Qualche giorno fa mi è arrivata Boomer, la newsletter che Michele Serra scrive per Il Post. Era dedicata a un tema spinoso: “come si parla con i complottisti?” ed era figlia di una precedente newsletter dal titolo “Manca la terra sotto i piedi” dedicata, in buona sostanza, al medesimo argomento. La prendo da qui, e parto da lontano, perché leggendo entrambe ho avuto, insieme a Serra, l’evidenza lampante che siamo davanti a un problema profondo, al quale spesso non sappiamo come reagire: la gente crede alle fake news, la gente si radicalizza su negazionismi vari e compositi. La gente, però, sta intorno a noi, spesso vicinissimo.

Come si fa? Serra chiude con un interrogativo che lancia ai lettori, e che ho fatto spesso mio: “Davvero non si può e peggio non si deve fare niente, perché ogni parola […] non può che peggiorare la […]  situazione? E fino a che punto è “loro”, la situazione, visto che dividiamo lo stesso posto e lo stesso tempo?”. Non avendo una risposta solida davanti a questo che è un problema di grande complessità, mi sono rivolta ai libri. Ne ho trovati due, freschi di stampa in questo febbraio 2023.

Sono Il mondo su misura, di Luca Tambolo (Codice) e Salvarsi da bufale e fake news, di Martina Benedetti (Nutrimenti), questo secondo testo ha un sottotitolo interessante: “il libro che ogni complottista dovrebbe leggere, ma che non comprerà mai”. Sono anche molto belle le copertine: quella di Tambolo ha un manichino sartoriale, a richiamare quel mondo “su misura” che il negazionista costruisce per sé in modo personalizzato, sartoriale appunto, quella di Benedetti gioca sul contrasto fatti/falsi, doppia faccia di una parola che di doppie facce non dovrebbe averne: o sono fatti, o sono falsi. Invece la galassia di fenomeni che ruota intorno a fake news e negazionismi vari ha come prerogativa quella di confondere le acque. E allora facciamo un po’ di chiarezza. Spoiler: sarà un campo seminato di domande.

Due approcci a una stessa galassia di problemi

Leggere Il mondo su misura e Salvarsi da bufale e fake news uno dopo l’altro è stata un’esperienza decisamente utile: la consiglio per un primo approccio a una problematica la cui complessità, come emergerà anche da questo articolo, è profonda e spesso ingannevole. Si tratta di due volumi molto diversi: per scopo, per costruzione, per metodo. Ma, seppure a paragonarli da vicino non si occupino nemmeno dello stesso problema – Tambolo è teso a chiarire che cosa sia il negazionismo scientifico, Benedetti invece ruota intorno al tema delle notizie false – è indubbio che questi due testi condividano sia un approccio scientifico (diverso, come vedremo) sia una certa rosa di temi che, in uno strano caleidoscopio, si rifrangono a vicenda, si legano, si generano dalla collisione e dal rapporto dell’uno con l’altro.

Brevemente, Tambolo in Il mondo su misura costruisce un discorso intorno alla domanda Chi sono i negazionisti scientifici? La risposta ve la restituisco subito: sono coloro che non tengono conto di fatti rilevanti, e rifiutano i risultati della ricerca scientifica a favore di una realtà sartoriale, fatta su misura appunto, della quale asseriscono la verità. Ora, l’aspetto fantastico di questo libro, per il quale l’ho davvero apprezzato, è che Tambolo chiarisce tutto questo con un rigore raro. È come se, indagando su chi sono i negazionisti e fornendo un primo quadro della varietà di negazionismi dai quali siamo afflitti, raccontasse lo stesso metodo scientifico che utilizza. Tutti i meccanismi testuali vanno in tal senso: distacco oggettivo dell’autore, che non compare mai, vaglio di ogni ipotesi portata avanti nell’indagine sui negazionisti, con argomentazioni ogni volta chiare e impeccabili. È un testo chiaro, rigoroso, che detta fin da subito i suoi confini: ci occuperemo di scienze naturali e di negazionismi in questo ambito. Chiaramente ci saranno dei meccanismi e degli aspetti in comune con altri tipi di negazionismo, ma noi analizzeremo un campo ristretto e specifico. Neanche a dirlo: la bibliografia è ampia e molto utile.

La connessione con Salvarsi da bufale e fake news di Martina Benedetti viene facile: dal rifiuto negazionista di ciò che la comunità scientifica sancisce come fatto, avvallato dal consenso basato su dati rilevanti, alla bufala del terrapiattista, il passaggio sembra chiaro. Sembra ma non lo è, e in questo purtroppo si scontra con la rigorosa ricerca di Tambolo l’aspetto più “emozionale” della Benedetti. Infermiera coinvolta in prima linea nell’emergenza covid, l’autrice dedica proprio alla pandemia il suo discorso, che per certi versi si intreccia a quello sul negazionismo. Ma in questo testo c’è anche altro: si parla di fake news e di comunicazione (mal fatta), si smentiscono alcune enormi notizie false sulla pandemia, si citano le teorie del complotto, si fornisce una sorta di manuale di metodologia della ricerca. L’intento manualistico è chiaro, anche se l’autrice ci mette più “cuore” rispetto a Tambolo, che in ogni caso si proponeva, anche lui, di dare antidoti, esempi e chiarezza col suo libro, proprio contro il negazionismo. Possiamo quindi dire che l’obiettivo è il medesimo, e la lettura associata dei libri ne aumenta il valore. Certo, il metodo è diverso: Benedetti è coinvolta e dichiara esplicitamente nella glossa finale che chiude il libro che “odia” (dice proprio così, ed è un termine forte che per certi versi avrei preferito non trovare in un libro dall’approccio scientifico, ma questo, come dicevo, è un libro che ha un’espressione soggettiva forte e decisa) la superficialità.

Retoriche e irrazionalità: alla base di negazionismo e fake news

Temi simili, a volte sovrapposti, ma che ho trovato argomentati con più rigore e chiarezza da Tambolo, e dunque consiglio di leggere prima il suo testo, poi quello della Benedetti. Perché nel calderone sappiamo bene di poterci mettere tutto: negazionismo, fake news e complotto, e difatti tutto questo sarà dentro l’esperienza vissuta in prima linea dell’infermiera durante la pandemia. Ma che peso hanno, che ruolo giocano? Se si legge prima Il mondo su misura, si chiarisce, e dunque si può affrontare con più chiarezza Salvarsi da bufale e fake news, riflettendo più lucidamente sul ruolo della comunicazione e sui bias di ciascuno di noi. La comune presa di coscienza e la relativa spinta all’azione derivano dal fatto che ciò che viene misinterpretato più o meno consapevolmente dalla galassia negazionista ha una ricaduta forte sulla società, ed è per questo che libri come questi due vanno letti e diffusi. Sono un po’ degli anticorpi.

Se Benedetti esplicita e snocciola alcune grandi fake news legate al covid, i ragionamenti di Tambolo aiutano a capire meglio come mai certi atteggiamenti negazionisti abbiano preso piede. Ribadisco: stiamo parlando di temi di enorme complessità, dentro a questo meccanismo ci sono argomenti psicologici, sociali, persino filosofici se vogliamo, per cui non è certo questo articolo a voler risolvere il problema. Tuttavia, leggere lavori di chi sa e ci aiuta a capire è utile.

Ancora. Mentre Bendetti lamenta situazioni varie, di cui ci restituisce il portato straniante e pericoloso per la società, Tambolo cerca di risalire a varie motivazioni che scatenano fenomeni simili: la scarsa alfabetizzazione scientifica, la sfiducia negli esperti, l’effetto Dunning Kruger (su questo consiglio Il coltellino svizzero di Annamaria Testa, Mondadori), la personalità e la mentalità complottista che distorce lo sguardo sulla realtà, i bias e le fallacie logiche che ci prendono per il naso portandoci a considerare la scienza come qualcosa di scontato e superficiale, cosa che non è. Cosa c’è in comune in tutte queste cose? Che portano tutte a strategie retoriche pronte a infestare (e infettare) l’opinione pubblica.

Dalla retorica alla società

Benedetti è arrabbiata perché ha vissuto sulla propria pelle i risultati attivi, concreti, di tutte queste retoriche, perché li sa leggere, a confronto con la scienza – quella vera però! – perché dunque sa che tutto ciò che genera distorsioni pericolose è figlio di tanta superficialità. Ci dimentichiamo, infatti, che la scienza è un metodo indagine che va contro la spontaneità del nostro cervello, e che in queste situazioni è d’obbligo parlare di complessità e non scivolare mai sulla buccia di banana delle trappole discorsive che, rivestite in vario modo e partire da vari interlocutori, ci bombardano distraendoci, emozionandoci (la paura, per esempio) e facendoci sbagliare.

Il problema grave è che tutte queste retoriche (alias: strategie discorsive tese a fini manipolatori di vario tipo, siano esse figlie di interessi economici, meccaniche giornalistiche, semplice irrazionalità che deriva dalla paura e dall’insicurezza che una situazione come la pandemia può – e ha fatto – generare) si riversano sull’opinione pubblica, e le danno in pasto non immagini oggettive del mondo, ma ritagli personalizzati. Il negazionista, dice Tambolo: “contesta risultati scientifici consolidati sulla base di motivazioni ideologiche o economiche, e costruisce un’immagine del mondo che risponde più ai bisogni e ai desideri di chi respinge i risultati della scienza che alle indicazioni fornite dai fatti”.

Se da un lato ci possono essere credenze, identità, visioni di sé e del mondo sullo sfondo di una scienza che improvvisamente appare come minaccia, dall’altro lato ci sono la politica, i decisori, l’opinione pubblica che deve rispondere di tutto questo e agire. Se prima avevamo un problema, adesso ne abbiamo uno più grande: non è solo una credenza singola ritagliata su misura, ma la ricaduta concreta sulla società di quella credenza. Il repertorio di tali fenomeni è vario nel libro di Bendetti: io stessa mi sono stupita di quante “dicerie” siano passate incontrollate nell’infosfera arrivando anche a me – opinione pubblica – e contribuendo a caricare o meno alcune “credenze” su fatti di scienza di cui sono ignorante, perché non sono uno scienziato.

Ma il metodo scientifico?

Un aspetto su cui entrambi i testi puntano i fari è l’infallibilità della scienza. Non è mai esistita: me lo raccontava la prima lezione di fisica del liceo, era proprio la premessa del manuale. Poi, nella vita, presi da angosce, credenze, avvolti in una serie di strati di prosciutto, ci dimentichiamo di questo principio. Ogni negazionista, di quelli convinti, crederà ciecamente nel ruolo infallibile della scienza, rimuovendo così un dato di fatto, e crederà anche che la scienza dichiari cose attraverso un singolo studio. Non è così: la scienza è un processo. È il metodo scientifico stesso a raccontarcelo.

La domanda è: ma lo conosciamo davvero così bene? Forse – e sia Tambolo che Benedetti concordano, portando numerosissimi esempi che francamente ho trovato inquietanti – è la stessa comunità scientifica che ha mancato in qualche passaggio. Benedetti fa notare una bella etimologia che dice molto: metodo deriva dal greco metà + odos, attraverso la strada cioè. Servono sguardo e occhi per fare ricerca. È complesso, fare ricerca – la complessità è realmente una parola chiave – ed è altrettanto complesso orientarsi in una serlva negazionista irta di fake news. L’atteggiamento che bisognerebbe usare in laboratorio come nel mondo quotidiano è il medesimo: dotarsi di metodo per procedere lungo la strada.

Conoscere quindi il metodo scientifico e le retoriche, i meccanismi sociali e politici dietro cui nascono vivono e prosperano negazionismi, complottismi e compagnia potrebbe essere un buon punto di partenza. Entrambi i testi di Tambolo e Benedetti lo sottolineano, fornendo ampie e chiare spiegazioni di che cosa sia e di come funzioni il metodo scientifico, in generale e nello specifico della ricerca clinica. Si potrebbero, così facendo, arginare le uscite di strada sia dal lato di chi ascolta ciò che la scienza ha da dire, sia dal lato della stessa scienza, che dovrebbe certamente imparare a comunicare meglio (al netto, va chiarito, delle pecore nere impazzite, spesso radiate dagli ordini o cui i paper sono ritirati: anche vigilare è importante come comunicare, e gli scienziati non sono ahinoi sempre irreprensibili).

E i media? Il pasticciaccio brutto della comunicazione

Ci sono i negazionisti, da un lato, ci sono le bufale e fake news, dall’altro. Entrambi si alimentano: notizie distorte creano ansie, vuoti di scienza, informazioni fuorvianti che si legano a credenze, bias e tutta una serie di retoriche che fanno breccia nel cuore di chi non è esperto, tutti noi lettori compresi. C’è una scienza che spesso traballa, incapace di comunicare e a volte impazzita al suo interno (e che figura ci facciamo?) e ci sono politici e decisori che cascano nelle logiche negazioniste e, stregati dalle medesime retoriche di cui sopra, portano le discussioni che dovrebbero essere serie su piani che si reggono sull’irrazionale. La situazione è realmente preoccupante.

A margine del fatto che, come propongono i libri di Tambolo e Benedetti, dovremmo seriamente riconsiderare l’alfabetizzazione scientifica italiana e la comunicazione della scienza (durante il dottorato – in Scienze del linguaggio e della Comunicazione – avevo seguito una splendida summer school sulla comunicazione della scienza promossa dall’allora Agorà Scienza dell’Università di Torino. A conferma che queste cose si fanno, forse non abbastanza, ma si fanno), ho tenuto per l’ultimo paragrafo una riflessione personale sull’altro lato della comunicazione. I giornalisti.  La tengo qui perché nei libri di cui parlo non viene affrontata nello specifico, ma meriterebbe paginate e convegni. Anche qui partiamo da un piano di complessità notevole. Ci sono le fake news diffuse da siti che spesso non sono testate, ma motori di clickbite: come li fermiamo? Ci sono le fake news diffuse da testate vere: l’Ordine dei giornalisti dovrebbe intervenire.

C’è una terra di mezzo, poi, e c’è una cosa ben più profonda che è lo stesso funzionamento della logica giornalistica. Se è naturale che, come per tutte le medicine, anche il vaccino pincopallo abbia degli effetti collaterali (pensiero e metodo scientifico), durante una campagna vaccinale che riguarda le persone vere, vive, piene di paure (società) in piena pandemia, se qualcuno muore dopo aver fatto il vaccino, questa è, giornalisticamente, una notizia. Al netto delle verifiche opportune sulla consequenzialità dei fatti e la salute della vittima, non è pensabile non dare una notizia del genere, ma è anche evidente che, una volta uscita questa notizia, scatenerà delle ondate di paura e ritrosia, forse innescherà anche dei negazionismi e delle teorie del complotto. Lanciare la notizia – che è tale – non è certo negazionismo, e magari non è nemmeno una fake news, è la verità controllata, non è disinformazione. Come la mettiamo, con questa storia qui? Io una risposta non ce l’ho, ma ribadisco la complessità e la necessità di tavoli di confronto intercategoriali. Tanti fenomeni si sfiorano, con il rischio di risultati pericolosi e in circoli chiusi: disinformazione crea negazionismo, negazionismo diffonde fake news… Come dovremmo posizionarci noi giornalisti in questo calderone? Sono convinta che cercare le risposte in lavori come quelli di Tambolo e Benedetti sia un ottimo punto di partenza. Quanto agli interrogativi di Michele Serra e dei suoi lettori sui nostri vicini di casa e familiari negazionisti… Qui ho ancora meno risposte. Nel dubbio, io mi informo. Che è un po’ come dire che io mi vaccino.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!