E così anche agosto se ne è andato. Agosto che sono 31 giorni, ma da quando c’è stato il 14, ore 11.36, agosto che è come se di giorno ne avesse uno solo, quello, che riverbera lungo tutti gli altri. Il Ponte Morandi che crolla, a Genova. Lo sgomento, le mani che tremano sul telefono a contattare gli amici, l’incredulità della frase “è crollato il ponte dell’autostrada a Genova”, il pensiero che galoppa e fisso quello, no, non può essere, e invece è. Agosto 2018 è e sarà sempre il Ponte Morandi che crolla inghiottendo vite umane. Lo sgomento. La cancellazione di ogni senso, di ogni leggerezza, fatta macigno come quel cemento armato che crolla nel Polcevera senza pietà per chi ha avuto il destino di attraversare quel ponte quella mattina.

Non posso prescindere da questo accadimento, che ha gelato l’estate, l’ha mandata in cortocircuito, con il risultato che dopo niente era più come doveva essere, o come ci era sembrato fosse. La vita scalpita, le disgrazie non mollano la presa, e se già avevano dato un forte scossone sul finire di luglio, ad agosto è stata la tragedia, quella che non ci puoi passare sopra, e il pensiero torna lì ogni mattina, quando ti svegli in mezzo alle ferie, il sole alto e l’azzurro, ma il Ponte Morandi è crollato e non sarà più estate.

Come se le cose non si collegassero più tra loro – è crollato il ponte, fine delle vie di comunicazione –, come se il segmento fosse stato spezzato, la linea persa, la direzione precipitata nel vuoto. Uno schianto. Agosto, canicola di un giorno di festa, caldo asfissiante, insensatezza ovunque, così debordante da non farsene una ragione, così stridente da rovinare tutto, senza possibilità di rimetterlo in piedi.

La mia estate, il mio agosto, è crollato così. Due settimane di ferie pari a nulla, una convulsa corsa per guadagnare tempo, spazio, ore di mare, letture, corsa contro i mulini a vento, corsa di sciocchi, agitazione cha si è presa gioco di un periodo che avrebbe dovuto essere di calma. Ma lo stress ha vinto, piantato la bandiera sulle macerie del ponte: agosto è finito in polvere e siamo a settembre. Nulla è cambiato, ma il buonumore e le prospettive sono diventati sfiducia e orizzonti chiusi non so bene perché, non so bene da quando.

Seguo le foto sul telefono, rimedio che uso spesso per ripercorrere il mese trascorso, alcune volte è tutto nitido, percorsi chiari, evoluzioni che vanno di giorno in giorno, mentre agosto è sfumato come un pastello acquarellato su cui passare l’indice, sfuocando, spandendo il colore, senza carattere, senza una nitidezza. Vuoto, pieno di ansia, e sconforto, e paura e amarezza.

La prima immagine di agosto è il frontespizio di Le assaggiatrici di Rosella Postorino, che sono andata ad ascoltare proprio il primo del mese a San Lorenzo. Libro potentissimo, autrice che si è confermata un talento, ed è bello pensare che volesse da sempre fare la scrittrice e ci sia riuscita. Il primo agosto anche io avevo ancora un umore aperto, leggero come le vacanze appena iniziate. Scorro le foto, si succedono innumerevoli scatti di mare, azzurro, spiaggia, lo scoglio della Galeazza con la gente in coda per tuffarsi, corpi uno sull’altro, poco spazio dove ricavare una propria cuccia per godere della spiaggia.

In quel cantuccio che pareva un nido ho letto di tutto, in questi giorni d’estate liberi dal lavoro: ho riso, riflettuto, pensato. Il tutto leggendo. E fotografando alcune pagine, che infatti compaiono nel rullino digitale di agosto. Mi sono strafogata di letture, forse per non pensare ad altro, per suturare la ferita dello stress, fingere che non ci sarebbe stata una fine. Mi sono illusa funzionasse, ma ho solo agitato nuove ansie: lo scadere delle ferie, la pila di libri accumulati che avrei voluto leggere.

Per fortuna, alcuni libri erano strategici, come i vecchietti del Bar Lume di Malvaldi, che mi hanno regalato un’evasione perfetta, come quelle pulite e leggerissime delle cene con gli amici, della compagnia, del sentirsi bene perché è estate, dei concerti, come quello alla Pigna di Sanremo, luogo chiuso tra i carruggi che per salire ci si affanna, ma poi ci si sente bene, a casa, appunto. Mare, ancora e sempre mare, e poi le linguine alle acciughe, perché l’estate è anche quello, e il timballo di melanzane, ma anche il caldo asfissiante di agosto, le zanzare, il ventilatore e le pagine della biografia di Natalia Ginzburg che ho trascinato per luglio e agosto, fino alla fine.

Ad agosto ci sono state due uscite snorkeling per i fondali di casa, ricchissimi di vita: tra salpe, occhiate, branzini, ricci, triglie e acciughe, ho visto anche una murena, alla faccia di chi dice che il mar Ligure è triste grigio e povero. La spiaggia: ad agosto non c’è stato nient’altro che la spiaggia, il mare, l’acqua caldissima che era sufficiente spogliarsi e di getto mettere i piedi a bagno e tuffarsi. La spiaggia. Praticamente, solo la spiaggia.

Nel rullino appare un’altra frase, è tratta da L’affare Mayerling, L’Orma editore, che mi ha divertita molto. Poi ecco altro cibo e altra convivialità, le cose belle dell’estate, tra gelati e aperitivi sulla spiaggia al tramonto, persone belle e pensieri ancora di più. E poi c’è il teatro, in questo strano agosto, quello in cornice a Dolcedo, quello nelle grotte di Borgio Verezzi tra Dante, una felpa insperata e un’esplorazione insolita.

Come sempre, agosto segna il passo con il clima che cambia, preannuncio di autunno, e allora ecco pomeriggi grigi, mare che ingrossa, aliti di onde foriere di stagione triste, quando viene buio presto. L’ho patita e la sto patendo tantissimo, quest’anno. Perché l’ho attesa troppo, mi sono bruciata attendendola, e poi la bella stagione mi è esplosa tra le mani, mani così piene di cose che non l’hanno riconosciuta per tempo, hanno creduto di poterla tenere ma non ci sono riuscite. E gli occhi nemmeno, occhi che avrebbero avuto bisogno di cambiare orizzonte per accorgersi della bellezza, occhi che si sono annebbiati, pupille dilatate a sondare i propri spazi, sempre troppo ristretti e bui.

Ma prima del buio di fine mese, prima del Ponte Morandi, e che tutto cambiasse, ci sono state altre cose belle, un romanzo a sfondo semiotico divorato da me e gustato da un’onda che ci è finita sopra, un concerto sul sagrato dei Corallini di Cervo che è sempre e sempre forse sarà un luogo capace di riconciliare l’anima col creato. Se poi ci sono Fabrizio Bosso a cinque gradini di distanza e due amici che non credevi avresti visto, è tutto più magico. A proposito di musica, ad agosto sono arrivati anche alcuni antichi vinili di mio nonno che credevamo persi e abbiamo ritrovato. Purtroppo non posso – ancora – ascoltarli perché il mio giradischi non li legge, ma sono capolavori jazz che raccontano epoche e atmosfere già solo dalla copertina.

Sono arrivati a Ferragosto, proprio quando è cambiato tutto, giornata di caldo nauseante, notizie, tedio e indolenza, giornata in cui la lancetta ha scoccato come sullo scadere di qualcosa, conto alla rovescia terminato: è finita l’estate, e anche se non è finita davvero lo è lo stesso, e lo so, lo percepisco con chiarezza. Nell’aria, nella predisposizione alle cose, la giravolta dell’umore che prende consapevolezza: finiranno le ferie, tornerà lo stress, cambia la luce, le giornate finiscono presto, tutti gli amici sono via e io non mi sono mossa, che non fa bene.

In realtà, tutti gli amici no, perché nella piena crisi di agosto, giro di boa di metà mese, ho incontrato nuovi amici in libreria per parlare di orso polare che aveva freddo, e vecchie care conoscenze in uno dei posti più belli che io conosca, superando piccole prove che fanno bene all’autostima.

Ultime gocce di positività, perché finite le ferie l’umore non è più risalito. Le letture sono diventate lavorative e non più di piacere, una spirale nera mi ha fagocitata e tra un malumore e l’altro sembra coinvolgere chi mi sta intorno, imprigionare tutti. Il mare si è agitato, ingrigito, è arrivata la pioggia. Un mese intero passato a cercare risposte in un orizzonte, tra le righe, senza altro, annientata, vuota, divorata e svogliataa, stanca e con un pugnetto di speranze. Per fortuna è finito, sopportare oltre la consapevole certezza della fine del periodo più bello dell’anno mi avrebbe logorata. La risalita ora è dura però, e non credo di avere dentro me le forze per affrontarla arrivando totalmente soddisfatta e felice alla vetta. In soldoni, non vedo l’ora arrivi maggio, anche se quest’anno è stato il mese più faticoso dell’anno, mi ha straziata e se ora sono così è anche un po’ per questo maggio, e per quel che è stato dopo. Inutile parlarne ora: manca troppo. Un passo alla volta, ora affrontiamo settembre.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!