Che giorno è oggi? Ah, sì, giusto: mercoledì, giorno 17 della quarantena. Non pensavo proprio a come mi sarei sentita arrivando al giorno 17 quando ho iniziato questa specie di diario/sfogatoio. La verità è che non pensavo che mi sarei ritrovata con le macerie di una vita e di un futuro ai piedi, tutto da rifare, ma tutto tutto: città, contesto, lavoro, prospettive. Giornate.

Per ora me la cavo con i resti delle attività che ho e che si avviano alla conclusione, molte delle quali ruotano intorno alla lettura. Ecco perché decido che la lettura sarà la mia parola chiave di oggi. Lo penso mentre sfoglio diversi libri che ho qui accanto e che mi aiuteranno a scrivere due puntate radio legate a luoghi e libri. La colonna sonora è Radio Montecarlo, perché c’è bisogno di leggerezza, di quel clima disteso che, solitamente, ha a che fare con le vacanze: sono a casa dai miei, non ho la fregola del lavoro, c’è la radio.

Però non è vacanza, marzo si avvia alla fine e fuori c’è un’aria gelida che sembra inverno, ci si gode la lana, ci si sente come proiettati fuori dal tempo, fuori dal mondo. Il mondo indietro, quello di prima, che pare lontanissimo. Ogni tanto mi domando se è mai esistito, se non fosse stato un sogno. Mi sto trasformando in Cidrolin o nel Duc D’Auge de I fiori blu, e questo è un pronostico che il primo giorno di quarantena, quando ho tirato fuori quel libro, non avevo analizzato così a fondo.

Insomma: scrivo. Scrivo pressoché tutto il giorno. E leggo. Finora non ero riuscita a farlo: ho concluso tre libri a metà tutti il 7 marzo, un sabato – l’ultimo – di semilibertà in cui mi ero rifugiata al mare e, complici sole, ninna nanna delle onde e calma assoluta, mi ero spinta avanti. I progetti erano ancora tanti, le speranze pure. È nato da qui il progettino sulle isole che ho proposto a un interlocutore che deve ancora rispondermi adesso: bene, oggi, quasi 20 giorni dopo averlo pensato e scritto, quando sembra un’amara profezia staccata dalla realtà ingombrante, ho deciso che tanto valeva pubblicarlo qui.

Ragionavo sulle isole, sul loro senso non tanto in quanto presenze geografiche, ma piuttosto come conformazioni che regolano relazioni e sguardi. Mi sembrava molto interessante, mentre studiavo i testi ci credevo davvero, e come sempre mi è venuta voglia di approfondire. Come sempre, oggi, ritrovo tracce e indizi di quel discorso mentre sfoglio Storia delle terre e dei luoghi leggendari di Umberto Eco. Che meraviglia. Poi passo a sfogliare Atlante dei luoghi letterari, e mi perdo: quanti libri, quante storie, quanti mondi.

Per fortuna, dopo uno stop dovuto forse all’ansia, forse a libri che non mi hanno convinta, forse all’imposizione di alcune letture in qualche modo obbligate per ragioni di para-lavoro (come altro lo posso chiamare, tutto questo impegno non valorizzato da compenso economico? Hobby? Direi di no: ho scadenze, date, doveri), ho ripreso a leggere. Devo solo togliermi una spigolosa lettura obbligata che non mi piace, e poi sarò libera.

Letture libere: non è un tema scontato, soprattutto se legato all’idea di un blog letterario. Perché oggi mi appare chiaro: qual è il motivo per cui ho aperto questo blog sul quale state leggendo le mie parole? Uno: perché è un sito, e raccoglie il mio curriculum. Due: perché di libri  è fatta la buona sostanza della mia vita, e di libri mi piace parlare, mettendomi alla prova, consigliando le storie che ritengo valide. Tre: per affermare un’identità. Quando ho aperto questo blog non esisteva ancora una batteria così accanita di influencer e bookblogger e compagnia. Poi la cosa ha preso piede, ci si è lanciati tutti su Instagram, sulle stories, pacchetti da aprire tutti targati Amazon, e a voglia a difendere in post ipocriti le librerie indipendenti.

Oggi mi ha sfiorato l’idea di rimettere un po’ a posto questo spazio: sistemare refusi, link, categorie. Magari, toh, creare un’affiliazione, non dico per farci i miliardi, ma se non altro per avere un minimo di riconoscimento economico. Minimo minimo, si intende. Sta di fatto che, però, dopo essermi rifiutata anni addietro di diventare una bookblogger assoggettandomi agli invii gratuiti delle case editrici (rarissimi, sponte loro) e componendo una dieta letteraria fatta solo o per lo più di letture “modaiole” o di ultime uscite da promuovere, ho pensato che no, proprio no, questa affiliazione su Amazon potevo evitarla. Brevemente narrato: ho provato altre vie, ho coinvolto il webmaster. E niente: non siamo riusciti. Questo sito non è affiliato a niente e nessuno, con Amazon non ci ho nemmeno provato, perché se uno è coerente, lo è fino in fondo. Ho troppi amici librai per fare un passo sinistro del genere.

Conclusione: A contrainte resta così, come mi gira, come mi viene, come posso, come riesco. Uno spazio libero, pur se punteggiato di una serie di contraintes che io stessa ho imposto. Tra queste, oggi più che mai, il gusto di scrivere soltanto di ciò che mi piace, il piacere di farlo quando e come voglio – senza seo, senza paragrafi, pazienza se non mi trovano i motori di ricerca o se faticate a leggere due pagine, se ci riuscite senza battere ciglio, vi autorizzo a sentirvi eroi, forse lo siete davvero in questa bolla di analfabetismo funzionale che ci stritola – la libertà di non avere nessun link di ritorno con nessuna azienda. Ho sempre detestato l’ipocrisia, dunque uscirne senza soldi, senza meriti e senza fama è perfettamente coerente con i miei scopi e con l’idea di questo spazio web. A dire il vero, lo trovo anche perfettamente coerente con la mia parabola esistenziale.

Oggi ho ripreso a leggere, ho scritto tanto, e sono capitata su un post Facebook di Incorporella dove ho trovato un’immagine potentissima che mi sono appuntata. «Marzo è quasi andato – si leggeva – lo ricorderemo comunque come un coltello piantato nel tavolo: da qui, finché non lo dico io, non se ne va nessuno». Un memorandum, insomma, venato di pessimismo e affogato nel mio cinismo che ha raggiunto vette insondate prima, ma pur sempre fiero. Senza lavoro, senza futuro, circondata di libri e con uno spazio liberissimo, privo di alcun vincolo. Il che fa ridere, perché A contrainte significa «sotto costrizione» e, tappati in casa da quasi venti giorni, sotto costrizione ci siamo un po’ tutti, a tenerci lì è proprio quel coltello piantata nel tavolo, una sciabolata arrivata improvvisa, secca, violenta persino. Il segreto, credo di aver pensato in un lampo di ottimismo errante, o meglio la sfida, il giochino di questa quarantena, sta proprio nel trovare la libertà nonostante tutto.

Tempo  necessario per sentirsi liberi, questo tempo di marzo. Me lo ha suggerito anche la radio: I.G.Y., Donald Fagen

What a beautiful world this will be
What a glorious time to be free

Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!