Se ripenso al dicembre 2018 vedo molta acqua. Sì, il Natale, l’attesa, il compleanno, una manciata di giorni di respiro, tanta fatica, le giornate buie prestissimo, la nebbia, le cene, i regali, le luci dell’albero. Ma l’acqua è stato un elemento sempre presente. L’acqua del lago, che ha aperto il mese, acqua sconosciuta e statica, immobile nella sua bellezza, un fascino che si è svelato piano piano, nebbia strappata dal timidissimo sole, cappello di lana e occhiali dalle lenti scure, tra un’alba addormentata nel buio e un tramonto osservato dal parabrezza. Un sogno sospeso. Inspiegabile come solo i sogni, non serve a niente specularci sopra. È acqua di lago, sconosciuta e misteriosa.

E poi è arrivata l’acqua di mare, dove sono finita – non solo metaforicamente – il 31 dicembre. Acqua mobile, frizzante sulle pietre di una riva che è sempre fedele a se stessa, baluardo a difesa di tutto quello che cambia senza tregua, delle offese e dei dubbi, delle strette al cuore e delle speranze rotte. La mia acqua, salata, trasparente. Quando il mese è iniziato, non avrei mai immaginato che sarebbe finito così, tra sole e sale, una promessa di estate, un sorriso interiore consapevole.

Eppure, dal 1 al 31, di cose ne sono successe molte, tra la routine, i programmi, il tempo ritagliato e quello che non c’è stato, il tempo speciale dell’attesa – l’avvento, mai come a dicembre lo respiro e lo vivo – quello della festa. Dicembre è iniziato con una stanchezza abissale, una tensione fortissima e la necessità di staccare per riequilibrare una vita strapazzata dal troppo: troppo lavoro, troppa ansia, troppo freddo, troppa insonnia. Tra un Piero Angela la domenica mattina, un albero luminoso inaugurato e fotografatissimo, un cast di teatro e un raggio di sole a scaldare una telefonata, una piazza decorata, una cioccolata per salutarsi prima delle feste, tra un set cinematografico e una favola luminosa appesa per la via.

E poi, fine prima parte. Lasciata la fascinosa Mole Blu alle spalle, con le sue lucine misteriose nella notte, è stato il tempo della tramontana fredda sul mio mare, di una sciarpa azzurra a ricordarmi dove ho le radici, e intorno fendenti come sberle, futuro miope e certezze vacillanti. Una regolarità, ormai. Puntura fissa e penetrante tanto da fare male, erodere serenità, cancellare comprensione e dolcezza. La nebbia, il mare d’inverno. Ho pensato di rifugiarmi da tutto questo oscuro nelle coccole di casa. Quando, se non a Natale?

Rituali che scaldano il cuore, alimentano certezze, creano sorrisi complici. L’albero, Santa Lucia, i pacchetti, le birrette con gli amici, anche se le portiere delle auto non si chiudono, un concerto, dei biscotti, una cioccolata e la danza degli acquisti e dei pensieri. Una bolla di tempo bello. È stato difficile, ho dovuto difendere l’igloo con i denti, qualche dardo l’ha forato, ha provato a entrare, mi ha ferita e ha fatto attecchire cinismo. Ma in fondo al mese di dicembre, con la pace nel cuore, ci sono arrivata lo stesso. Alla faccia di chi ha dimostrato la sua cattiveria, e nonostante chi ha lasciato la presa.

Così si sono susseguite le tessere di un puzzle che aspettavo di comporre da tempo, pieno di tante delle cose che amo. La biblioteca, il porto, la pizza, le feste di quartiere, l’albero di bottiglie di plastica dell’Asno sul porto di Oneglia, il freddo invernale e il cappellino, pane acciughe e olio nuovo, il falò di Santa Lucia e i visi amici di casa tua, la gente che si impegna per far andare avanti le cose, le tisane di Natale, le spezie profumate di grande nord, l’immaginario dei libri e i dolcetti svedesi, le pigne, le candele per i centrotavola, le intermittenze e le scatole di cartone. E poi le rose, i cristalli azzurri, le stelle marine, i disegni di libri e pagine, il pesce, tanto pesce in questo dicembre, e i carciofi, lo zenzero, i calamari, le librerie indipendenti e tutto quello che ci ruota dentro e intorno. Albererelli di libri, libri che hai voglia di leggere, segnalibri, mensole e calendari dell’Avvento che uniscono tutti e si srotolano regalando festa e magia, passi e portici, saluti e cuoricini su Instagram che tanto lo sai, sono sorrisi veri.

A dicembre ho anche avuto la pazzesca fortunata e importante responsabilità di presentare Rosella Postorino e il suo romanzo Le assaggiatrici al Museo Navale di Imperia, un pomeriggio per il quale ho studiato, leggendo e rileggendo tutti i romanzi di Rosella – stupendomene, sentendoli in pancia, meravigliandomi sempre più di quanto la letteratura sia una fondamentale mano amica che non fa sentire soli, e che condivide tutto quanto è intensamente umano. Un’esperienza davvero profonda, circondata in modo sorprendente dagli amici, piega del foglio che ha reso il pomeriggio con Rosella ancora più speciale.

Se c’è una cosa bella, un ricordo nitido di questo dicembre, sono infatti gli amici. Davanti a un tè, una birra, una cioccolata, davanti a ipotetici dialoghi scambiati via whatsapp, in auguri mai banali e scritti apposta per me, attraverso mail arrivate la Vigilia di Natale a scaldare ancora di più l’atmosfera, in pensieri, pacchettini, sorrisi in foto consegnate sotto l’albero, inviti e pigiami uguali senza farlo apposta, cuori, liste di aggettivi e riguardi speciali, mi sono resa conto di quanto siano belle le persone che, sul mio alberello di Natale, risplendono come palline. Tutte diverse, delicate di vetro decorato in ghirigori unici, a segnare storie lontane, vicine, mescolate con altre storie.

Mi sono ricordata dell’importanza di fermarsi un attimo e fissare quelle palline che risplendono ai bagliori dei fili di luci, cercare la loro unicità, osservarne la grazia, farla propria. Una rosa a dicembre, una parola gentile, una complicità, una goliardia, una coincidenza e una risata, una mano che non ti molla mai. Gente che ti capisce, che lo sa. È stato corroborante riflettere sulle mie amicizie. Ho confrontato il mio sentimento di oggi con anni passati, Natali “in minore” e periodi di crisi, e mi sono sentita più grande e adulta, consapevole di tutte quelle palline colorate, della loro unicità. Pronta a curarle, lucidarle, salvarle quando rischiano di cadere e rompersi. Pronta a lasciarmi salvare quando necessario.

C’è una via che da qualche anno frequento insieme agli amici a Natale. Si chiama Vico delle fate. Dico sul serio, non è un’invenzione. In Vico delle fate, tra armature medievali e focaccia di Recco festeggiamo il nostro Natale che arriva saturo di pranzi e dolci e avanzi delle Feste, e ci ritroviamo, e – ne ho avuto la netta percezione quest’anno – siamo felici. Siamo amici. Serve a tollerare anche la malinconia che, per me, si scatena dopo il Natale, dopo quella bellissima e carica attesa per cui in tanti mi prendono in giro – lo spirito del Natale, ma perché? Perché è confortante, perché l’attesa del piacere è essa stessa il piacere, anche se la tovaglia rossa, le candele, i pistacchi e il panettone tra i cugini che ti fanno ridere sono sempre stupendi, come i tramonti color pesca che in questa parte del mondo sembrano voler segnalare che le giornate hanno ricominciato a crescere, il sole sta tornando, la primavera anche, ma ci vorrà un po’.

Intanto, quella di dicembre è una stagione da godere, e se la città dove passi del tempo ha le coordinate magiche di Torino con le Luci d’artista e una nevicata improvvisata in un pomeriggio che decidi di fare dei chilometri a piedi, allora dicembre è speciale una volta in più. Tram arancioni in mezzo ai fiocchi, gente ferma sulle strisce con il naso all’insù, e il disagio di scivolare, e la meraviglia che pure non si può ignorare, i riflessi delle luci, la piazza bianca e attutita. Adesso sì, solo adesso è Natale.

Natale che vuol dire una rassegna di visi amici da salutare e a cui rimandare appuntamenti nell’anno nuovo, perché ci si rivede. Natale che è regalarsi un po’ di cose dolci che si puntavano da un po’, piccoli gesti tra libri e tisane, una salita sulla cupola della Mole antonelliana perché blu è il mio colore preferito, eppure nell’ora in cui salgo la cupola è rossa, nessuno sa perché ma tutt’intorno c’è la ragnatela della città illuminata nel nero della sera.

Quando cala la nebbia come panna tra i lampioni, tra un bicchiere di vino, chiacchiere e un posto a tavola prenotato da più di un mese, dicembre diventa quel posto confortevole e caro che non vorresti lasciare e dove ti ritrovi. La Mole è solo una sagoma di lucine iridescenti, il cappello non basta a proteggere dal freddo alpino a cui non sei ancora abituata, la valigia è stracarica che nemmeno la slitta di un Babbo Natale pronto a fare ritorno ai propri lidi, per portare tutta questa meraviglia e tutto questo bene alla persone che ha a cuore. Due is – ancora – megl che uàn: tra i monti e il mare, con dolcissime incursioni in quelle ferite profonde che sono le vallate liguri, dove l’umido dei carruggi fa rima con l’odore di legna bruciata nelle stufe, e da cui lo spettacolo del tramonto a una manciata di giorni dalla fine del mese, e dell’anno, è una carezza dolcissima. Tra i monti e il mare come un treno che arriva e porta novità e un tappeto di “solite cose” che ti fa sentire ancora più a casa, perché sono dieci anni e si ride ancora, e chissà quante storie tra le scatole e i foglietti, quanti ragionamenti e momenti pazzeschi da ripensare con la consapevolezza di tutta questa bellezza: il peso – peso cosciente, elaborato, maturo – della grazia di un dicembre che assomiglia a me.

Dicembre è, dicevo, acqua. Acqua nella pentola che si prepara ad accogliere una pasta per tanti. Gli ospiti attendono in sala, in cucina, in un momento rarefatto di cui nessuno si accorge e che per una frazione di secondo non si riesce a immortalare, ci sono solo quattro persone. Guardano la pentola, controllano l’acqua che sta per bollire, si assicurano che tutto vada bene. Una di quelle persone sei tu. Le altre tre sono le persone che conosci meglio da quando sei nata, a cui vuoi più bene nel mondo. Tutte e tre nello stesso posto, con te. Non c’è bisogno di altro. Dicembre si conclude con l’acqua che prende vivacità e bolle, ribolle di particelle colorate, ognuna delle quali riflette quelle quattro facce nel corso degli ultimi 26 anni, che su un totale di 32, nuovi di pacca, fanno una percentuale considerevole. C’è silenzio nel caos della cucina, silenzio nella testa di chi, in mezzo alla nebbia, alle luci di Natale, ai libri e alle salite osserva quelle bolle piene di vite e sogni, e viene travolto, in un’ebrezza analcolica da fine mese, e da fine anno, da tutta questa potentissima meraviglia.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!