia una volta arrivati – incredibilmente stupiti e affascinati – all’ultima pagina, in postfazione, questo sorprendente romanzo non è altro che «una parabola dello scrivere gialli, cioè dell’ambigua ragione per cui si scrivono».

Lo so, non ho detto niente, ma ho detto al tempo stesso tutto: ora non vi resta che leggerlo, perché solo così capirete tutto, inclusa la ragione per cui ritengo questo piccolo capolavoro di letteratura di genere una pietra miliare per la teoria della narrazione.

 

L’assassinio di Roger Acroyd
edizione in lettura: Mondadori, I classici del giallo, 2000 (prima edizione 1930)
Voto lettura: 5/5 e lode

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!