Ottobre, pareva tutto tranquillo, tutto normale, persino tutto nuovo da scoprire. E invece. Il mese inizia così e finisce cosà, fuori e dentro le mura di casa, mentre lo sforzo costante, tra scosse e ansia, tra entusiasmo ed energia, è quello di mantenere un luogo interiore stabile, nel frullatore che sbriciola feroce il mondo a partire da quello più vicino.

Ottobre ha due voci di cantautrici a fare da colonna sonora, entrambe coraggiosamente uscite proprio in questo mese con le loro novità musicali. Voci di donne della mia età, voci che hanno individuato delle reti di senso, delle immagini, e le restituiscono nel caos, dandogli ritmo. E dunque questo stranissimo mese autunnale 2020 inizia con Carolina Bubbico e il suo album Il dono dell’ubiquità, lo ascolto e riascolto mentre cerco di trovare una cadenza adeguata a questi giorni in cui il buon senso suggerisce di essere cauti, mentre tutto il resto sembrerebbe dire “vai, riprendiamo come prima”. Ma nulla è più come prima, e ottobre è una cicatrice subito prima che la ferita si riapra. Le trasferte si esauriscono, non ci sono treni, solo autobus, che sono effettivamente pieni. E Carolina Bubbico presenta il disco con un video girato a Lecce, la sua città “il luogo dove ho scelto di restare e costruire”. Ci penso tutto il mese, a questa cosa: ci penso perché sono in smartworking da casa, dalla scrivania-rifugio dove ho trascorso l’intero lockdown, luogo di protezione e slancio, di studio e creazione.

Ci penso perché sento per la prima volta la concretezza esplosiva della vita che è cambiata, e da una parte questo sprone è bellissimo, invita a studiare, ampliare, formarsi. Dall’altro, c’è un po’ di caos, quello che ritrovo nell’EP che chiude il mio mese di ottobre. È di Chiara Ragnini, e contiene una canzone che si chiama proprio Fra caos e paura, e che magnificamente coronerà i miei pensieri, i fatti e l’evoluzione del mese.

Sensazioni positive, dicevo. Ottobre comincia così, con la voglia di fare, il sole e una bici, con una conferenza stampa, un tè caldo e un’alluvione di portata straziante. Ancora una volta, l’ennesima e pur sempre nuova, la mia provincia viene stravolta da una burrasca terribile, un’alluvione che devasta l’entroterra intero e sulla costa porta una mareggiata di forza impetuosa. I disastri sono mille, li vedo in tv mentre mi tappo in casa, fuori il vento porta letteralmente via, nei giorni successivi si scoprirà che antichi ponti romani non ci sono più, paesi sono senza tubature e fogna, sulla costa si è accatastato un quantitativo inaudito di legname, grossi tronchi dalle fibre color ruggine. E ci sono anche dei cadaveri, che rendono questa piaga tremenda un incubo nerissimo capace di sprofondare là dove la statale del colle di Tenda si è inabissata giù: non esiste più. Da questo evento in avanti ci saranno solo collegamenti via ferrovia. È straziante, fa male e fa risorgere un senso di appartenenza e comunità gigante, come tra le persone che a Ventimiglia, allagata per l’esondazione del Roja, puliscono la città, fango in pieno centro, una passerella sventrata e portata via, le pagine dei giornali locali che per giorni e giorni raccontano i disastri.

Pochi giorni dopo la mareggiata sconvolgente eccomi sulla spiaggia in uno spettacolo di devasto e plastica. Ce n’è tantissima, troppa, da fare male alla testa. Indignata, scrivo un post su facebook annunciando che andrò a pulire, chi si vuole unire chiami. E così accade: prima un’amica, poi due. Sono giornate di sole e la pausa pranzo diventa uno spazio attivo e profondo dove si riempiono sacchi, si parla, ci si rende conto del mondo, si respira mare e si sta bene, la mascherina pronta all’uso e la voglia di fare qualcosa per casa mia. Diverse giornate andiamo e produciamo un quantitativo di spazzatura incredibile: ne scrivo a un giornale locale che mi dà spazio, e spero che a qualcosa serva, che qualcuno prenda l’esempio.

Intanto, fuori accadono cose: mi arriva un messaggio inaspettato da Carlo Zanda, «per caso mi sono imbattuto in Levi-Malabaila – mi scrive via mail – mi ha fatto piacere e poi à contrainte è fatto bene, con molta grazia, niente è scontato. Perciò un po’ in ritardo ti ringrazio». A ottobre ripenso a questo blog, studio molto, tra corsi di formazione e manuali che mi riportano alla carta e alla penna, come facevo quando studiavo. Torno vorace di contenuti, capisco la centralità dell’aggiornamento: devo costruire laddove non c’è ancora nulla, e non potrei fare a meno di tutto quello che apprendo. Per questo, forse, ottobre è anche un mese di cartoleria, di carta, penne nuove, quaderni, buste e di matite dimenticate e acquistate di corsa vicino a una fermata del bus. Gialle come l’autunno che mi circonda e che qui, in questo angolo di mondo, profuma solo di olive e non assomiglia per niente ai colori caldi del foliage di città. Al giallo, però, ci pensa la farinata, sinonimo del fatto che siamo davvero in autunno, in Liguria.

La città è distantissima: credevo di poterla raggiungere, ma non accadrà. Intanto scoppia la tensione sociale in tanti centri, Torino inclusa. Vedo immagini paurose di via Roma presa d’assalto, un fiotto di violenza che mi riaccende l’amore per una città che non vivo da tanto tempo, ma che ho impressa da qualche parte perché la sento battere forte. La sento in una foto emblematica che immortala gli scontri e che viene accostata a uno scatto simile della Croce Rossa di fine marzo. Città svuotata e di nuovo piena, ma diversa, città che contiene tutto e il suo contrario, città della paura, della lontananza, dell’autunno d’arte che quest’anno non sarà, e di conferenze stampa che seguo per curiosità a distanza ritrovando colleghi, voci, modi di fare, pensare, prospettive. La mancanza del mio lavoro è straziante, a volte. Mi sale il magone mentre ripercorro tutto ciò che in quattro anni ho sviluppato e portato a casa. Capisco che è stata una fortuna enorme, mi dico che devo cercare di farne tesoro, e forse un po’ mi rassereno.

davanti a te c’è una scena del mondo,
una qualunque,
vedi quanto è preziosa,
vedila bene, con calma,
tieni la testa ferma,
rallenta il giro del sangue.
Che meraviglia che sia mattina,
che ha smesso di piovere.

Lo scrive Franco Arminio, e mi scalda il cuore una mattina mentre sono davanti alla scrivania, nello scorrere lungo e tuttavia sempre troppo breve per adattarsi del mese di ottobre si succedono tempeste, malumori, allarmi, giornate di sole che riempiono l’anima di serenità, c’è il cinema (sarà l’ultimo, ancora, e non lo so mentre guardo Lacci tratto dal libro di Starnone, in una sala vuota), un pesce al forno, e poi domeniche di pronto soccorso e cene che potrebbero saltare. Per fortuna non lo fanno: la cena in trattoria – siamo in 8, trasgrediamo alla norma di massimo sei persone, ma occupiamo due tavoli distinti – si rivelerà l’ultima serata in compagnia di amici prima che inizi lo stillicidio di nuove serrate, decreto dopo decreto, bozza dopo annuncio, fino alla serrata che renderà la fine del mese una bolla di attesa per un altro lockdown. Eppure a inizio mese non sembrava ancora così. Ricordo riunioni di gruppo, ricordo Il salto dell’acciuga a Laigueglia e una cena di belle chiacchiere. Ricordo, e mi sembra tutto così distante, remoto com’è nelle abitudini e nei pensieri, tutti concentrati sul qui, sull’ora, su casa, su di me.

Sono concentrata su me stessa, a ottobre. Studio, imparo, correggo, penso e scrivo. Tantissimo. Rifletto e parlo, mando messaggi che fruttano risposte piene di gioia: ci sono in mezzo i valori, quelli tutti miei, specialità della casa desunta in gran parte da letture e visioni del mondo. E la sento, una visione del mondo che sale forte, piena di errori, certo, ma è lì che naviga, silente e pronta a nuove cose. Ci soffro, a volte, sembra che non sappia più cosa fare. Però col giusto aiuto la realtà si trasforma, si supera il momento: il viaggio verso la consapevolezza è lungo ma lo abito con una serenità che scopro nuova. Certo, gli sgambetti ci sono: sorprese, mancanze, proposte, avvisi e lotte interne fanno parte del mese e portano a consumi energetici notevoli. Ma c’è anche lo stimolo, questo mese, e una novità così brillante difficilmente potrà farsi risucchiare per intero.

La cosa migliore da fare quando si è tristi – replicò Merlino, cominciando a soffiare e sbuffare -è imparare qualcosa. È l’unica cosa che non fallisce mai

Tra i luoghi che torno a frequentare in questo mese c’è la biblioteca: era tantissimo tempo. La consultazione comporta disinfettante, un tavolo tutto per me, attenzione e cura, una finestra aperta che però fa freddo, e allora ci si mette la giacca, la stessa che sono costretta a mettere in un sacchetto alle 8.30, l’orario in cui vado dal parrucchiere. Non circolano buone notizie sul contagio e la paura è quella che presto aumenteranno i contagi, che non si potranno più fare le cose. Non avrò torto, ma lo scoprirò solo a fine mese. Intanto approfitto della libertà per tornare sul mare: mare di ottobre che da tantissimo tempo non conoscevo. Mare di tronchi buttati sulla spiaggia, tra pigne, ghiande e conchiglie, tramonti che sembrano dipinti e rinfrancano l’animo anche se poi viene buio presto, e le giornate annunciano una stagione invernale che forse altrove si fa già sentire, ma qui no. Fa caldo, si usa ancora il cotone, le giacche leggere che a volte sono persino troppo.

Metto via la valigia, ancora una volta: c’è bisogno di me qui, ora. Ne ho bisogno, probabilmente, anche io. Io che imposto lavori e li vedo piano piano prendere corpo. Io che parlo, non smetto un attimo, prendo consapevolezza di quello che posso, e qualcosa cambia pur nella solitudine che inizia a farsi feroce da metà mese in avanti. La curva dei contagi sale, lo dice ogni tg, ne parlano tutti, io compro le ffp2, non ci si respira. Per avere aria e orizzonte largo vado a leggere al mare. E leggo tantissimo, inizio molti libri che porterò avanti intrecciandoli. Lorenzo Tosa, Francesca De Sanctis, Gabriele Sassone, Thomas Gunzig. Ma prima di tutto, ottobre è di Franco Borgogno, il cui libro mi dà stimoli e idee per rivedere anche questo stesso blog, la sua funzione, una delle sue nervature.

La situazione peggiora: è domenica quando chiudono i teatri, il concerto di Paolo Conte slitta a un anno e un mese dopo quanto doveva essere, salta Olioliva, cadono le olive, monta anche la paura e allestire progetti e novità quante ne produce la mia testa diventa un azzardo sempre maggiore. Inutile dirlo: non andiamo verso una fine mese facile, chissà come sarà il resto dell’autunno, chissà cosa ci aspetta. Sono le domande che mi faccio ogni sera guardando il divano vuoto. E intanto, prima della catastrofe totale, è il 31 del mese e se va un mito: muore Sean Connery. La fine del mese non può che preannunciare tutto il buio che ci toccherà affrontare dopo.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!