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25 giorni a casa

Martedì, giorno 16 di quarantena e una calma diffusa che soffoca l’ansia e precede una risalita solo immaginata. Si pedala da fermi, si aspetta che il lievito salga, si sbotta, si legge di malavoglia, si ripensa agli anni Novanta.

Giorno numero 15: è lunedì, e sono all’improvviso senza lavoro. Non c’è molto altro a cui pensare, se non cercare di districare una matassa di 200 metri di lenza. Una metafora offerta su un piatto d’argento, anche se qualcosa, tra lo stomaco e la gola, fa un sacco di paura.

Domenica, giorno 14: sono passate due settimane. Il tempo rallenta, si rilassa per forza di cose, e tutto all’improvviso appare più ordinato, più leggero. Eccole, si colmano le mancanze, si riavvicina tutto, «teniamoci stretti che c’è vento forte».

Giorno 12, a casa da un mese esatto oggi. Il blu è il colore che dà nome al giorno: malinconie, cieli azzurri, blu botte e leggerezza celeste. Le radio unite, l’inno, l’ansia, la notifica, il video. La routine: sognano cieli azzurri da vivere

Abbiamo superato la decina: oggi è il giorno numero 11, il sole splende nel tempo delle ambulanze e la testa scoppia di pensieri e storie raccolte tra il telefono e la radio. Cerco il tempo per scriverle: non l’ho ancora trovato.

Un mercoledì che sembra un lunedì: è una ripartenza. Inizia di notte, inizia con un abbraccio forte. Si porta dentro la radio, e il telefono, che un po’ sono estensioni dei corpi costretti a tapparsi in casa, da dieci giorni oggi.

Lunedì di vento e balconi: banchise polari che iniziano il disgelo, lavoro che si riformula, come una specie di calma, serenità da procurarsi mentre la situazione non migliora, e ci si inventano format video senza alcun motivo.