Febbraio è iniziato con la neve, una performance artistica impensata e bizzarra, come un pianista che suona dalla pancia di un pianoforte appositamente modificato, e ruota per lo spazio, spostandosi e interagendo al contrario sulla tastiera, e un pomeriggio dolcissimo di candore sui tetti, jazz e scrittura. Se ci ripenso ora, dalla sponda di un weekend di marzo, febbraio è il mese più corto dell’anno ma in questo 2019 è stato denso, una pietra formata dalla fusione strettissima di minerali diversi, il cui risultato è un sasso marmorizzato, dagli intrecci che formano onde caotiche.

Il caos, nonostante una partenza soft complice la neve, che tutto addolcisce e lenisce, non è mancato. Febbraio è iniziato con una serata al cinema per il documentario in anteprima degli Ex-Otago e una maglietta volata in faccia a effetto freesbee nella suddetta sala del cinema. Uno scoppio energetico premiato dalla vittoria della maglietta in questione, il cui riverbero ha animato e sorretto i primi dieci giorni del mese. Sono stati giorni intensamente musicali, premiati da una serenità e da una curiosità generate proprio dal film sulla band genovese, che conoscevo poco e della quale mi sono appassionata giusto in tempo per il palco di Sanremo.

Perché naturalmente, che febbraio sarebbe senza il Festival di Sanremo? Dopo quattro anni, per la prima volta non ho seguito la settimana festivaliera dalla pancia del teatro Ariston (mirabolante avventura che vi raccontavo qua), ma dai tetti di Torino. L’asse Torino-Sanremo si è concretizzato poi paradossalmente nella sorpresa che il video di Francesco Renga per la canzone sanremese fosse girato proprio nella città della Mole. Scriverne è stato un solleticante piacere.

Confesso però che la frenesia della sala stampa e il sorprendente e magico fatto per cui in una settimana non può esistere altro che Sanremo, e le vicende di conduttori, cantanti e altre amenità mediatiche finiscono per diventare l’unico scopo di vita, un po’ mi è mancato. Era come una vacanza lavorativa, uno stacco dal quotidiano affanno, l’immersione in una bolla di leggerezza che, tuttavia, non ha mancato di coinvolgermi. Ho seguito Sanremo tutte le sere attraverso esilaranti chat con gli amici e altrettanto mirabolanti cronache e commenti sui social che, credo, siano ormai la modalità di seconda lettura innestata su quella primaria del teleschermo preferita dai miei coetanei e da tante altre fasce di pubblico.

È stato divertente, spossante, abbiamo riso e ci siamo emozionati anche un po’ per le canzoni più innovative, come quella, fortissima di Silvestri, o la dolcissima di Cristicchi. Fenomeni di rilievo particolare, se escludiamo l’assurda polemica conseguente al Festival 2019 che mi ha personalmente destabilizzata, non ce ne sono stati. Del resto il carrozzone festivaliero è un eterno ripetersi dell’immagine di sé, sempre uguale, costantemente ricorsiva: me lo ha raccontato Jacopo Tomatis, autore di Storia culturale della canzone italiana (Il Saggiatore), studioso e musicista di formazione torinese che ho intervistato durante il mese di febbraio, io a Torino e lui in sala stampa al Teatro Ariston per assistere dal vivo al Festival. Un’esperienza che, nel bene o nel male, dà sempre le sue soddisfazioni.

Le soddisfazioni, fuori dalla cornice totalizzante di Sanremo, sono arrivate a febbraio da tante interviste e incontri con persone diverse. C’è stato per esempio Fabio Geda, che ha scritto una storia che racchiude insieme la sua esperienza di educare e la più antica esperienza e vicenda di don Bosco, fondatore dell’istituzione che un po’ tutti conosciamo come oratorio salesiano. Si intitola Il demonio ha paura della gente allegra, ed è edito da Solferino. Poi c’è stato l’ex collega e sociologo Giuseppe Tipaldo, con il suo libro edito da Il Mulino La società della pseudoscienza, mai come di questi tempi attuale e importante. Per intervistare Giuseppe sono andata al Campus Einaudi dove, con una regolarità da orologio atomico, mi sono nuovamente persa, incontrando peraltro un mio ex professore del primo anno di università in ascensore. Mi sono nuovamente persa al campus, o per lo meno nei suoi dintorni, qualche giorno dopo, sfidando i cortei di protesta torinesi per strada e andando a visitare le nuove aule studio di Off Topic. È stato chiaro che da quando studiavo io i tempi sono ormai cambiati. Ne ho preso una enorme consapevolezza, bordata di ottimismo, quando, sempre a febbraio, ho avuto la sorpresa di dialogare con un 14enne che mi ha raccontato l’intenzione e la progettualità dietro i ripetuti venerdì di sciopero per l’ambiente, i Fridays For Future che si stanno svolgendo in vista del 15 marzo a Torino e in tutta Italia.

Insomma, un febbraio lavorativamente denso, con tante conoscenze, svariate letture e approfondimenti, e la bellezza di trovarsi davanti a capolavori rinascimentali e a piccoli e preziosissimi frammenti di disegni leonardeschi nel cuore di un palazzo nobile di Torino, di scoprire una “linea di San Michele” che collega Torino alla Francia e alla Puglia, fino al rintracciare nella buia e storica via Barbaroux una storia in apparenza triste ma in fondo bella, quella della Libreria Aut e della sua rinascita lontano da Torino. Esperienze ricche, come quelle di ascolto, che nel corto ma affollato febbraio hanno fatto scorpacciate di novità, sulla scorta di Sanremo tra Ex-Otago e Ghemon, e studiando per celebrare san Valentino con la prima volta a un concerto dei Subsonica. Nella lista delle “cose fatte per fingere di essere torinese” posso annoverare così anche questa.

E i libri? Febbraio è stato strapieno di libri: dentro, fuori, nel passato, nel presente e nel domani. Progetti conclusi con orgoglio e speranza, manoscritti in viaggio, cene con autori e amici ritrovati. Tra i progetti in corso d’opera è proseguita la challenge legata ad Agatha Christie con la lettura di un romanzo di Miss Marpe, Il terrore viene per posta; mentre si è chiuso circolarmente, da febbraio 2018 a febbraio 2019, il Progetto Nonostante che tanti lettori tra di voi ha coinvolto su queste pagine. Tra l’intenso giallo della mimosa che promette bella stagione e rinfranca dai rigori dell’inverno con la sua poesia e profumo, ho provato a fare un bilancio dell’esperienza passata in giro per un anno a raccogliere e raccontare storie. Il parere è altalenante, tra la soddisfazione di un progetto concluso e un chissà che guarda al domani e non ha ancora capito che direzione prendere.

Ma, tornando ai libri, dicevo che non sono mancati, anzi hanno costruito un vero universo: libri letti per passione, per progetti, per interviste, per recensioni. Di questi ultimi fa parte il bellissimo volume Storia di Montalbano, il cui autore è un docente di semiotica all’Università di Palermo, Gianfranco Marrone, e che mi ha trascinato proprio a febbraio, mese in cui la Rai ha mandato in onda due nuove puntate della fiction con Luca Zingaretti che ci hanno tenuti incollati allo schermo festeggiando i 20 anni del Commissario in tv, nel grande e potete ingranaggio simbolico allestito a partire dai romanzi di Camilleri. È stata una lettura trascinante, intensa e di scoperta e collegamento di tanti fattori che ruotavano come satelliti nella mia esperienza di lettrice, spettatrice e studiosa. A conferma di un personaggio ormai diventato eroe intermediatico, che è caro a tantissimi lettori e spettatori, e che fa della mente geniale che lo ha creato, quella di Camilleri, uno degli autori più giganti (anche se più giganti non si dice, ma è per ribadire l’immenso bene che sento di volergli) degli ultimi decenni.

Infine, l’altro filone tematico che ha caratterizzato il mio mese di febbraio è stato il giornalismo, interesse ravvivato, oltre che dalle quotidiane sfide del mio lavoro, anche dal corso di linguaggio giornalistico attivato dall’Università di Torino e dalla società Gedi al quale collaboro. Di settimana in settimana ho assistito a lezioni attuali e calate nella realtà di una redazione frenetica e multiforme come è qualsiasi redazione contemporanea. Parallelamente, ho letto testi a tema e l’universo che mi si è ricreato davanti è quello di una professione complessa che, al pari con la realtà che cerca di raccontare, presenta storie, sfide, problemi e ostacoli da non sottovalutare. L’imperativo, morale di tutto quel che il mese di febbraio ha portato e attivato non può che essere uno e, fondamentalmente, il solito che già conoscevo e perseguivo: quello di non fermarsi mai alla superficie, ma scavare, approfondire, conoscere. È l’unico rimedio contro la società della pseudoscienza che avanza, contro la sciatteria del superficiale che impazza ovunque. Cercare la bellezza, la complessità, costruire, leggere, collegare, pensare. Mai stancarsi, anche se è molto difficile, a volte sembra persino impossibile.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!