Nonostante

Il confine, la pressione mediatica, la responsabilità, l’età, l’inesperienza

La storia

Colpo di scena, la rivoluzione, Ventimiglia ha cambiato verso: raccontavano la novità in arrivo i titoli dei giornali in quel giugno 2014, quando Enrico, 28 anni all’epoca, classe 1985, vinse le elezioni nella città ligure di confine diventando sindaco. La novità aveva ragion d’essere, vista l’imprevedibilità del risultato elettorale: un sindaco giovanissimo – tra i più giovani di Italia, nemmeno trentenne – arrivato in un momento delicato e particolare per la città che usciva da un commissariamento e, persino durante il secondo turno elettorale di quell’estate, aveva agitato l’opinione pubblica per la presenza accertata di voti di scambio. Città di confine, da sempre cuscinetto di tensioni e frizioni tipiche di ogni soglia – culturale, geografica, linguistica -, nel quinquennio alla guida della nuova giunta Ventimiglia si è trasformata in una delle città simbolo del problema dell’immigrazione. Migranti, no borders, il campo Roja, la frontiera francese, casi di cronaca, tragedie e una tensione a gravare incessante sugli abitanti, mentre il grande occhio mediatico nazionale – e non solo – arrivava a documentare la situazione, a interagire con la sua amministrazione per capire, esplorare, trovare risposte o nuove domande. Davanti a queste sfide alte come montagne, Enrico non ha mai capitolato, ed è arrivato quasi alla fine del suo mandato, che scadrà proprio nel 2019. Tempo di bilanci, non politici ma personali. Ne abbiamo chiacchierato una mattina d’inverno, in Comune a Ventimiglia.

Non puoi lasciar andare e rinunciare – Nonostante #12

È lunedì mattina e viaggio verso ovest, direzione Ventimiglia: la Porta occidentale d’Italia. Pochi chilometri, la maggior parte dei quali in galleria, mi portano a destinazione in una placida giornata d’inverno in cui il mare brilla e, nonostante il vento gelido che si insinua prepotente nel bavero del cappotto, tra il panorama e il verde della macchia mediterranea si intuisce già una briciola di primavera. Lunedì mattina, per l’appunto: in Comune c’è da fare, e un po’ mi preoccupa il non poter avere tempo a sufficienza per le mie domande. Invece Enrico e il suo staff sono cortesissimi, e dunque eccomi al tavolo del suo ufficio, un po’ incredula che il mio progetto nato quasi per scherzo sia arrivato fin qui, un po’ orgogliosa e curiosa di ascoltare le risposte del mio interlocutore a cui, visto che siamo nati a un solo anno di distanza, do del tu.

Per rompere il ghiaccio – metaforico e reale: è una mattina di gelo artico e ho già stretto più mani con le dita insensibili e tendenti al viola – parto da una domanda generica, che tocca insieme la prossimità della fine del mandato di Enrico e la sua impressione sugli anni trascorsi. «Non intendo tanto ciò che è stato fatto a livello concreto in città, quanto l’immagine di te come sindaco – specifico – come ci si sente dopo questa esperienza, oggi, ripensando al 2014?».

«Questi anni sono volati – mi racconta –non pensavo sarebbe successo. Invece mi rendo conto che, adesso, vedo tutto in maniera diversa rispetto a quando sono entrato». Cinque anni lunghi e intensi: a Ventimiglia, dal 2014 a oggi, sono accadute davvero molte cose, in larga parte poco attinenti al classico “ordinaria amministrazione”. È una città particolare, lo so io, che ho scelto di venire fin qui a raccogliere questa storia, e lo sa infinitamente meglio il suo sindaco. «Tutto è stato utile – prosegue – è stato un periodo di crescita personale e non solo. Adesso vedo tutto in modo molto più chiaro, si fa evidente l’immagine del percorso e di quel che pensavo per la mia città. E la sfida diventa sempre più avvincente mano a mano che si va avanti».

Ora che i cinque anni stanno per chiudersi, domando a Enrico se pensa o ha mai pensato di voler rifare l’esperienza da sindaco, ma capisco di aver toccato un tasto che si avvicina molto a una domanda che, in fondo, non pertiene alla mia indagine, ovvero se abbia intenzione o meno di ricandidarsi. «È sempre la fine di un ciclo» ripiega diplomaticamente lui, e io esco dall’agone politico e procedo oltre, tornando ancora una volta indietro, a quel giugno 2014, e chiedendo se allora riusciva già a immaginare la fine del percorso, o se invece era tutto indistinto, sfumato, lontano. Enrico ride: «Era una confusione totale! Pensavo sempre a come sarebbe stata la fine, adesso che ci siamo forse mi immaginavo così… o forse no!». Però, faccio notare io, è stata una prima esperienza, come si dice, “con il botto”, e non è passata in modo neutrale.

Quando chiedo al sindaco di riassumermi il suo percorso prima di vincere le elezioni amministrative del 2014, scopro di un interesse per la politica già vivo da quando era ragazzino. «Ho sempre frequentato il partito – mi spiega – i miei sono iscritti e militanti, tutta la famiglia ne ha sempre fatto parte, andavo alle feste dell’Unità da bambino. Poi, dopo le superiori, mi sono iscritto a scienze politiche a Genova e in quegli anni ho fatto la bella esperienza dell’Erasmus Placement a Madrid». Era il 2010 e al Partito Socialista spagnolo Enrico seguiva le vicende del governo Zapatero: «è stata un’esperienza bella – aggiunge – ero in un ufficio che si occupava di sviluppo e cooperazione internazionale, avevo a che fare con tutto il mondo».

L’università, l’estero, e poi la candidatura a sindaco: lecito domandare, da parte mia, se questo incarico fosse nell’orizzonte di idee di Enrico. «C’era l’idea di candidarsi per il consiglio comunale, queste cose qua… – mi racconta lui ricostruendo la vaghezza che contraddistingue qualsiasi ventenne, oggi – però si intrecciava con l’università e io volevo andare a studiare fuori». E invece, vuoi il caso, vuoi il destino, è finita con un ventottenne segretario di partito in una città dove non si è trovato nessun altro candidato e alla fine si è deciso per una classica “candidatura di servizio”. «È andata così – conclude Enrico, che a Ventimiglia è nato e ha vissuto sempre – ma è andata bene!».

Per preparare questo colloquio ho letto un po’ di vecchi articoli che riguardavano le elezioni di Ventimiglia e ne ho trovato uno, un’intervista uscita su Repubblica il 12 giugno 2014, dove l’allora neo-sindaco diceva di sentire un’onda di cambiamento e l’esigenza di aria pulita in città. La giornalista domandava se, in un contesto simile – città uscita da un commissariamento e con compravendite di voti alla luce del sole – non avesse paura di governare. Enrico rispondeva così: «Se uno ci pensa e si fa frenare dalle paure non si muove più. Invece qui a Ventimiglia si respira già un’aria diversa, di aspettativa. Se ci rifletti un pensiero di timore ce lo fai, ma a 29 anni non ti devi fermare». Rileggo la dichiarazione anche a lui e gli chiedo che effetto gli faccia. «Beh, quello era il tema del momento – mi ricorda – uscivamo da uno scioglimento per mafia, tra il primo e il secondo turno era emersa una compravendita di voti e sembrava di ripiombare in quel clima. Però è così: ti puoi far prendere da quelle o da altre paure, purtroppo amministrando una realtà come si è rivelata questa puoi averne tante».

Il cuore del mio progetto, spiego al sindaco, è un’indagine sul concetto di nonostante: un ostacolo, una sfida, una soglia da oltrepassare per fare, a volte rischiando. Di nonostante, nella storia di un giovanissimo sindaco di una città così particolare come Ventimiglia, ne ho rilevati molti. Parto allora dal primo: le infiltrazioni mafiose. È davvero cambiata l’aria in questi ultimi cinque anni? Enrico mi risponde di sì: «se oggi chiedi a qualcuno di Ventimiglia, ti risponderanno parlando di immigrazione, ma nessuno ti parlerà di mafia – mi fa notare – per un motivo o per l’altro, penso che il lavoro che è stato fatto abbia portato, oggi, a una situazione in cui imprenditori stranieri arrivano qui a investire: se avessero il timore che il palazzo comunale è infestato dagli ‘ndranghetisti non lo farebbero, invece c’è un buon riscontro, ed è una cosa estremamente positiva».

Nessun ostacolo contro il quale girarsi indietro e ritornare alla vita di prima: solo la burocrazia, mi conferma Enrico. Però a Ventimiglia di ostacoli, come ho già detto, ce ne sono parecchi. Inutile girarci intorno: il tema scottante è quello dell’immigrazione, attirata dalla presenza della frontiera con la Francia e in questi ultimi anni arrivata a picchi di esasperazione tale, tra cronaca ed emergenza, da portare la cittadina ligure all’attenzione dei media nazionali. Un’attenzione forte, insistente: come l’ha affrontata l’amministrazione?

«È stato una specie di work in progress – mi dice Enrico – Nessuno di noi era preparato a una cosa di questo tipo, penso non lo fosse nessuno. Abbiamo dovuto improvvisare, ma in senso buono: quando ti trovi duecento persone per strada da un momento all’altro, diventa un problema. Soprattutto, abbiamo dovuto far fronte a un’attenzione, mediatica e non solo, importante, con un sacco di elementi esogeni come i no borders, l’atteggiamento non facile della Francia…». Una situazione concretamente complessa, contraddistinta da tanti punti caldi da gestire, e da una fermezza da non perdere.

«Quello è stato un momento molto difficile – prosegue il mio interlocutore – la città ha risposto, ma la gente dopo un po’ si stanca e non sente più ragioni: non ha tutti i torti. Credo non ci sia stata l’intelligenza politica, da un certo punto di vista, di fare di Ventimiglia un simbolo, ma un simbolo positivo: “state soffrendo, e allora investiamo per venirvi incontro”. Purtroppo non è stato fatto. Io credo che, nel bene o nel male, ci siamo impegnati tanto, un impegno non fine a se stesso che a qualcosa è servito».

Quando è esplosa l’emergenza immigrazione, Enrico era sindaco da poco, alla prima esperienza e giovanissimo. Impossibile non immedesimarsi, per me: alla stessa età e senza aver avuto tempo di accumulare esperienze, cos’avrei fatto? Credo che l’età, inseme all’inconsapevolezza che le si accompagna, abbia un certo peso, e dunque propongo la domanda. «Secondo me l’età in questo lavoro fa tanto: non so come sarebbe stato, altrimenti. Non riesco a immaginare una persona nelle mie condizioni che però ha una famiglia, e non deve trasmetterle stress o coinvolgerla. Invece, nella mia situazione è stato diverso».

Una maglia più comoda, maggiore libertà, pur con tutti i vincoli del caso: è una perfetta situazione à contrainte: mi accorgo che la mia ipotesi di partenza era corretta. «Poi sai – aggiunge lui – alle riunioni a cui partecipavo ero il più giovane di tutti, alcuni potevano essere miei nonni. Questo ha fatto sì che dovessi tirare fuori le unghie per far vedere che non ero da meno. La difficoltà è stata maggiore: è normale quando ti trovi davanti qualcuno con quarant’anni di esperienza sulle spalle e tu sei appena arrivato».

La soluzione è stata il lavoro: duro, incessante. «E i contrasti – mi fa notare il sindaco – ho imparato la lezione che finché non ti scontri con le persone, non le conosci. Ho litigato con persone che oggi stimo tantissimo e viceversa: è lo scontro a rivelarti la vera faccia della gente. Sarei scorretto a dire che con alcuni rappresentati delle istituzioni non ci siano stati scontri: ci siamo pesati, e dopo abbiamo raccolto stima». Come persona, invece, cosa è cambiato in Enrico? «Sono un po’ meno irascibile! – scherza lui, ridendo sulla mia battuta che l’esperienza di guidare una città sia stata in fondo una terapia d’urto – è servita a far sì che pensi alle cose un attimo di più: sono più sospettoso, mi fido molto di meno».

Terzo ostacolo: le minacce, ricevute durante il suo mandato. Immagino un clima molto pesante, un’atmosfera affatto serena. «Non era una bella situazione – mi conferma il mio interlocutore – qualsiasi cosa accadesse c’era subito una parte di città pronta ad addossare colpe. I motivi sono tanti: non hai fatto abbastanza, puoi fare di più. Ma non puoi bloccare con le mani cento persone al giorno, e poi c’è l’attenzione mediatica a cui ti devi esporre, tanta gente che non segue e si ferma alla superficie, atteggiamenti politici… Insomma, un clima pesante e brutto, però, col passare del tempo, anche in questo caso le cose sono cambiate».

Tensioni accumulate, e poi sciolte. Imprevisti, salite e altre salite: chiedo a Enrico se, a posteriori, si è accorto di aver fatto cose, in veste di sindaco, che non avrebbe mai pensato di fare. «Può capitare tutti i giorni –  mi dice lui – perché la pratica è molto più difficile della teoria e ci si trova in situazioni assolutamente imprevedibili dove scegli quella che a te sembra la soluzione migliore». Il punto è che sei il sindaco, e la soluzione migliore ricadrà fuori dal tuo spazio circoscritto di persona singola: ricadrà sulla città e i suoi abitanti, con cui, in quanto primo cittadino, devi mantenere un dialogo costante. Il tutto in una città che, nel caso di Ventimiglia, è come un amplificatore, così particolare da far risuonare tutto con le grandi casse della frontiera.

«Ho un’amica che mi dice sempre che abbiamo regalato a questa città gli anni migliori della nostra vita»: Enrico mi risponde così quando lo invito a cercare di fare un bilancio dell’esperienza, tirando le fila dei diversi nonostante capitati sul percorso. Quando chiedo se questo “regalo” sia stato o no un bene, si scioglie in un sorriso: «Ho fatto un’esperienza che vale un master! Certo, sono stati i nonostante che ci hanno fatto crescere, parlo per me, che nel giorno delle elezioni avevo 28 anni, ma parlo anche per i miei assessori: è stata una crescita complessiva per tutti quelli che hanno partecipato a un’esperienza molto umana, molto problematica, ma anche piena di soddisfazioni. Se la gente sarà contenta lo vedremo».

Qui, sulla soglia del futuro, mi tiro ancora una volta indietro: la storia che cercavo l’ho già trovata. È l’esperienza di un ventottenne sindaco quasi per caso, nel giro di cinque anni diventato più forte e maturo, sulle spalle una sacca di urgenze e problemi affrontati con la consapevolezza di essere a Ventimiglia. Un’esperienza da rifare? Enrico ride: «se dovessi riaffrontare quell’iter ci penserei due volte! Avendolo passato, lo guarderei certo con altri occhi. Però è una traversata nel deserto che non auguro a nessuno. Quando piove sai che smetterà, la differenza è proprio che qui non smetteva mai!».

E poi, ecco il sole: perché nonostante tutto si può fare, si può essere sindaco a 28 anni, sulla Porta Occidentale d’Italia. «Devi farlo, diventa quasi una sfida personale: devi riuscirci, perché non puoi lasciar andare così e rinunciare. Se questa fosse stata una grande città non sarebbe stato uguale, ma qui siamo al confine. Non parlo solo di esposizione mediatica: giochi con te stesso in una situazione così, sei tu».

Postilla

Questa è l’ultima storia del mio Progetto Nonostante iniziato a febbraio 2018. La scelta di intervistare Enrico non è stata casuale. Sulla suggestione di una puntata di Fuori Roma di Concita De Gregorio, dedicata proprio a Ventimiglia, avevo fatto la conoscenza di un mio pressoché coetaneo, chiamato a guidare una città che, per mille ragioni, non era possibile considerare una città come un’altra. Ventimiglia è vicino casa e, secondo la famosa legge dei sei gradi di separazione, ho scoperto che nemmeno Enrico era un totale sconosciuto. Tutto questo mi ha spinto a spostare un po’ più in là la linea d’orizzonte, ampliare la sfida per trovare storie interessanti che avessero a che fare con persone tra i 25 e i 35 anni impegnate in attività nonostante una serie di ostacoli. Ostacoli, in questa storia, ce ne sono stati molti, e hanno implicato la responsabilità forse più grande, quella di guidare una città. Ecco perché la storia di Enrico chiude il mio percorso. Lo chiude su un confine, e non è un caso. Dalla terrazza del Forte dell’Annunziata di Ventimiglia si può godere di uno dei più bei panorami della Liguria di Ponente: la Francia lì a destra, l’arco della mia regione che si apre a sinistra, e davanti una distesa azzurra che non ha confini. Mi piace pensare che il Progetto Nonostante, dopo tanti passi, arrivi su quella terrazza, mi piace immaginare di appoggiarmi al parapetto e, forte di tutte le storie che ho raccolto, continuare a guardare un po’ più in là.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!