Questa immagine è salvata sul mio desktop dall’estate 2018. Perché è dall’estate 2018 che vorrei scrivere uno o diversi post “rilassati”, dove rifletto e, riossigenando i pensieri, prendo nuovamente contatto con la mia realtà e mi immergo consapevole nel suo flusso. Invece questa immagine è rimasta salvata sul desktop mentre i giorni passavano, le pagine dell’agenda venivano sfogliate in frenetiche sessioni di lavoro, le ferie (ah, ma ci sono state delle ferie?) esaurivano con più ansia di quella accumulata prima a causa delle valanghe di lavoro da recuperare dopo, e la modalità quotidiana diventava quella dello stress.

Una grande, immensa bolla di stress. Amarezze, prevaricazioni, fatica, errori e ansia. Fate voi, se con questa zavorra sulle spalle io potevo dare sfogo a un pizzico di creatività e scrivere un post su quanto è bella e leggera l’estate, e quanto ho goduto di mare, tempo dilatato e letture. La stessa involuzione intacca le inesistenti vacanze di Natale, salvo giorni di festa e domeniche, inesistenti per me. L’ansia è alle stelle, la stanchezza non ha più limite e i pensieri sono pressati fortissimo, non se ne libera nemmeno uno, non c’è tempo.

Ecco, il mood di quest’anno è stato che non c’è tempo. Per ordinare, per sistemare, per progettare, per stare dietro a tutto. Sarà forse troppo? Non c’è tempo, e per quanto tu ti organizzi sarai assalito dagli imprevisti, quel che deve andare storto in cose che curi e in cui investi da anni andrà storto, e quando starà per essere tutto sistemato, insorgerà un nuovo problema. È la vita, direte voi. Può essere che sia la vita, ma un attimo, un singolo e rarefatto attimo di soddisfazione e tregua io quest’anno non l’ho visto. È stata, piuttosto, una sequenza di entusiasmi e impegno mai premiati, schiaffeggiati dalla cattiveria altrui e dalla sorte, dall’ignoranza altrui e dalle circostanze sfavorevoli.

Combattere, combattere, sempre combattere. Ma per chi e per cosa? Per un briciolo di tranquillità. Stabilità. Serenità. Fare una passeggiata il sabato al sole senza sentirsi in colpa per aver sprecato del tempo, non rifiutare un’uscita con gli amici perché si deve lavorare per portarsi avanti e non franare dopo, non chiudersi dentro una pentola a pressione dove tutto è così di piombo che nemmeno si prova ad alzarsi e andare.

Questa immagine è sul desktop da mesi e siamo in inverno, mentre i progetti per il blog sono stati accantonati. Forse erano più grandi di me, forse bastava poco e non ce l’ho fatta, forse pretendo sempre precisione e puntualità da me stessa, ma non sono necessari. Fatto sta che è stato tutto così impegnativo e schiacciante che i libri che ho letto – e sono tanti – non ho trovato il tempo per recensirli, i propositi che mi ero data si sono polverizzati nella morsa dello stress per cose “altre”. A volte penso che sia colpa mia, perché non organizzo bene il tempo. A volte penso che in tanti vivono senza un blog, e quei minuti preziosi per scrivere, correggere, impaginare li usano per vivere bene, nel mondo e con chi amano.

Se il 2018 è stato questo, questa valanga violenta di stress, un paio di motivi ci sono, il primo dei quali ora è un mostro nero e accusatorio ma dovrebbe trasformarsi, nel 2019, in una soddisfazione immensa. E io mi appello a questo barlume fioco. Resistere, sacrificarsi, lavorare per uno scopo che c’è, esiste. Il secondo motivo è la falsità della gente, l’ipocrisia, le nevrosi del vivere quotidiano, condite con sapienti dosi di maleducazione e con un pizzico di competizione che avvelena tutto. A questo, però, non so trovare rimedio.

Se riguardo questa immagine rivedo fotogrammi afosi di un’estate soffocante: quel senso di libertà delle tre sdraio e del gabbiano non sono esistiti. Ferie a casa, ogni giorno uguale, piuttosto banale e percorso da punture esterne non desiderate e gratuite. Mancanza di un orizzonte allargato, mancanza di un orologio lasciato nel cassetto, di un piano giornata inesistente e bianco, da lasciare immacolato. E mentre invece riguardavo calendari, programmavo, progettavo e riprogettavo, è crollato il Ponte Morandi, e le speranze di uscire dal pantano sono andate giù con le povere anime che ci hanno perso la vita e il cemento della passerella per le vacanze cascato nel torrente.

Un anno di occasioni. Importanti, bellissime. Faticosissime. Il 2018 dei sogni che si avverano, forse, basta una mail. Delle prove che richiedono impegno, ma nessuno ti dirà mai “bravo”, ed è il mondo, è così. L’anno in cui vai a sbattere con il lato ruvido del mondo, quello che ti ingombra stomaco e pensieri per uscire dal quale serve solo la tua mano attaccata in fondo al braccio. L’anno che leggi romanzi dove niente si mette a posto e prendi coscienza del fatto che la letteratura racconta la vita, perché non c’è davvero niente a posto.

La neve a marzo, il caldo a cui non resistere, le ondate di freddo, la nebbia. E poi i treni, i ritardi, le stazioni, le Marche e il Friuli, la Liguria e il Piemonte. Non sono gli anni, ma i chilometri sì, quelli ci sono stati. Sofferti, senza la leggerezza che avrebbero dovuto avere, ma infine belli come un promontorio giallo di ginestra spalancato sul mare e un golfo ricamato di barche a vela. Meno male. Che ci sono state le giornate di sole, gli amici, le risate gratuite, l’eclissi di luna, i bimbi neonati, gli orsi azzurri, i plasmon nella tisana e i selfie ai matrimoni, le birre il sabato sera e i caffè con i biscotti. E le librerie, i libri, tutta la rete di amicizie che, non so come, ho creato intorno a questo mondo, e che è sempre confortante come una sciarpa calda. È una sicurezza. Una delle poche.

L’altra è quella di continuare a imparare cose, nonostante tutto. Accade quasi in modo naturale quando riesco a trovare il tempo di fare cose belle per il giornale, tra una mostra, un evento e una conferenza stampa, porte di mondi che ogni volta lasciano almeno qualcosa: la Cappella della Sindone, il Salone del gusto, un murales con una balena, un prato inglese dentro un teatro, e arte, persone, eventi, parole e progetti. Non me ne accorgo, lì per lì, ma tutto questo lavorio incessante produce relazioni, aperture, scoperte. È avvolto in una nube tossica di stress, ma è curativo.

Accade in maniera evidente per le interviste, tra quelle più interessanti nel corso del 2018 Maurizio Caminito, presidente del Forum del libro, Marco Pisani di Inrim, Alessandro Perissinotto, Vito Ferro, Gianluigi Beccaria, Diego Bianchi, Davide Ferraris, Mattia Maio, Tiziana Cappellino, ArTorin, l’astrofisico Lorenzo Colombo, il libraio Nicola Roggero e il progetto di piantare alberi vendendo libri,  il direttore editoriale di Chiarelettere Lorenzo Fazio, il presidente di Legambiente Piemonte Fabio Dovana, Barbara Bergaglio di Camera, che mi ha raccontato del censimento degli archivi fotografici,  Gabriele Di Fronzo, Giusi Marchetta, la direttrice del Planetario di Torino Eleonora Monge, e poi Beatrice Mautino, Alice Avallone,  Eugenio Allegri e Matthias Martelli, Gabriele Vacis, Cecilia, incontrata al Festival di Sanremo, e ancora Amaranta Sbardella, la Bandakadabra, Carlot-ta, Giulia Muscatelli, e l’intervista per la quale provo più affetto, quella a tre ventenni che hanno ideato un cortometraggio bellissimo, e che mi hanno contagiata con il loro entusiasmo ancora genuino.

È un mondo intero, occhi, lavori, idee, passioni e progetti che ho raccolto e curato, e che sono diventati anche un po’ miei. Questo mi regala di speciale il mio lavoro: le storie. Rileggerle e ripercorrerle mi riporta ai momenti in cui le ho cercate, trovate, ottenute, scritte, precisi istanti della mia vita, che hanno colliso con il lavoro di chi quell’intervista la rilasciava. Si cerca di trasformare tutto questo in momenti normali, come un fornaio che impasta, un impiegato che batte i tasti del computer, un muratore che spalma cemento, ma no, non è mai un lavoro sequenziale e ripetitivo, c’è sempre in mezzo la testa. La testa che si riempie, ma poi è così piena che accade senta tutto il peso della stanchezza in un 29 dicembre di sole, presunta leggerezza, mal di gola e il solito filo di ansia mentre le lancette segnano il tempo che scorre e che non hai impiegato per lavorare, ma per scrivere.

Scrivere, insieme a stress, è la parola del 2018. Indubbiamente. Se i tasti di questo computer potessero registrare ogni singola digitazione, mi urlerebbero contro. Mi direbbero ma come è possibile, ma a che velocità, ma perché sempre, dal treno alla spiaggia (sì, ho dovuto portare il pc in spiaggia), da casa al bar? Perché è come uno stargate che mi trasporta nel mondo del mio lavoro, nell’universo delle cose che so fare, perché in fondo quel che faccio è scrivere e pubblicare, e correggere, editare, rielaborare. Tutto il giorno, tutti i giorni. Per lavoro serio, per lavori creativi, per passione.

Dico spesso che vorrei spegnere questo computer e stare almeno un mese senza tasti, telefono, tablet, senza l’assillo delle notifiche, il flusso inquietante delle mail, la necessità costante di liberare spazio ingombro di dati effimeri. Lo penso anche adesso. Disintossicarsi, come dopo i pranzi delle Feste. Il problema è che non è possibile, perché se si perde un anello, si è catapultati fuori dal sistema. Tutto sotto controllo, tutto sempre, in ogni ora, con qualsiasi mezzo informatico: pubblicare, risolvere, sistemare. Torniamo quindi alla foto di partenza, che è qui sulla scrivania virtuale da mesi, e che oggi ho deciso di utilizzare. La lascio libera, via da questo strumento infernale, via dai pensieri al passato, che tanto è passato e non serve.

Arriverà un’altra estate, spero, arriveranno altri momenti di leggerezza. Arriverà quell’istante in cui sprofonderò in una sdraio, e crogiolandomi al sole non avrò in testa che lo stridio dei gabbiani e il ritmico e morbido sfregamento della risacca sulla riva. Punto a quello, per l’anno che arriva. Lo so, è poco ambizioso, ma come lessi da qualche parte tempo fa, la storia del costante mettersi alla prova e uscire dalla comfort zone la reputo abbastanza farlocca: io al comfort punto, è il mio obiettivo, la mia speranza per il domani. Perché la vita è una, i capelli bianchi aumentano, e le foto accumulate sul desktop e nei cassetti a prendere polvere non sono utili a nessuno.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!