C’è una canzone di Samuele Bersani e Pacifico che ho trovato e trovo bellissima fin da quando è uscita: Le storie che non conosci. Il testo, lo potete verificare da voi, racconta di vicende, situazioni e contesti in cui un lettore porta con sé un libro per le ragioni più diverse, dalla compagnia, alla consolazione, spesso dimenticandolo, trascurandolo, oppure al contrario amandolo tanto da consumarlo e rovinarlo. Una frase, di recente, mi ha colpito in modo particolare e ha attivato una connessione inedita: i due cantautori a un certo punto scrivono, riferendosi a un soggetto libro e a un immaginario oggetto “persona in un brutto momento della vita” «lo hai fatto uscire da un periodo nero. uscire fuori ancora intero».

Inevitabile ricollegare queste poche parole al libro di Gabriele di Fronzo che ho letto qualche mese fa, e che mi ha dato una bella occasione per chiacchierare con l’autore: Cosa faremo di questo amore. Terapia letteraria per cuori infranti (Einaudi). Il tema è semplice e quanto mai reale, presente nella vita comune, seppure quasi mai affrontato dai libri: cosa succede quando una storia d’amore finisce? Quali curve, ripide scoscese e grotte buie si trova ad affrontare chi è lasciato e si vede cascare addosso la fine di una vita a due e di una quotidianità costruita sull’idea di vivere in coppia? Non è cosa da poco, se siete passati da queste forche caudine lo sapete bene, lo avete toccato con mano.

Sono infatti in tanti, tantissimi, ad aver provato su di sé l’esperienza lacerante dell’abbandono: nei libri, nei romanzi, esiste un intero mondo di storie d’amore finite per le ragioni e nei modi più diversi, e allo stesso modo sono narrate le peripezie e i tormenti di chi, di queste fini, è protagonista. Ecco perché la connessione tra la canzone di Bersani e Pacifico e il libro di Di Fronzo: alle volte, i libri possono funzionare da farmaco, un po’ omeopatico, un po’ integratore, certo nulla di eclatante – per superare lo strazio di un abbandono serve molto altro e una forza interiore non da poco – eppure sempre una ragionevole e alle volte rassicurante presenza amica che tenga compagnia, che distragga, che evidenzi nuove vie, errori passati, apra portoni laddove si sono chiuse porte.

Fateci caso: seppure tutti probabilmente stiate annuendo di fronte alla constatazione di quanto affrontare la fine di una storia sia impresa di grande forza e volontà, è raro che dell’argomento si senta, si legga e si veda parlare. Ecco perché questo libro mi ha colpita, ed ecco forse la scusa utilizzata dal suo autore per progettare un lavoro che, diciamolo subito, purtroppo non fornisce la formula magica per uscire dall’impasse in cui si resta impigliati dopo la fine di una storia, ma è un agile e sincera raccolta di spunti sul tema.

Difficile dare una definizione al libro: non è un romanzo, anche se a ben vedere una storia la racconta, con tanto di protagonista e brusco cambiamento della sua tranquilla vita di coppia che, neanche a dirlo, tramonta lasciandolo preda di angosce varie, di tormenti, tra un appartamento zeppo di insopportabili ricordi, l’ipotesi di pagare un investigatore privato e il finale concedersi al fluttuare di una vela pronta a salpare per nuove rotte. Non è però nemmeno, solo, una raccolta di casi esemplari di abbandoni e successive reazioni da parte dei lasciati, così come ci sono raccontate da tantissimi romanzi e da qualche film che Di Fronzo raccoglie e cuce insieme nel suo itinerario che, tappa dopo tappa, segue tutte le ipotetiche fasi di una fine di storia.

È un pregio, questo, perché l’abbandono è osservato con attenzione, senza lesinare su sfumature, proprio quelle che, tramontata una storia, riappaiono a indicare, postume, le prime inquietanti avvisaglie di un tracollo imminente. Osservare l’evoluzione, anzi l’involuzione di una relazione a due attraverso altri personaggi e altre storie forse può contribuire a renderci più coscienti della complessità di alcune situazioni, del loro essere aggrappate ad archi temporali più estesi degli istanti più accecanti, quelli che ci fanno stare male, ci fanno quasi impazzire di dolore (e non lo dico a caso: leggendo il libro scoprirete che a impazzire sono in parecchi, e che è una situazione contemplata nelle dinamiche del post vita a due), quasi ci annientano, lasciandoci a galleggiare privi di prospettive.

È proprio allora che compaiono i libri, capaci con le loro storie di fornire, se non una cura definitiva, il salvagente di un abbraccio, la pacca sulla spalla di un amico che sa, capisce ed è capace allo stesso tempo di sbronzarsi con noi e di riportarci a casa quando siamo incapaci di decidere di noi, la ragione sopita dentro a un dolore che non ha parole, ma ha solo tante, tantissime storie simili, sorelle di un malessere che potrà essere lenito solo con altre parole, con nuovo tempo.

Gabriele mi ha confermato, nell’intervista, di credere fortemente nel potete curativo dei libri «leggere è un buon modo per non essere soli. In realtà quando leggi sei solo, a fianco a te hai persone che non conosci perché non esistono, ma ti riconosci nei loro destini infelici, hanno dei tratti in comune con te anche se sono diversissimi. È come fare un’esperienza per interposto personaggio. Stai male, non prenderesti mai l’arsenico ma qualcun altro lo fa per te. È un piccolissimo sollievo, ti vedi tra pari che molto pazientemente ti stanno a fianco».

Unici a capirci, a seguirci anche nei pensieri più cupi e consolare la nostra disperazione, i libri sembrano a volte essere gli unici a capire lo stato in cui stiamo sprofondando, ecco allora il loro potere catartico, utile forse tanto quanto lo spronarci di un amico in carne e ossa a esplorare gli abissi del nostro dolore, scendere fino in fondo per poi, una volta messi i piedi sulla sabbia, darci una nuova spinta e tornare a galla. Quelal dei libri, mi ha detto ancora Gabriele, è « una compagnia tra persone che ne hanno passate di pesanti, come reputi di averne passate tu in quel momento in cui sei stato lasciato, o hai lasciato».

I libri non tradiscono, e soprattutto i libri non abbandonano mai, nemmeno – e soprattutto – quando dovesse capitarci di sentirci in balia del nulla, una storia sfilacciata e ormai passata alle spalle, i brandelli di quanto costruiti sparsi a terra e non più capaci di costruire qualcosa di nuovo. La terapia dei libri è in fondo economica, ad alto tasso empatico e, per i lettori più avvezzi alle avventure dell’immedesimazione con i protagonisti, pratica e funzionale: ci stacca dalla realtà che stiamo detestando, ci pone in altri contesti facendoceli vivere, mettendoci alla prova in situazioni forse peggiori di quelle che stiamo vivendo nella realtà. Perché non fidarsi dunque di un po’ di consolazione di carta e lettere? Non sarà la soluzione migliore e perfetta, ma una dolce cura capace di lenire le ferite più intime e delicate, questo sì!

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!