Mi sveglio, la solita pratica scorretta di togliere la modalità aereo dal telefono e riconnettermi col mondo prima che la mia testa si sia riconnessa a me stessa fa sì che lo trovi mentre indugio ancora sul cuscino. È il mio amico sacerdote che canta per il vicolo di Laigueglia con la Croce in mano, stendardo di un Venerdì Santo diverso da tutti, inedito e inaspettato. È buio, la via è vuota e silenziosa, solo punti di luce arancio e l’incedere alla don Camillo, passo deciso, forte, mentre tutto è deserto e l’aria vibra solo di un canto antico che sa di storia, suggestioni e fede.

Anche oggi non ho ancora preso il caffè e sono già sopraffatta da bellezza, simboli, grazia e coraggio, forza e fortuna. Ma la fortuna, penso, è in gran parte mia: quella di avere intorno persone così, di averle per amiche. Ogni situazione forzata rinvigorisce rapporti e fa uscire lati di noi inaspettati: accade nelle situazioni di lavoro, negli uffici stampa concitati, e accade anche in questo tempo mai visto prima, tutti a casa e un flusso pressoché costante di parole sul telefono. Conversazioni che non ti aspetteresti, che spaziano da analisi sociopolitiche, a storie e racconti, fino alle tenerezze della sera.

Oggi è un sabato in cui il telefono è al centro, ed è telefono la parola che scelgo per questa ennesima giornata in cui impasto per la serata, che si concluderà con l’italica accoppiata pizza e birra, ormai un classico da quarantena. Oggi, a dire il vero, impasto anche la colomba, uso il lievito madre che ormai è come un quarto inquilino della casa. Tutto procede bene, scrivo il diario di ieri, e il tempo mi vola via dalle mani tanto che quando mi ricordo di uscire è un po’ tardi.

Mezzogiorno, il sole è alto. Ho scelto di indossare la mia maglia preferita per la primavera, i jeans e le Converse che ormai sono una specie di divisa: non ricordo di aver indossato altre scarpe da quando è iniziata la quarantena. Esco per i giornali, ormai lo saprete anche voi che il sabato la missione è questa. E in mezzo a questa giornata di bellezze naturali, mi tocca scendere in strada con la mascherina. Già in casa mi rendo conto che le mie orecchie non sono fatte per tenere gli elastici: orecchie molle, come un coniglio, vanno giù. Mia madre ride, io mi sento stranita come rare volte. Insomma: esco. Un guanto alla mano destra, nella sinistra il sacchetto con le cose da portare a nonna. Galoppo: la mascherina fa condensa sugli occhiali da sole, fa caldo, fa che non riesco a respirare e mi sento fuori luogo.

Città deserta, foglie giovani di edera all’angolo, ormai il percorso è quello, vola veloce perché ripenso a quando ho fatto il battesimo sub e sono stata male per l’angoscia di non respirare, di non avere abbastanza aria. Mi blocco: no, non va bene, è la stessa espressione che usa un malato di coronavirus, non posso utilizzarla, non posso dirlo anche io, che sto bene. Taccio i pensieri cretini, cammino veloce. Incrocio un’amica, libera dalla mascherina, per fortuna: raccolgo il suo inconfondibile sorriso e il suo “Ciao, cherie” che mi fa sorridere, a mia volta, dietro alla mascherina e avrei voglia di fermarmi ma no, procedo spedita, la saluto con la mano guantata in alto. Che disagio.

Edicola. La Lettura è esaurita, più tardi farò – non con pochi sforzi – l’abbonamento alla versione digitale. La solita via, il pane, la gente, casa del mio amico, la chiesa e una bellezza che fa male al cuore, di colori, persiane, azzurro del cielo. Fingo di non pesarci ma intanto con la mano sinistra, quella senza guanto, sto cercando di fare foto a questi scenari inauditi che mi circondano. Passa una ragazza, mascherina a coprire il viso. Mi saluta, mi sembra così. Ha un secondo di esitazione, io pure. Non ho capito chi è, la saluto, le dico proprio ciao, e mi sento un’imbecille. Chissà chi era.

Sono da nonna, per le scale mi levo gli orpelli pandemici. Le lascio la pasta, l’orologio che mi ha dato non funzionante una settimana fa ma che da allora non ha perso nemmeno un secondo. Fa il solito casino con le medicine, ma è vispa, sogna di fare una grande festa in cui raduneremo Pasqua, compleanni, 1 maggio e tutto quel che c’è da festeggiare. Mi sembra un buon segnale, nonostante tutto, anche nonostante il fatto che fa inavvertitamente cadere gli occhiali, e gli occhiali si spaccano. Conclusione: sacchetto, li porto a casa, spero di avere della colla adatta per aggiustarli, perché senza è un altro problema che ora non possiamo risolvere così facilmente.

Ho di nuovo il telefono in mano mentre torno a casa. Ho sempre il telefono in mano, lo so. Mi autoperdono. Sul telefono arrivano le notifiche per un bel progetto di Be Unsocial che prende vita, e da qui in avanti scopro legami, relazioni con persone che conosco e che mi ricordano la mia vita di prima. Un pizzico di mancanza, a Torino c’è vita, ci sono persone piene di idee, librai in prima linea, come sempre. Oggi è anche il giorno in cui il Piemonte dice no alla riapertura delle librerie, ma i librai avevano già preparato una lettera, avevano già deciso di proseguire con la serrata.

Sul telefono intanto arrivano spartiti, arriva una storia bellissima e mi fa sorridere tanto. Sul telefono ecco le foto che testimonieranno che anche oggi sono sul gradino di ardesia a tentare di leggere un testo che è un labirinto divertissement – sempre Notturno di Gibilterra, Gennario Serio, L’Orma – e che in questa giornata ha rivali come il sole che stende luci incantate sulle piante, e il telefono affollato del sabato. Arriva una fiaba, rido parecchio, con i vocali dell’amico che me la manda e la gatta che mi guarda, sente una voce non mia e si ferma come a domandarmi cosa succede.

All’ora dell’aperitivo è il caos, vuoi la Pasqua, vuoi che è sabato e tutto è più rilassato: il telefono è protagonista di chiamate al parentame vario, di videochiamate al parentame più giovane e smart. E ci diciamo tutto bene siamo fortunati, tutto a posto siamo privilegiati. Ed è così e lo so, ma intanto poi mi incanto a guardare gli iris viola che sembrano fatti di petali in velluto, da cui filtra il sole come attraverso una tenda, e penso che ho il telefono in mano tutto il giorno e col cavolo che ho chiamato la gente più importante della mia vita. Non è successo. Non credo succederà. Ci sono persone che sento solo via messaggio, e non ho capito quale vincolo ci impedisca di fare come negli anni Ottanta, prendere la cornetta a raccontarsi vite, improvvisare.

È un tema su cui riflettevo già prima, ma che ora, così, diventa un rovello incandescente che non ha risposta. Amici lontani nello spazio, lontani dal ruolo classico del telefono, ma pure da quello nuovo, le videochiamate. Sono tra le poche persone che, in questa quarantena allucinante, non ha ancora sentito la viva voce di un paio di persone determinanti. E ci sono, eh, restano. Per via scritta, con eleganza, con deferenza, con questa specie di filtro che, oggi giorno, potremmo interpretare come distanziamento sociale. Forse lo è. Forse dovrei trovare la chiave per aprire lo sgabuzzino di queste relazioni e mettere ordine.

Anche perché poi arriva la sera, il lievito ha funzionato, il papa fa la Veglia pasquale in una San Pietro deserta, mi ricordo cose, mi mancano altre cose, vorrei concentrarmi un po’, chiudo un racconto, perdo del tempo, penso che dovrei mettermi a dieta, mando qualche messaggio, scorro Facebook. È notte. Trovo questa canzone che non ho mai ascoltato prima d’ora sulla bacheca di un’amica che mi ha scritto poco fa. Clicco su play: quanta bellezza, ne vengo travolta. Mi faccio un pianto, che novità, la mando alle persone a cui voglio bene, le persone che sento sul telefono, a cui non telefono, che abbraccio via messaggio: ed è Pasqua. L’infinito di stelle, Fossati e Mina.

Nell’infinito di stelle qualcosa stanotte brilla
Anche per me
E tutto ha senso, c’è bellezza spazio amore
Aria di tenerezza intorno

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Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!