La lettura della Agatha Christie reading challenge 2019 per questo febbraio è ricaduta, secondo le regole del gioco, su un libro della regina del giallo che avesse per protagonista Miss Marple. Dopo l’infallibile detective belga Poirot (ve ne parlavo a proposito del primo libro della challenge letteraria promossa da Radical Ging e dalla Agatha Christie Limited) è lei l’altra investigatrice protagonista di parecchi romanzi della copiosa produzione di Agatha. Ed ecco allora che, tra i tanti, ho scelto un po’ a caso, un po’ a fiuto, Il terrore viene per posta.

Lo avevo sicuramente già letto almeno una ventina di anni fa, ma ne avevo totalmente rimosso la trama. Per fortuna, va detto, trattandosi di un giallo!

La sorprendente riscoperta di questa storia è che, fondamentalmente, non si tratta di un romanzo con Miss Marple. Cercherò di spiegarmi meglio: sì, Jane Marple, la signora perbene – inglesissima, compunta, distinta e con una grande perspicacia – fa la sua comparsa nel romanzo, ma il ruolo che svolge è, direi, quasi esterno alla commedia umana a cui assistiamo. Nel classico elenco di personaggi che apre il romanzo, infatti, ha un ruolo piccolo, seppure decisivo: comparirà molto, molto avanti nella storia, quando i delitti sono già avvenuti e l’inchiesta è già avviata. Resta a latere, Miss Marple, consigliera saggia e in grado di mettere tutto a posto vedendo quel che tutti hanno sotto gli occhi ma non riescono a comporre in un quadro chiaro.

Il vero protagonista di Il terrore viene per posta è invece Jerry Burton, un pilota di aviazione che, dopo aver subito un incidente, ha bisogno di prendersi un periodo di relax lontano dal clamore di Londra. Non vengono esplicitate date, nel libro, che tuttavia sappiamo essere uscito nel 1942, in piena guerra e in periodo maturo per l’autrice, che mette a frutto un meccanismo di giallo all’inglese rodato, tra equivoci evidenti ma invisibili e indizi fatali.

Ma dicevo: il signor Burton, in via di recupero dal trauma, decide dunque di spostarsi nel tranquillissimo paesotto di Lymstock con la sorella Joanna. Entrambi di alta borghesia inglese, agiati e dediti alla mondanità e al bel vivere, pensano che la loro esistenza sarà piuttosto noiosa nella routine provinciale del paese, ma si sbagliano, perché il tran tran e il riposo sono squarciati dall’irrompere di una serie di lettere anonime.

Le lettere, forse, sono il dettaglio più classico e più bello di questo romanzo: costruite ad hoc, buste scritte a macchina da scrivere, testo composto con ritagli di un vecchio libro ottocentesco e, come si conviene, di una carica mordace e velenosa capace di scuotere le coscienze di tutto il paese, nel generale rimprovero per simili nefandezze. Intorno alle lettere, e grazie al racconto di Burton, che narra in prima persona al passato, sorta di Hastings impegnato a conservare le cronache dei sorprendenti fatti vissuti, si costruisce un cast di volti, storie e segreti, come da commedia à la Christie che si rispetti.

Uso la parola commedia non a caso: l’impressione che ho avuto da questa rilettura de Il terrore viene per posta è proprio quella di un allestimento teatrale, con ogni personaggio presentato sulla scena e con una serie di relazioni molto varie tra loro che prendono vita, si formano e crescono, conducendo all’agile finale – happy ending, ovviamente – che, tuttavia, sa sorprendere perché per nulla scontato. Non sarebbe un giallo di Agatha Christie, se non fosse così.

Lo spirito della commedia occhieggia anche in alcuni dettagli di società e costume che forse solo dettagli non sono, perché contribuiscono ad allestire un intero universo che racconta l’Inghilterra degli anni ’40. Mi ha colpito, per esempio, la presenza di un omosessuale, parola che non viene mai apertamente pronunciata ma la cui identità si comprende benissimo, e non ha filtri giudicanti. Oppure, ancora, la battuta di un personaggio femminile che accusa Burton di non apprezzare le donne che vogliono fare carriera: «Io volevo studiare per diventare medico – dice infatti Aimée – ma loro [i genitori] non hanno voluto saperne, si sono rifiutati di mantenermi agli studi. Però con Owen [il fratello] non hanno battuto ciglio. Eppure sono convinta che sarei diventata un medico migliore di mio fratello». Siamo negli anni Quaranta, e affermazioni del genere non erano affatto consuete, credo di poter dire.

Nonostante la presenza della polizia, intenta a indagare, cercare  e fare appostamenti – che tuttavia non vediamo in presa diretta, ma che conosciamo per i racconti che Scotland Yard fa a Burton – il caso non si risolve. Entra quindi in scena, ben oltre pagina 150, qualcuno capace di trovare il bandolo della matassa. Nel senso forse più autentico, visto che Miss Marple compare mentre fa la maglia, pacifica vecchietta della provincia inglese. Nonostante l’aspetto innocente, è convocata sulla scena in quanto esperta, perché lei è «una persona che conos[ce] bene la natura umana, che [sa] come funziona la malvagità e a quali conseguenze [può] portare».

Pochi indizi di quelli concreti, in stile Sherlock Holmes, piuttosto, invece, ragionamenti logici e conseguenti deduzioni condite con psicologia umana, che nel piccolo teatro di un paesino di provincia è un argomento elementare da studaire. Almeno per Jane Marple. E così, zitta zitta, la «simpatica signora di mezza età, intenta a sferruzzare della lana bianca di angora» saprà, restando sullo sfondo, quasi invisibile, allestire un marchingegno niente affatto scontato per sgominare il colpevole, in un crescendo di azioni e colpi di scena che si consuma nelle ultime pagine.

Ma, vi avvisavo, io l’ho letta come una commedia, tanto è vero che alla fine è proprio un sipario da commedia quello che cala a rimettere a posto le acque agitate di Limstock, e tutti i fili narrativi riprenderanno il loro corso, nella bonaria, tranquilla e agiata esistenza di un paesino dell’Inghilterra vittoriana.

Il terrore viene per posta
edizione in lettura: Mondadori, I classici del giallo, 2004 (prima edizione 1970)
Voto lettura: 3/5

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!