Aprile 2020 è un mese di casa. Il primo, probabilmente l’unico mese totalmente passato a casa, dal giorno 1 al giorno 30. Siamo in tempo di pandemia da Covid, e dopo il lockdown dei primi di marzo, la quarantena prosegue, e abbraccia tutto aprile, un mese in cui non ci sono stati incontri, viaggi, movimenti: in cui non ci sono stati abbracci e sorrisi e persone. Solo casa, i miei, la nonna. Che è già tantissimo, visto l’andamento della crisi sanitaria, è una ricchezza di cui fare tesoro stando zitti.

Aprile 2020 è un mese strano, in cui giorno dopo giorno ho continuato a tenere il diario della quarantena, a volte pagine faticose da concludere, a volte sfogo necessario e libero, da riempire paginate di pensieri, azioni, speranze. Anche problemi. In questo mese di casa, di apparentemetne nulla e vuoto, è successo in realtà di tutto. Lavori che arrivano, racconti che partono. Speranze che lievitano, ansie che ammazzano. Entusiasmi da futuro e lacrime per un passato che ha sbriciolato tutto. Inchiodata qui, senza scampo, senza distrazioni. Trenta giorni di me e me sola: a pensare, a provare, a scrivere, a lanciarmi mentre muoio di paura, la paura delle insicurezze, quella di ritrovare scenari che già conoscevo.

Eppure aprile è iniziato dolcissimo, un tempo lento da ritrovare e per ritrovarsi. Un routine tutta da costruire, la dolcezza del clima, le piante in fiore, il silenzio tra i cinguettii, l’odore di vegetale e linfa nell’aria. Aprile: incantevole. L’ho letto proprio così in un libro dal titolo omonimo che ha inaugurato una dolcissima rassegna di letture al sole, tra i colori, le sensazioni, la libertà improvvisa. È stato un periodo prolungato che si è esaurito non appena la realtà è rientrata dallo schermo di un cellulare una domenica sera: una call, aspetta, provo a rispondere.

Ho lavorato tanto, di testa, in tutto questo mese. Scambi lunghi ed emotivamente complessi con svariate persone, una in particolare, a cui sono grata per le continue scosse, per la presa di mano che è comunque salda, non spinge, casomai afferra. Aprile degli amici in chat, per Pasquetta e in genere il sabato, con gli sfondi che cambiano e le risate, e la finzione che tutto questo passi presto. Aprile delle uscite con la mascherina che dà fastidio, ma vorrei solo andare in edicola, passare a trovare la nonna. In questa bolla sospesa è cambiato tutto, ma all’inizio non era mica così visibile. Poi è diventata la normalità: aprile è il mese della quarantena come stile di vita, e tutto stringe un po’, vestiti inclusi, perché a tenere vivo il lievito e non muoversi di casa, il girovita si allarga, ahinoi.

Aprile è la Pasqua straniante, la commozione e le lacrime per tante persone, episodi, letture, pensieri, storie. Aprile è la dolcezza, tutta strana e inedita, quest’anno, domestica e riservata, piccola, una carezza che bisogna stare pronti a cogliere: tanta natura, edera e pietre spaccate, erba da togliere, odore di salvia fresca, fiori selvatici e ulivi che reggono tutto con forza secolare. E le rane: i concerti delle raganelle sulle foglie di ninfea, il loro gonfiarsi per gracidare, i richiami nella sera, affacciata alla finestra, con qualche insolito tramonto di colori azzurri e un segnavento che sembra tale, ma sono solo due gabbiani controluce. Non voglio dimenticare questo, di aprile: il verde, la carezza dolce di casa, le basi su cui fondare lo stare bene.

Ad aprile sembra tutto fermo, quest’anno, invece qualcosa accade. Scrivo due belle recensioni per Lucialibri, su due romanzi altrettanto interessanti, uno di Enrico Deaglio e uno di Gennaro Serio, torno sul Lago d’Orta con Gianni Rodari per TurismoLetterario, BeUnsocial mi invita a collaborare all’ebook gratuito Back To The Future, e per questa cosa finisco su Repubblica e sul SecoloXIX, momento di celebrità. Scrivo, scrivo un sacco questo mese, tra le cose che scrivo c’è L’appartemento arancione, che finisce nelle storie di Borgo Rossini, e una riflessione sulla camomilla che invece finisce su QCode Mag. Ho un sacco di progetti, li elenco, provo a riempirli, e poi chissà. Leggo giornali, sottoscrivo abbonamenti, ritaglio cose, salvo file che non continuerò a scrivere. Sogno. Forse troppo, chi lo sa.

Quando sogno per davvero, la notte, a volte mi sveglio, a volte ricordo nella nebbia volti e abbracci di persone lontane. È la traccia della pandemia, il segno che qualcosa in realtà succede, dentro, che bisogna stare attenti, prima che si aprano nuovi squarci. Succede, fa male, spaventa. Non so ancora come rimediare, lavori in corso, questo è poco ma sicuro. Tutte le cose di aprile sono fissate nelle pagine del diario della quarantena: c’è dentro tutto il mese, ed è la prima volta che scendo così nei dettagli di una narrazione in questa rubrica nata ormai anni fa per darmi uno stimolo, una carica. Difficile ricostruire tutto quello che ho squadernato in trenta giorni in questo post. Lo uso come segnalibro: era aprile 2020, c’era la pandemia, non vedevo un sacco di gente da più di cinquanta giorni, non uscivo se non per andare fino in piazzetta Bianchi, c’era l’edera nuova sul muretto della ferrovia, il francobollo di mare con il divieto di accesso, i sigilli alla Spianata, le strade vuote la domenica pomeriggio, e chi ha visto oltre, chi lo sa, cosa c’era ancora in questo strano aprile, così unico da poter essere raccontanto giorno dopo giorno?

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!