Nonostante…

La scrittura, una personalità ingombrante, la vita di uno scrittore nel 2018

La storia

Simone Tempia è l’inventore di Sir e del suo maggiordomo immaginario Lloyd, se siete pratici di Facebook li conoscerete sicuramente per la pagina di successo Vita con Lloyd, nata nel 2014. Ecco, da allora Simone ha fatto tanta strada, e ha pubblicato due libri. È in occasione della presentazione del secondo, In viaggio con Lloyd (Rizzoli Lizard) alla Libreria Ragazzi di Imperia che ho avuto l’occasione di scambiare delle chiacchiere con lui e accorgermi così che era un protagonista perfetto per la saga dei Nonostante. I nonostante di Simone Tempia sono infatti diversi, tutti intrecciati a segnare il suo percorso di scrittore. Si va dagli ostacoli della scrittura, a quelli che hanno a che fare con pieghe più personali – l’emotività e la personalità – fino alle conseguenze della sua vita con Lloyd, che lo stanno portando da mesi in giro per tutta Italia. L’incontro con Simone, e la successiva presentazione, avvenivano a fine aprile 2018. Oggi raccolgo quelle parole, e vi racconto questa storia di un maggiordomo immaginario.

Storia di un maggiordomo immaginario

Ricordo perfettamente il momento in cui si è accesa la lampadina e ho deciso che la storia di Simone Tempia avrebbe fatto parte di questa raccolta di Nonostante. È stato prima della presentazione del suo libro, nei minuti distesi e soleggiati di un sabato pomeriggio in cui, teso lui perché doveva parlare al pubblico, tesa io perché avrei dovuto presentarlo e temevo di inciamparmi nelle mie stesse domande, siamo usciti a fare una chiacchierata. Davanti alla vetrina del negozio di caramelle, il traffico del weekend davanti e stralci di racconti sulla città di Imperia, sulla storia della libreria, sulla Liguria, Simone ha fumato una sigaretta dopo l’altra, e ha rimesso insieme qualche tassello della sua di storia. All’improvviso, punzecchiato da qualche mia domanda, ha detto una parola che mi ha riempito di curiosità. Ha detto proprio nonostante. Si riferiva a Lloyd, alla sua invenzione letteraria, al suo rapporto con la scrittura e con questo nuovo orizzonte – quello della scrittura – che ha rivoluzionato la sua vita da qualche anno.

Non avrei potuto non accendermi di entusiasmo nel constatare che davanti a me c’era un trentenne agitato come tutte le persone prima di un evento importante a contatto con il pubblico, e nel capire che quel trentenne aveva una lucidissima coscienza di tutta la sua storia, tanto da ribadire e sottolineare quello scarto che anima la mia ricerca: il nonostante. Lloyd nasce, vive e prosegue la sua strada nonostante, e Simone Tempia scrive e lavora nonostante. Gli ostacoli sono diversi, sono mutati nel tempo, ma la direzione è unica: tenere la barra a dritta sulla rotta dei propri sogni, rendersi conto dei nonostante, superarli, sapere che ne arriveranno altri.

Ascoltando Simone parlare della sua invenzione e dei suoi libri, tra ironia ed episodi personali che hanno svelato come sono nati i suoi personaggi e quanto di se stesso – come di ogni autore – c’è nelle sue storie, ho identificato così tre filoni sui quali si è snodata la sua storia dei nonostante. C’è innanzitutto il nonostante che riguarda la scrittura, che non è frutto di ispirazione divina ma risultato di un lavoro lungo, a volte estenuante, di scelte e di correzioni, sulle quali Simone ha insistito tanto, con una progettualità precisa in testa e con obiettivi prefissati. Poi c’è il nonostante che ha a che fare con la vita di scrittore e con le decine e decine di presentazioni che hanno portato Simone in giro per l’Italia. Mi sono chiesta, conoscendolo proprio durante una di queste trasferte, come si possa mantenere una vita stabile e riuscire a lavorare muovendosi così tanto, come si possa sopportare il continuo confronto con la gente, le continue domande, richieste, chiacchiere. Tutto questo mi ha portata all’ultima riflessione, all’ultimo nonostante, che è quello più personale, più intimo, e ha a che fare con l’emotività e una personalità così speciale e così autocosciente e autoironica da aver bisogno di un maggiordomo immaginario.

«Sono Simone Tempia, ho 34 anni e sono la cosa più strana che vedrete questa settimana». È iniziata così la nostra presentazione in libreria, con una risata per rompere il ghiaccio. Simone ha un modo tutto suo di sciogliere l’ansia e raccontarsi e raccontare i suoi libri ai lettori: sta in piedi, parte a raffica, e bisogna placcarlo e saggiare il polso del suo discorso per inserirsi con grazia e naturalezza tra le sue parole, e lanciare una domanda, o una suggestione che faccia prendere una precisa curva al discorso. Così io, ispirata e curiosissima dopo la spontanea uscita del nonostante nel siparietto pre-presentazione, ho cercato di solleticare nei punti giusti, di far emergere gli ostacoli, e la soluzione trovata per aggirarli, oppure per scoprire che alla fine non c’era niente da aggirare, bisognava solo vivere, e forse cambiare un po’.

Tutto il progetto di Lloyd, Vita con Lloyd e In viaggio con Lloyd nasce nonostante una serie di cose. Ad ascoltare la narrazione di Simone, la prima di queste cose è la scrittura, che non è nulla di spontaneo ma anzi una lavorazione artigianale, che richiede sapienza, pazienza, consigli, riprese e anche scarti. È un nonostante che, a discapito del cliché romantico dello scrittore, definirei tecnico. La tecnica, oltre alla fantasia e all’immaginazione, serve anche per tenere insieme il complesso impasto che Simone ha messo su con la nascita della pagina Vita con Loyd del 2014. Parlando insieme a lui ho usato spontaneamente il verbo lievitare, proprio perché l’idea di una partenza in sordina, con un dialogo lanciato nel mare magnum di Facebook e diventato poi due libri, con tanto di un intero mondo di personaggi e storie, un nuovo lavoro e una vita piena zeppa di incontri e presentazioni, mi restituiva l’immagine di qualcosa che, innescato nel modo corretto, matura e cresce nel tempo.

Il lancio – la polvere lievitante – in questo caso è la seguente: c’è un Sir agitato da dubbi vari che la vita gli offre, accanto a lui compare un maggiordomo immaginario pronto a soccorrerlo con una risposta sempre azzeccata. «Il primo dialoghetto lo avevo postato sulla mia pagina Facebook personale – racconta con la consueta ironia Simone – avevo fatto ben 20 like, una cifra che mi aveva fatto sentire il successo. Ne avevo scritto poi un secondo che ottenne 25 like e una condivisione: lì era già celebrità, spinto dal business che le condivisioni subito creano avevo aperto un’apposita pagina Facebook che nel corso del tempo ha ottenuto 124mila lettori. Non fan, e nemmeno follower: lettori. Perché il fan identifica una persona che segue me Simone Tempia, cose emanate in qualche modo dal mio spirito. Questo atteggiamento mi farebbe sedere, come se quello che fai lo mandassi fuori e la gente fosse contenta così. Invece no: sono i lettori di Vita con Lloyd, che è un progetto editoriale a cui mi sto dedicando e che non posso tradire, perché devo mantenerne alta la qualità».

Resto colpita: sì, è vero, l’autore tiene alla perfezione del proprio lavoro, perché si tratta del distillato delle passioni, dei tasti battuti sulla tastiera, delle fantasie e della tenacia grazie alla quale è arrivato fin qui. Ma in Simone c’è un rispetto altissimo, della scrittura come lavoro e progetto, e di chi a quel lavoro si affaccia per fruirne. «Non è gratuito – spiega infatti – anche se su Facebook tutti possono leggere gratis. Si tratta però di un minuto, un minuto e mezzo del tempo di una persona, passato a leggere quello che scrivo io. Il tempo ha un valore altissimo, molto più del denaro: il denaro lo possiamo rifare, il tempo invece una volta speso non c’è più. Ho l’obbligo morale di far sì che il tempo speso con Vita con Lloyd sia un tempo gradevole e speso bene».

Ed ecco così un piccolo segreto della “fabbrica” di dialoghi di Vita con Lloyd: Simone scrive molto più di quello che viene pubblicato. A leggere e valutare, un team di amici e collaboratori che nel tempo lo hanno aiutato a capire se i dialoghi potevano funzionare e se erano in grado di coinvolgere davvero il pubblico. Insomma: i siparietti tra Lloyd e Sir che ogni mattina rinnovano l’appuntamento quotidiano con il maggiordomo immaginario sono tutt’altro che scontati e semplici. Ed è nonostante lo standard di qualità altissimo, nonostante gli scarti e nonostante la fatica di questo lavorio da scrivano, che Simone procede imperterrito, e ottiene successi editoriali.

«È un progetto nato su Facebook e poi diventato un libro? – è la domanda retorica che si fa lui stesso e che scioglie ogni dubbio sull’impegno e l’obiettivo alto che si è autoimposto – No, è semplicemente un libro nato in forma diversa, avrei potuto scegliere un volantinaggio, invece ho scelto un social network. Ma non ho mai assecondato le regole di Facebook, i tempo erano letterari». Un’altra serie di nonostante: nonostante le regole di Facebook impongano la predominanza di immagini, i dialoghi di Sir e Lloyd sono puro testo; nonostante l’orario migliore per postare sia la metà mattina, o il dopo pranzo, Simone posta con regolarità alle 7 del mattino; nonostante ormai il social di Zuckerberg funzioni in ottica business, cioè pagando per ottenere fette di pubblico, i post di Vita con Lloyd non sono mai stati a pagamento. «Stavo facendo un libro – ribadisce Simone ricordando la nascita del progetto – un po’ come le strisce sui giornali, volevo che fosse come i fumetti in fondo al quotidiano. Ogni giorno mi impegno a scrivere qualcosa di nuovo».

Certo, scrivere non è spontaneo, non è naturale. Non è nemmeno facile. Eppure Simone si è imbarcato in questa impresa senza avere la minima certezza di riuscire, prendendo anzi una rotta molto difficile, zeppa di insidie, onde, correnti. «Normalmente aprire la pagina bianca è un problema – è sincero come me quando, in una chiacchierata a presentazione ormai avvenuta, su un ventoso molo vista mare, lo interrogo sulla fatica e sul nonostante della scrittura – oggi fare lo scrittore non è un mestiere riconosciuto, non c’è più un cursus honorum percorribile. Raramente se fai lo scrittore campi dei tuoi libri, lo dico senza retorica, ma il meccanismo editoriale fa sì che siano davvero pochissime le persone che riescono a sopravvivere dei loro libri. Se vuoi fare lo scrittore oggi devi aprirti a molti mondi: la scrittura per il cinema, per i fumetti, per il marketing. Io faccio il redattore per Vogue e lavoro come consulente di marketing, utilizzo la scrittura e la penna a 360 gradi».

C’è del cinismo, in queste affermazioni? A tratti Simone mi sembra tutt’altro che il sognatore che ho colto tra le pagine del viaggio di Lloyd e Sir, mi sembra invece uno scriba accorto, impegnato a controllare la strada e a guardarsi intorno per capire come arrivare a destinazione. Forse è davvero così, un po’ della magia della scrittura, complice il contesto irto di nonostante, va stemperandosi in una sorta di oggettività realistica. Tuttavia, non è un cinismo rassegnato, ma un atteggiamento di consapevolezza e autocritica che, credo, nei casi come quello di Simone è la chiave per destreggiarsi e poter ottenere quanto sperato. «Quando sei giovane e pensi che la tua strada sia la scrittura – mi racconta ancora, mentre il vento scompiglia capelli, a me, e baffi, a lui –  devi impegnarti affinché diventi il tuo lavoro nonostante tutto, anche nonostante le voci di amici e parenti che finiscono sempre per risponderti “e poi?” quando dici loro che di mestiere fai lo scrittore. Perché non basta, fare lo scrittore. Quindi nonostante la vox populi che vuole che lo scrittore oggi non sia un mestiere, e nonostante quello che incontri, devi andare avanti». Parliamo di corsi di scrittura, Simone mi svela che seguì il famoso corso di Minimum Fax quando aveva 19 anni, per fare contatti, guardarsi intorno, saggiare la strada. Ma la prima cosa che misero in chiaro fu un nonostante gigantesco, capace di schiacciare i sogni anche del più entusiasta aspirante scrittore, ovvero che in casa editrice ricevevano almeno due manoscritti al giorno, e che dunque solo uno su mille, forse, ce la poteva fare.

«È un nonostante grandissimo – mi dice Simone, e non stento a credergli – eppure arriva un momento in cui decidi di scrivere, alla ricerca della tua strada e del talento che senti di avere. Nel mio caso è successo perché ho sempre pensato che con la penna mi esprimevo meglio che con le parole, per quello ho fatto lo scrittore». Certo, il percorso non è lineare, non funziona che “mi piace scrivere, è il mio linguaggio” e subito trovi terreno fertile e braccia che ti accolgono. Tutt’altro. «Il numero di porte chiuse e contratti che sembravano già firmati e invece poi no è stato alto – confessa Simone quando indago se, sotto questa cortina di realismo, c’è ancora dell’emozione, e dunque chiedo come è stato ricevere le bozze del primo libro – tutto questo aveva logorato l’entusiasmo di avere le bozze tra le mani, è stata una cosa normale e non ricordo una particolare emozione: quando vuoi scrivere un libro da quando avevi 14 anni, significa che hai scritto e sottoposto tanto, ricevendo altrettanti rifiuti. Lo fai, lo faccio, perché lo sento, ma potrei dire che oggi come oggi non ho più bisogno di pubblicare: una cosa che ho capito è che quando pensi di voler fare lo scrittore ciò che desideri è il tuo nome sul libro, ma quello è solo l’inizio del problemi se davvero vuoi fare bene quel mestiere. Pubblicare il primo libro mi è sembrato l’ennesimo primo passo, a dimostrazione del fatto che ho ancora tanto da lavorare. È stato come dire “Ok, va bene, sono arrivato fino a qui, ma ora vediamo cosa c’è oltre”».

Realismo e voglia di muoversi con le competenze necessarie, ecco uno dei segreti di Simone Tempia, che tuttavia non è lo scriba oggettivo e professionale che potrebbe sembrarvi, e qualche emozione legata ai suoi successi editoriali la conserva. Me ne accorgo quando gli chiedo del Corriere della Sera, e della rubrica che da qualche mese tiene sul quotidiano più famoso d’Italia. È lì che mi svela che c’è un grande orgoglio, misto alla bellezza di essere stato in redazione e averla visitata, scrivania di Buzzati inclusa. Mi svela che, sotto sotto, a questa storia di tenere una rubrica sul Corriere deve ancora abituarsi, e che ogni tanto non se ne rende bene conto.

Beninteso, è una piccola parentesi, perché Simone, lo avrete colto, è un professionista rigoroso, infatti prosegue: «credere che la letteratura funzioni se fatta bene è l’essenza di Vita con Lloyd, che è un’intuizione felice che ho avuto il coraggio di seguire. Sapevo, quando ho iniziato il progetto, che avrei dovuto portarlo avanti con regolarità per tre o quattro anni, mi ero dato quell’obiettivo nonostante fosse un notevole investimento di energie, perché ho altri due lavori. Mi ero imposto 10mila lettori per il primo anno, ne sono arrivati 20mila. L’obiettivo per il secondo anno era pubblicare il libro con tre case editrici a cui avevo pensato, ecco perché ho scartato le offerte di altre case: doveva essere tra quelle che avevo deciso io. Ci sono riuscito con la forza di credere in quello che stavo facendo, ho sempre pensato che fosse qualcosa di buono».

All’insegna del motto interiore “ne vale la pena” è arrivato così anche il secondo libro, che a differenza del primo, raccolta di dialoghi, è un romanzo, una vera e propria storia. Durante la presentazione Simone non si è fatto problemi a raccontare che, una volta scritto, si è reso conto che non c’era lui dentro, e che non avrebbe avuto motivo, da lettore, per seguire quella storia. Constatato questo, dunque, lo ha cestinato e riscritto da capo: «se il primo libro è un’autobiografia in forma di dialogo che copre due anni della mia vita, il secondo è la storia stessa di come l’ho scritto. Non nego che è un libro complesso: non ci sono dialoghi, qui, è un libro muto in cui ho dovuto disegnare le voci dei personaggi per renderli riconoscibili. Ogni capitolo fa parte di una storia più grande ma può essere letto singolarmente. Tre sono i piani di lettura: c’è la storia classica, un metaforico viaggio dove Sir viaggia in compagnia di un’ansia dormiente e una paura giovanile, c’è il piano in cui si racconta come è nato il libro stesso, e c’è infine il piano in cui si vede giorno per giorno quanto ho passato scrivendolo, tra dubbi, intoppi. Questo libro sono io, ed è il motivo per cui ne vado orgoglioso».

Mi avevano detto che non è cosa buona chiedere a uno scrittore quanto di biografico ci sia nei suoi romanzi, sebbene sia un po’ chiaro a tutti che la vita personale entra tra le pagine, le influenza. Con Simone questa domanda non è stata necessaria: è stato lui a raccontarsi e ad aprire la scatola magica che il suo libro è, metafora dopo metafora, contro cliché, abitudini, prassi. Nonostante tutto. «Una cosa che mi sono sentito dire spesso – racconta al pubblico – è che io ero troppo: troppo raffinato, “Simone vola più basso, scendi, fai ridere le persone con cose più grevi…”. E invece no. Perché ho la presunzione di considerare che chi ho davanti sia un pochino migliore di me, perché se do il peggio di me significa che lo sto considerando stupido, e questa sarebbe una vera volgarità, pensare cioè che davanti a te non ci sia qualcuno in grado di apprezzare qualcosa che tu ritieni bello».

Lettori, lettura, ma necessariamente anche scrittura che, si è intuito, per Simone rappresenta un’essenza indissolubile, ambizione, tendenza, aspirazione e insieme lavoro di cesello, artigianato di qualità. Dita sulla tastiera e mondo interiore, inchiostro che scivola sulla carta e riproduce paesaggi interiori. Simone è questo, scrittura e vita, maggiordomi immaginari che con la loro bacchetta magica fatta di creatività e di alfabeto riescono a costruire mondi con cui parlare, raccontare storie, creare la magnetica relazione tra scrittore e lettore. «Non nego che ci siano dei passaggi magici dentro queste pagine – prosegue infatti lui – passaggi cioè di benessere, pagine dentro le quali non ho paura. Ed è una sensazione bellissima».

Inevitabile, allora, domandarsi da cosa – da quale interrogativo e bisogno – nasca Lloyd, il maggiordomo immaginario. «Come nasce Lloyd? – mi fa il verso Simone, che immagino abbia già affrontato questa domanda milioni di volte in altrettanti luoghi e contesti differenti – arriva un dubbio della vita, mi chiedo cosa fare, faccio, e rigorosamente sbaglio. Sulla base dell’errore mi chiedo perché ho sbagliato, ed è lì che arriva il maggiordomo. Lloyd è una voce polifonica, non sono io ma l’insieme delle persone che hanno popolato la mia vita tra amici, parenti, persone sagge che mi hanno dato consigli, punti di vista. Se Lloyd fossi io, avrei tutte le ragioni. Invece lui mi fa vergognare tantissimo, mi guarda da fuori e mi spoglia delle sovrastrutture narrative che abbiamo tutti. Gli errori che facciamo derivano dal fatto che pensavamo di avere ragione, in realtà non è così, il maggiordomo non è saggio, solo vede le cose da fuori e ti permette di scoprire che le cose hanno forme diverse. Lloyd ti toglie l’armatura».

Il pungolo interiore è, intuisco, l’ago della bilancia, la freccia del via, lo stimolo e insieme l’ostacolo che va superato. Ed è proprio affrontandolo, Don Chisciotte con la lancia pronta alla battaglia, un po’ sognatore e un po’ sgangherato cavaliere errante, che il motore della scrittura, della fantasia, si attiva. Ma per una persona con un’emotività così ingombrante e complessa come quella di Simone, che non teme affatto di metterla sul piatto quando parla di sé e del proprio progetto di scrittura, cosa significa offrire una personalità così a un pubblico ogni volta nuovo, sconosciuto e potenzialmente anche giudicante? «È complesso – ammette – tutti gli scrittori pubblicano e aspettano il parere del pubblico. Io non ero abituato a questa dinamica: avendo iniziato su Facebook, sapevo che quel che scrivevo aveva già un minimo di approvazione. Con il secondo libro invece sono andato alla cieca incontro al destino. Proprio come narra la storia del libro: si viaggia, si cambiano mezzi lungo il percorso. Si fanno tanti errori quando si ha una personalità come la mia, tanto ingombrante da aver bisogno di un maggiordomo che tenga ordine. È un nonostante grosso, una personalità così. Ci si espone tanto, si sbaglia spesso invece di tacere e non dire quando ce ne sarebbe bisogno. Non sono coraggioso, a volte sono stato maleducato, indiscreto, fuori luogo. Ma sto cercando di lavorare su questi aspetti, di mordermi la lingua un paio di volte in più. Nonostante dunque questa mia personalità, sono riuscito a ricomporre i pezzi, il maggiordomo mi ha aiutato a evitare errori di troppo, ora sono riflessivo e più posato, vedo con molto meno affetto i miei errori».

Ancora, la scrittura che influenza la vita, un maggiordomo immaginario che bussa tra una pagina e l’altra e un po’ stravolge l’ordinario e il quotidiano, portando novità, regalando nuovi nonostante da superare, una risposta sempre pronta in caso di bisogno. Lavorare sulla e con la scrittura e addomesticare una personalità ingombrante sono due nonostante che si accompagnano a un terzo capitolo, quello della vita da scrittore. Parlo di concreto tram tram, di presentazioni che spuntano in tutta Italia e compongono un vero e proprio tour, una data dopo l’altra, a sommarsi fino a diventare decine e decine di incontri, centinaia di chilometri da nord a sud, molte volte affrontati con il mitico pandino di Simone. Una giostra che quasi non ha soste, che gira, gira, tra persone, lettori, librerie. Mi sono spesso domandata se non sia stancante, e ho spesso concretamente pensato a come possa essere la vita di uno scrittore che, mantenendo altri due lavori, ha quasi ogni weekend occupato dalle presentazioni.

«Un’esperienza devastante come un terremoto – mi risponde Simone, sempre ironico, ma con preziosi fondi di verità – però è bello, perché su quello che il terremoto ha buttato giù io mi sono ricostruito. Torno a casa da questo tour senza sapere se ne seguirà un altro, se arriverà un altro libro, ma sapendo che la persona che ha varcato la soglia il primo giorno e quella che torna alla fine è qualcuno di diverso, qualcuno che mi piace frequentare. Mi sono scoperto diverso da quello che pensavo di essere. Ed è bello. Un tempo ero terrorizzato dai cambiamenti, qualsiasi cosa accadesse e sgretolasse il mio status quo mi mandava in crisi, mentre ora è divertente, sono curioso. I lettori e gli incontri mi hanno regalato un altro me, più interessante e da frequentare, intendo per me stesso. Ho sempre avuto un sacco di problemi con me stesso, e con questa esperienza non sono cresciuto, sono proprio diventato grande, ho scoperto il mondo e ho scoperto di poterlo contenere. È un regalo enorme».

La prospettiva, nonostante i chilometri col pandino, è quella della scoperta, anzi della ri-scoperta quotidiana. Mi immagino questa strada come lo sfogliare un libro e leggerne ogni giorno una pagina nuova. Non mi stupisce più, a questo punto della storia, che Simone sia riuscito a trasporre la sua esperienza, intessuta di metafore e buone maniere, nella storia di Sir che, Lloyd al fianco, fedele maggiordomo, va incontro al suo destino affrontando tutte le insidie del viaggio. «Costringermi a viaggiare – ci scherza su – è la dimostrazione che quando credi in quello che fai puoi fare tutto, ma veramente tutto. Non c’è nulla che tu non possa raggiungere. Questa vita on the road l’ho voluta fino all’ultimo chilometro, e nonostante non fossi abituato, nonostante tutti i rischi a cui ci si espone, come le delusioni delle sale vuote, è bellissima».

Postilla

Oltre ai suoi personalissimi nonostante, inanellati e impastati con lievito i Lloyd, Simone è riuscito senza volerlo a regalarmi e regalare al pubblico anche un quarto nonostante. Questa volta si tratta però di una dedica speciale che non ha a che fare con la sua storia, o meglio non del tutto. È un nonostante che riguarda le librerie. «Sono in giro un weekend sì e un weekend no – ha esordito Simone con la sua presentazione – In queste ottanta tappe, che si svolgono senza che l’editore ci supporti lungo il tour, sono stato in giro a raccontare libri e incontrare persone. Penso che un libro raccontato sia un ricordo, e i ricordi sono importanti». Protagoniste assolute di questi incontri sono state le librerie, e Simone, ben consapevole, le ha ricordate, le ha ringraziate, le ha esaltate nel loro ruolo di baluardi della cultura. Ed eccolo, il nonostante che arriva inaspettato: nonostante il rischio di impresa, il rischio già citato della sala vuota, la fatica, l’impegno, il tantissimo lavoro. «Nonostante tutto, le librerie indipendenti lo fanno – ha chiarito Simone riprendendo il tema  – lo fanno per fare un favore a noi autori, e sono dei missionari, dei presidi culturali del nostro territorio. Senza le librerie, buona parte di quello che conosciamo come cultura scomparirebbe. Ho girato tanto, ho visto tante realtà più o meno fortunate. E nonostante tutto questo, le librerie lo fanno: prendono Simone Tempia e lo portano in giro. Quando si viene in una piccola libreria ci si sente come a casa, e trovare casa a distanza di centinaia di chilometri è una senzazione imbattibile, ti senti al sicuro, e quando è così dai il meglio. Grazie a tutte le librerie indipendenti, perché siete straordinari».

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!