Nella giornata di oggi c’è almeno una cosa da tenere, preziosa e luminosa, nella scatola dei ricordi, ma quelli che si riguardano spesso, quelli che danno energia. Perché in tutto quel che è accaduto oggi c’è una frase scritta da una persona che nemmeno conosco, che mi ha contattata per lavoro, e che in un dialogo educato e gentile conclude dicendomi, alle soglie del primo maggio “Ti auguro di ritrovare presto un percorso che permetta di valorizzare le tue qualità!”. Ci sarebbe da commuoversi, e un po’ succede, dentro dentro, nel profondo, dove si agitano tutte le cose che questi 53 giorni hanno risollevato, sconvolto, strapazzato.

Io più che valorizzare forse sto solo improvvisando. Da una vita. Lo faccio da anni, più o meno consapevolmente, per galleggiare, per non andare giù. Per questo anche oggi combatto l’ansia, cerco di sorridere, forse le cose potrebbero sistemarsi, ci spero, ci credo, solo un po’. Accade. Piano piano, senza che mi lasci coinvolgere in grandi clamori. Distensione, piccole attività domestiche.

La giornata è una macaia unica, il pomeriggio trascorre con cose da fare che, regolarmente, inciampano, allungando i tempi e accumulando arretrati. Forse c’è anche qui qualcosa che non va. Ci devo ripensare dopo, quando sarà finito tutto. Sempre ammesso che tutto questo finirà. Cerco corsi di formazione per colmare vuoti, guardo avanti, pur senza vederci, mi rendo conto delle lacune e in qualche modo cerco di metterci una pezza. Ma sono tante pezze, un continuo, perdite ovunque, tappare tutto a volte diventa davvero impossibile, e la linea di galleggiamento scende, scende…

Impasto per i bomboloni, li cuocerò la sera e scoprirò che sono venuti piuttosto male, vai a capire perché. Oggi è il 30 aprile, è finito il mese, sarei dovuta andare al concerto di Paolo Conte a Sanremo, era il regalo di Natale per papà. Che poi in fondo è un problema stupido se paragonato al fatto che leggo di una persona mancata a causa del Covid. Cacotta non c’è più, il signore dietro al banco del bar, tutte le focacce e i salatoni comprati a 200 lire prima di entrare a scuola, e i miei nonni, e tutto quanto. Leggo la notizia nel pomeriggio e mi faccio un pianto lungo, angosciato, profondamente triste. Stiamo perdendo tantissimo, e io non so se ho la forza di resistere a tutto questo che scivola via, alle radici che si spezzano, mentre tutto frana, e devo continuare a guardare i su, a cercare il cielo.

C’è chi lo fa: Cristina, la mia amica libraia, oggi finisce sul giornale. La vedo con la mascherina, quindi non la vedo, colgo gli occhi, e sono gli occhi determinati e insieme dolci di una persona bella che crede in quel che fa. Mi dico che dovrei prenderla come esempio, ma inguaiata nei miei pasticci faccio fatica. Piano piano. Piani per il futuro, e comunque non da sola, non più. Improvvisare – che poi è la parola del giorno, visto che oggi è la giornata del jazz e ci doveva essere Paolo Conte – non fa per me. Perché non ci azzecco mai.

Il peso della delusione e degli errori torna a farmi visita anche oggi: l’ennesimo racconto non selezionato. E mentre c’è chi viene premiato e, l’ego gonfio di soddisfazione, si dice che è un buon segnale per proseguire, io vedo la vita al contrario, e mi dico che forse non ho proprio speranza, non fa per me. Si vede che era sbagliato, che non andava. Poi mi rattristo, perché mi piacerebbe avere delle spiegazioni, invece è tutto improvvisato e non funziona niente. “Vedi troppo nero”. Eh, lo so, sono pessimista per deformazione.

La sera scrivo, è l’unico momento in cui non penso a niente, e non ci penso che forse a scrivere non sono poi sto genio, visto che mi hanno già cassato due racconti per due contest piuttosto importanti, scrivo e basta, trovo altre vie. Poi non so perché, ma è notte quando parte una seduta psicanalitica non programmata, e vomito fuori roba sepolta da decenni. Il mio amico ascolta, là fuori, chissà cosa pensa, chissà cosa vede. Che senso di pochezza, che fallimento, che male. Una vita di improvvisazione e alla fine niente di portato a casa. Niente, così non va. Tra gli esiti di questa quarantena c’è proprio la necessità di rimettersi sotto, con impegno, di scavare, e trovarmi.

Intanto aprile se n’è andato in un baleno, sembrava ieri l’inizio della primavera, e invece un mese intero è trascorso senza vedere il mondo fuori. Il glicine era in fiore e adesso se ne raccolgono i petali secchi a terra. Un soffio, un niente. Il tempo è implacabile, i dati sulla pandemia non lasciano tregua. Bisognerà imparare presto a improvvisare stando dentro tutto questo: una contrainte, praticamente. Sembra un giochino divertente, ma se i pezzi son tenuti insieme con la polvere è una gran fatica.

La sera Nick The Nightfy celebra una giornata del jazz in formato “distanza” con un po’ di jazzisti collegati. C’è Danilo Rea, e per quanto si lamenti di avere una tastiera e non il suo pianoforte, la sua versione di Here comes the sun è proprio bella:

Little darling, it’s been a long cold lonely winter
Little darling, it feels like years since it’s been here
Here comes the sun, here comes the sun
And I say it’s all right

Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!