Quanta calma c’è in questo martedì di quarantena, giorno 16. Stamane mi sveglio e il primo pensiero è che non devo lavorare, non perché sia sabato o domenica – anche se un occhio a mail e notizie lo butti sempre, pure nel weekend – ma perché il lavoro è finito, l’ho perso, non è più cosa che mi riguarda. Una pace diffusa, in questa mattinata. Cerco di pensare che sia come quando studiavo, come quando facevo ricerca: ti alzi e strutturi la giornata come vuoi, niente ansia da mail, niente aggiornamento convulso, niente quaderni su cui organizzare, scrivere, appuntare, niente agende da aggiornare. Calma. Quasi totale calma.

Eccola, la parola del giorno. Finisco qualche lavoretto al pc, lacerti della mia identità professionale già pagati e dunque da terminare, con zero coinvolgimento, va detto. Le cose di casa, gli amici, le scemenze. Per esempio Disney +, regalo di un amico grande, e una puntata di Ducktales. Sembra, ancora, di tornare indietro, gli anni Novanta, nessuna preoccupazione, nessuna angoscia che schiaccia il petto, tutto bene, tutto normale, Paperopoli e i supereroi. Altro che compilare domande che si sfilacciano nel mare della burocrazia credendo che qualcuno possa aiutarti perché se un frammento di una miriade di gente a cui questa crisi sanitaria cambierà la vita.

Sì, lo tengo sempre a mente: ci sono i morti, c’è chi è in trincea negli ospedali. Lo so, lo so bene, non voglio gridare a chi è più sfigato, ma vesto i miei abiti e osservo che, entrata in questa quarantena da professionista con un lavoro, mal pagato ma pur sempre un lavoro, ne esco come una poveretta senza niente. Manco le tutele, forse. E questo non è tanto un aspetto mio quanto un “lo avevamo detto”: lo avevamo detto dei tagli alla sanità, alla ricerca, alla scuola. Lo avevamo detto che il mondo delle partite iva per i giovani era uno schifo, lo avevamo detto. Infatti non è che passata l’onda cambierà perché già prima non andava. Io non credo: per quelli come me cambierà nel senso che quel poco che avevi costruito credendoci e investendo le ultime perle di ottimismo è rovinato al suolo e dopo troveremo solo altre porte in faccia.

Sì, sono un po’ pessimista. Intorno a me, nel mondo dei miei contatti, sembra tutto regolare, nessuno è a zero come me. Uno si sente sfigato, diverso, poveretto. A voglia a darsi benzina, a dirsi che passato il momento qualcosa si farà. Sembra che tutto quello che avevi si sia polverizzato, e nessuno ti aiuterà, perché ognuno è stretto nella sua roccaforte vacillante. Intanto, sono saltate anche le Olimpiadi, il che ha una portata simbolica altissima.

Detto questo, cerco di allontanare i pensieri, rinfresco il lievito madre, perdo tempo, che deliziosa opportunità, peraltro sempre presente. Scrivo altre cose, pedalo, persino, per trenta minuti sufficienti ad ascoltare la prima puntata di Guida galattica per autostoppisti letta su Ad alta voce di Radio3. Riesco persino a ridere da sola di Arthur Dent e della lingua di Douglas Adams, mentre penso a come fare, mentre appunto cose da provare a progettare, mentre cerco riferimenti e contatti anche se leggo che il contraccolpo per il mondo dell’editoria sarà una strage.

In forno cuoce il pane, insieme a quattro ciappe. Si provano cose nuove, si cerca di mantenere la calma, e però la calma scappa, ché queste pareti, tra insofferenze di ciascuno e difficoltà e futuro miope si fanno strette, non ci si capisce, non ci si ascolta. Si sbotta un po’, si fanno i musi, si fa una lunga doccia lasciando che l’acqua rilassi e immaginando una lettera a Concita De Gregorio dove racconto cosa succede a quelli come me, quelli iper specializzati che tuttavia sono i più sfigati, e se non hai un aggancio affondi e sono affari tuoi, di nessun’altro.

Decido che no, basta computer la sera, il diario sarà domani, il diario non conta più molto, quando tutto è così sfilacciato e calmo e uguale a sé. Leggo un romanzo che ho lì da tempo, non mi piace, cerco di andare veloce, scorro, salto righe, lo voglio eliminare, voglio doppiare il capo perché dopo mi aspetta una pila di libri in cui trovare un vero relax, come quando leggevo e basta, come quando era solo per curiosità ed enorme passione, come negli anni Novanta, quando usciva In viaggio con Pippo e tutto sembrava così felice e bello e calmo.

Dagli anni Novanta arriva in una mattina di radio e calma distesa Spaccacuore, Samuele Bersani.

Ah, succede anche a me
È uno dei miei limiti
Io per un niente vado giù
Se ci penso mi dà i brividi

Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!