L’altro giorno mi ero appuntata uno stralcio di frase: “come eravamo noi”. L’ho sentita a Tagadà, annunciava un servizio il cui scopo era andare indietro a due mesi fa, quando tutto era normale, quando giravi per strada con la gente, che per un sociopatico come me – e ben lo sa Zerocalcare – era comunque già una cosa grande, quando entravi al bar, c’erano le code, passeggiavi senza limiti, ti sedevi su una panchina, girettavi nei negozi. Ecco, come eravamo: frammenti di memoria.

Oggi sono tutti frammenti: di tempo, di idee, di umore. Risalire la china dopo ieri è molto molto difficile. Occorre silenzio, testa bassa, occorre quel meccanismo così rodato del lasciare andare, non tornare sul latte versato, sedare, ammansire. Far finta di dimenticare, anche se nessuno dimentica: le agitazioni svegliano la notte, rigano le guance, elettrizzano i contatti. C’è molta paura.

Frammenti di vita passata: ma com’era? E se fosse… Una cappa pensante agita, sconquassa, frammenta i desideri, i progetti, i doveri. Come è sempre tutto più difficile. E non ho la soluzione, la chiave non ce l’ho, tocca lavorare intorno, scavare, affinare, una tattica costante di avvicinamento, ma mai, mai la soluzione perfetta. A volte in questa danza faticosa ci riesco, ci prendo, azzecco: per istinto, per ragionamento, mai per competenza certa. Perché di certo non c’è niente, anche qui sono frammenti grazie ai quali camminare sulle uova, pronti a cadere a ogni passo.Ed è sfiancante, logorante. Sarà carattere, sarà che non ce la faccio, sarà che sono stanca e ho bisogno di una terapia seria. Sono stufa, e mentre si frammenta la giornata mi perdo, tirando avanti per togliermi frammenti di quella cappa d’ansia, cose che devo, e che non voglio.

Sta qui il problema, quello gigante, quello che rende tutto di piombo: devo, non voglio. Il problema di una vita. Il nastro gira indietro, frammenti e ancora frammenti di passato che vorticano andando a costruire un percorso chiaro: ecco da dove siamo arrivati qui, ecco perché. Certo, non una soluzione, solo una logica consequenziale. Almeno quella. Alle otto di sera il sole si posa arancione dietro i tetti, le palme e i garage, filtra dalle tende. Ho sentito gli amici, c’è pace: chissà quanto durerà, perché pensare che potrebbe squarciarsi dal niente mi agita da morire.

Un altro venerdì scorre così, fuori il sole, io alla scrivania, nessun progetto bello che prosegue, è tutto silenziato perché devo fare altro. Sono in balìa di tutto, stufa di non sentirmi in grado, stufa di girare qui intorno senza risolvere niente, stufa di fare finta, incapace di reggere ancora per molto. Me lo sento, l’esplosione è vicina, forse c’è anche già stata. È tutto chiaro, ora tocca resistere, ma se l’orizzonte è così miope, la resistenza è dura, durissima, mozza il fiato.

Simone Perotti ha scritto una bella riflessione sul limite: «Tra poco tolgono il limite. Il limite. ‘impedimento. L’ostacolo. In tanti hanno urlato all’ostacolo: li capisco. L’ostacolo, soprattutto se imposto (anche per sacrosante ragioni), limita, appunto. Impedisce contro ogni bisogno. Però il limite consente, anche. Limitless non c’è, non è buono». Allora questa cosa che mi percuote, dentro, di dover ancora faticare abbandonando quello che vorrei, perché c’è un limite, e non ne posso fare a meno, che senso assume? “Mi dispiace”, sento dire. “Provaci lo stesso”, ancora. Ma non è lo stesso: il tempo non ce l’ho, il tempo di avere la testa libera dall’ansia, i pensieri che si riprendono spazio per ossigenarsi, allargarsi. Tutto messo dentro un baule dove morirà, perché succederà così, e l’orizzonte si schiaccia di nuovo. Come è dura capire in questa girandola di frammenti assassini cosa è giusto e cosa no.

«Limite alle cose, autoimposto per resistere» ricorda Perotti. Ma io non lo so se riesco a impormi questa disciplina, se scommetto sull’errore di scelta e non sul battito e il sorriso. Il burrone che si apre tra quello che piace e quello che non piace è un brutto posto: ci finiscono dentro le ambizioni, le speranze e i sogni. Può essere ricoperto con il cinismo, con il lassismo, con pensieri scacciati: meglio non pensare, meglio lasciar perdere, aspettare domani, che domani… Domani è solo il muro soffocante di cercare altro tempo vuoto che non c’è più, il lunedì che inquieta, andare a dormire la domenica con l’ansia, il cuore a mille, gli interrogativi che tolgono il fiato. E io non lo so se ne ancora voglia, se ce la faccio, se resisto.

Guardo Propaganda Live, Zoro passa questa e mi sembra illuminante: All I Need, Air:

All I need is a little time
To get behind this sun and cast my weight
All I need is a peace of this mind
I can celebrate
Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!