È il 31 maggio, sono le sei di sera passate e Chicco Mentana imperversa sugli schermi di la7 con l’ennesima Maratona. Durante questo mese, a distanza di sempre più giorni dal 4 marzo in cui siamo andati a votare, il Governo ha provato diverse volte a nascere. E il buon direttore del tg la7 non si è fatto sfuggire nemmeno un’occasione per collegarsi in diretta con i palazzi delle istituzioni con gli inossidabili Alessandra Sardoni e Paolo Celata, prontissimi a riferire di ogni vicenda, di ogni tira e molla. Abbiamo visto Giuseppe Conte dichiararsi pronto ad accettare, e poi cedere rovinosamente una domenica sera che già faceva caldo e pensavamo al mare. Abbiamo visto arrivare Cottarelli, ipotizzato, pronosticato, osservato il calendario immaginando un paradossale voto estivo che tutto il mondo politico e non solo osteggiava, pur gridando al potente richiamo al voto degli italiani. Pesare che il mio maggio era iniziato sotto un diluvio protetto dal tetto dell Officine Grandi Riparazioni, ascoltando due ore di un potentissimo Fabrizio Giufini leggere le lettere di Aldo Moro. Un’emozione intensa, per l’uomo Aldo Moro, uno sbigottimento, per la vicenda che, oggi, sembra un film, eppure è storia, eppure è stata realtà, un uomo morto e intrighi di cui forse non verremo mai a capo. Politica di ieri riportata a galla, politica di oggi in formazione, come terra nuova che nasce, si crea, lava da un vulcano che poi diventa roccia, minerale.

E infine eccoci qui: è il 1 giugno, e dalle 22.00 circa della sera del 31 maggio abbiamo un paio di certezze in più. Ovvero: finalmente c’è un governo, non è tecnico ma politico e staremo a vedere cosa succedere; Enrico Mentana è il migliore docente di giornalismo di tutta l’università italiana. Constatato il talento di un giornalista che non molla nemmeno nei picchi di stress e stanchezza più acuti ma anzi persevera a oltranza con una sola fede, quella nella verifica delle notizie e del racconto giornalistico, faccio il raffronto su di me, su questo maggio di salti mortali e frenesie. E concludo che no, tanto appassionante seguire Chicco da casa, ma al posto della Sardoni e di Celata io dopo un po’ crollerei.

Non è quello che sto facendo, perché persevero anche io, ma la stanchezza alla fine di questo maggio è un lago enorme di ore passate a lavorare, di incastri al limite del ragionevole, di pianificazioni da stratega, per un risultato che in fin dei conti resterà forse sempre invisibile. Si lavora da scribacchini, testa china, occhiali sul naso e la vista che piano piano perde colpi. «Dovresti non usare gli occhi, per un po’» dice il saggio. Il problema è che non è proprio possibile in un mese densissimo di lavoro come è stato maggio, faccia a cui si accompagna anche l’altro volto di maggio, quello fatto di libri.

Perché maggio è inequivocabilmente il mese del Salone del libro, fatto, evento, festa o come altro vogliamo appellarlo, che si è preso di diritto almeno metà di questo mese, con la preparazione ai suoi giorni, con altra attentissima pianificazione per conciliare lavoro e passione, con la caotica allegria dei suoi padiglioni, con le speranze e i sogni di poter leggere almeno una piccolissima parte dei libri trovati, con i saluti, i legami stretti. E poi con l’ansia, costante, mai sopita, di dover stare dietro anche al lavoro: il giovedì e venerdì nonostante il Salone,  rilassarsi nel weekend e potersi spaventare di nuovo il lunedì. Eppure, ce l’ho fatta: sono sopravvissuta. Con l’idea di essere scivolata sulla superficie, di non aver approfondito quanto avrei voluto, di non aver avuto il tempo per digerire. Il tempo per pensare.

C’è stato un momento in cui le cose arretrate che avrei voluto fare erano così tante che ho deciso di fare una pazzia, prendere un treno e poi un altro, 8 ore di ferrovia nell’arco delle 24 di un giorno. A salutarmi una cartolina dall’invisibile, tre rose, uno yacht che esortava a salpare, l’aria salmastra che profumava di gelsomino, una torta al cioccolato e una focaccia. E un attimo di distensione. Respiro.

Ho ritrovato, tra alti e bassi, tutto questo in una meravigliosa parentesi che è piombata nella mia settimana ed è poi evaporata come se l’avessi solo sognata. Quattro giorni nelle Marche, tra Fabriano, Recanati e Ancona. Un paesaggio dolcissimo, posti da scoprire, l’estate nell’aria in una bellissima città di mare come Ancona, che sapeva di nuovo di porto, partenze e rotte. Rotte che tra un cammino e un treno mi hanno sospinta sulle strade di Leopardi, a contemplare una dolcezza infinita di colli verdi, dietro i quali si scorgeva il mare. E così la pazzia suprema, bellissima e assurda, di fare due ore di mare in un lunedì dove i musei sono tutti chiusi, con il trolley su una spiaggia bianca e deserta. La pace.

Interrotta dalle solte mail e telefonate del lunedì, squarcio nella serenità, aiutato notevolmente da un disastro Trenitalia che ha congestionato l’intera linea adriatica facendomi arrivare due ore dopo il previsto e con un treno di categoria (e prezzo) assai inferiore al mio. Certo, al sistema nervoso quest’atto finale non ha per nulla fatto bene: tutta la bellezza è sfumata in un attimo.

Sembrano i pomeriggi di maggio, di tutto il mese di maggio: soleggiati, primaverili e tiepidi, e poi all’improvviso tra rombi di tuoni e aria fredda, pomeriggi di diluvio novembrino, tra pioggia battente e persino grandine, bombardamento sui tetti e corrente che inzuppa tutto e tutti. È stato un maggio piovoso, un maggio con la giacca dopo una fine aprile dove già si era in canotta. Un maggio tutto sommato anche piuttosto lungo, da non vederne più l’inizio, ma da averne già superato la fine, lanciati nel più conciliante giugno, che fa sperare in una più stabile estate.

È stato un maggio così strano e veloce che dalla giacca e dall’ombrello, dal Salone del libro alle vacanze, sono ricapitata anche al mare, e il primo bagno di stagione non è stato niente affatto freddo come immaginavo. Clima pazzo, inesistente stagionalità, valige e guardaroba che tengono tutto e sempre, tanto è un costante spostamento, lavatrice, cose stese a sperare che asciughino prima di chiudere la porta, l’ennesima trasferta. Un maggio che la giacca te la porti sempre, tanto c’è uno zaino nuovo capiente ed ergonomico che, non lo sapevi quando lo hai acquistato ai primi del mese, diventerà il tuo fedele compagno da qui a “prossimamente”.

Maggio non ha avuto respiro, pensiero, requie. Una giostra matta di conferenze stampa tutte insieme, tutte sovrapposte, ogni giorno che passa, il planning fittissimo, le corse, gli appunti, l’incessante e frenetico pigiare sui tasti: festival, eventi, rassegne, notizie, cartelle, fogli, gadget, date, altre date, mail, allegati, foto e fogli. Non c’è respiro, non c’è pausa, non c’è forse nemmeno più la voglia di compartecipare laddove ognuno grida il proprio e non si ha il ritmo giusto per fermarsi a osservare, scostare la sabbia con la mano e scoprire, ragionare e analizzare approfondendo.

Mi sta bene, mi stanca e fortifica insieme, mi allena e sollecita. Anche se mi manca qualcosa. Piccata come Formigli la sera del 31 maggio, quando alle 21 passate Chicco Mentana chiedeva la linea per collegarsi in diretta e sapere i nomi del nuovo Governo. “Oh, guarda che sarei capace anche da solo, levati, spostati, lasciami spazio”, ma niente, Chicco è a batteria perpetua, senza freno, egocentricamente rivolto alla narrazione puntuale delle notizie. A volte penso lo faccia per narcisismo personale, perché questo germe del giornalismo è così forte che si abbandona tutto il resto e ci si lancia, sempre e comunque, senza orari, senza pause, senza tempo. Ed è così, è vero che è così, lo scontro perenne è pensare di non volere che lo sia, e farsi male, ogni giorno. Accettare e pensare, non avere tempo per pensare e tenersi un barlume di dubbio, che bussa, mentre intanto si lavora, si scrive, si risponde, si sistema, si aggiusta, e si cerca anche, nel poco tempo a disposizione, di placarsi l’animo. Mai smettere di cercare però, mai abbassare la guardia. Perché, come ha detto Enrico Mentana a conclusione della grande e quasi infinita maratona di maggio

Poi inizierà davvero questa legislatura e ognuno farà il tifo per chi vuole. Noi per le notizie

Faccio il tifo per le notizie anche io, perché è il mio lavoro e mi piace. Ma non smetto di cercare spazi miei, come questo sito che un po’ galleggia, pochi libri recensiti nell’ultimo mese, ma un paio meritevoli letti e pronti a essere approfonditi qui non appena riuscirò, tanti altri in lettura e nello zaino per altri progetti. Perché non è tutto qui, non è tutto pc, giornale e scrivania, nemmeno tutto valigia e treno. C’è un nuovo orizzonte dietro, un mare da solcare, onde da accogliere senza lasciarsi affogare, azzurro da gustare, bellezza da abbracciare. E in tutto questo bacino, boa di salvataggio anche se lontana bracciate e bracciate, da avere il fiatone, lancio l’amo per giugno. Verso il mare, con la testa sempre in città, tra le pagine.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!