È mezzanotte e c’è una mail. Niente, è solo pubblicità. Non risponderanno, è assurdo pensare che lo facciano oggi, nella giornata di paura e rabbia che si è conclusa con una nuova conferenza di Giuseppe Conte e il livello massimo dell’emergenza dichiarato con i negozi chiusi. Il paese più colpito, il paese con più morti. Gli ospedali, le terapie intensive. La paura distillata e in diretta su ogni canale informativo, il senso di impotenza. Lo straniamento profondo.

È il terzo giorno e il tenore è diventato questo. È stato il giorno della paura, il giorno della mia arrabbiatura, il giorno delle mia ansia corrosiva. Un cordone a treccia che si è preso le mie ore e le ha triturate fino a fare notte. Cosa ho fatto oggi? Cosa ho iniziato di tutte quelle meravigliose attività in streaming, e podcast, e libri accumulati da leggere che ora sembrano gridare approfittane, approfittane e rilassati con noi?

Non ho fatto niente, perché un po’ lavoravo, un po’ scandagliavo convulsamente mail e notizie, un po’ sentivo gli amici al telefono. Poi sono uscita a fare la spesa nell’atmosfera rarefatta di inquietudine profonda che il supermercato mi rigetta addosso. Non mi sembra vero, non posso crederlo. Appoggiata al carrello la gente mi schiva mentre guardo il telefono. Le notizie non hanno tregua. Lo so che è tutto è fermo, ma io di lavoro faccio – farei, in una vita dove fossero consentite condizioni di lavoro dignitoso – la giornalista: io i fatti che ci schiacciano al televisore con l’angoscia che diventa lacrime davanti al caffè della sera li devo raccontare.

Forse a volte ci faccio la figura di quella che scribacchia di eventi e cose di cultura su un online come tanti e si eleva al rigore di una reporter di guerra. Lo so, scrivo di scemenze. Che poi non è vero, non sono scemenze: sono tutto quello che è chiuso in questi giorni e grida disperato di spalancare al più presto quelle porte, quelle platee, alzare quei volumi, brindare, farsi autografare un libro. Sono lo sfondo della vita di molti, sono i piaceri grandi della mia, e anche il mio lavoro.

Io gli eventi li racconto: ne descrivo le novità, intervisto i protagonisti, faccio anteprime per chi visiterà, spiego le idee a chi vorrà capirle. Insomma ci vivo in mezzo, ci vivo dentro. Oggi tutto questo è avvolto da un’angosciante clausura che impone di non fare, di stare in casa. Ed è per questo che allo scoccare della terza settimana di emergenza coronavirus in Italia io mi sono vista dimezzare lavoro e paga dall’oggi al domani, salvata in corner per grazia, che il rischio quasi certo era quello di perdere tutto, restare con niente.

Sono arrabbiata, e sono in ansia. Sono arrabbiata perché ci metto me stessa, resto da sola come un’eroina di altri tempi e sono convinta che adesso, più che in tempi normali, sia una cosa giusta e importante dare voce a chi è messo come me, a chi non lavora, a chi ha la partita iva e di mestiere fa l’ufficio stampa o l’attore. Gli attori: i guitti che nessuno prende in considerazione, quelli che sanno raccontare le storie e in tempi bui ci tengono uniti intorno al fuoco magnetico della narrazione. Sono due giorni che spio le Storie in cameretta realizzate da Off topic, uno dei locali di Torino di cui di solito parlo e dove ogni tanto vado. Off topic fa delle dirette su facebook raccontando storie per bambini, e a recitare c’è una ragazza bravissima, si chiama Marta, credo. Mi piacerebbe intervistarla per chiederle come fa, a mantenere quel sorriso felice, come fa a registrare queste storie coinvolgenti per grandi e piccoli senza pensare al tunnel buio dove siamo caduti tutti.

Ho paura, l’ho già detto, oggi ho paura. Paura di non farcela a trovare altro, dopo, quando verrà la primavera e quest’incubo avrà attraversato il pianeta e sarà rientrato, esisterà una cura. Ho paura di essermi trovata quando non lo avevo deciso io davanti a una sberlona della vita che tuttavia sapevo sarebbe arrivata, ed era giusto arrivasse forse. Non si può essere così impanati nel precariato a 33 anni. O forse sì, se sei in Italia nel 2020 e vuoi fare il giornalista di cultura. Giuro che non l’ho fatto apposta, giuro che quando ho imbroccato la serie plurima di bivi sbagliati, detto dei no, accettato delle condizioni indegne, giuro che quando ho fatto tutto questo io non l’ho fatto apposta. Non ero preparata, non ero cinica, non ero arrabbiata. Ero pronta a mettermi alla prova, ingenua, felice che le cose girassero.

Non me lo ricordo nemmeno più, com’ero allora, e sono solo quattro anni fa. Credevo che fosse possibile cavarci qualcosa, trovare un posto per me, provare a vedere come si sta quando si è sfiorata la tranquillità. Perché già prima, di tranquillità mica ce n’era.

Quindi, dicevo, ho l’ansia, la rabbia, la paura tutte rimescolate nello stomaco mentre i pensieri galoppano verso un futuro che non vedo. Calcolo, ricalcolo, mando proposte credendo come una scema che qualcuno mi prenderà in considerazione il giorno in cui Conte ha chiuso l’Italia, senza pensare che già nei precedenti sei mesi ho incassato solo no oppure proposte gratuite. Questa ingenuità qui non l’ho persa.

E sì che tutti dicono non mollare, e sì che lo so anche io che non si molla, benché meno ora, che siamo tutti per terra con l’ansia nel cuore. Non si molla, no. Ma il cinismo offusca, le paure tempestano, le insicurezze ballano la samba. Una strage, sto Coronavirus. Uno si era già trascinato stancamente fuori dal mese di febbraio, un febbraio bestiale in quanto ad autostima, e alla fine arriva la mazzata che ti inchioda sull’asse delle tue occasioni buttate, delle tue paure che non si sa.

Per ogni progetto nella testa ci vogliono ore e giorni di studio. Non improvviso niente, io non sono così, sono la secchiona che se non sa di fare bella figura all’esame non ci va. Le idee che appunto da tre settimane su un quaderno perché tutto fa brodo, perché metti mai. Per ogni progetto quintali di idee, di libri, di cose da fare che riempiono le giornate già folli. E dopo tutto questo angosciante rimestare di pensieri e idee, i progetti partono, naturalmente nessuna mail di risposta arriva ad accoglierli, ché tanto siamo ai tempi del coronavirus, già non risponderebbero in condizioni normali, figurarsi ora.

Con le idee che ho avuto, elaborato e coccolato da febbraio a oggi ci avrei riempito tutto intero un inserto culturale. Non sarebbe stato così schifoso, io credo. Forse fuori dalle logiche di click, editoria, mercato. Forse avrei dovuto iscrivermi all’altro curriculum di comunicazione, quello di marketing. Forse avrei dovuto iscrivermi a biologia vegetale e adesso sarei felice in campagna a potare e far talee.

Invece è una cameretta a notte fonda con l’ansia che si alza, torna, i pensieri che mandano in tilt il cervello. C’è gente messa peggio di me, lo so. I negozi chiusi, lo so. I teatri chiusi, lo so. Le partita iva, lo so bene, molto bene. È che qui manca un progetto di vita dietro a una strage inaudita, e senza amici, senza un abbraccio che non sia una scritta su una chat e senza una maledetta mail di risposta io nei libri ci sprofondo senza leggerli. Se dunque la domanda è usciremo cambiati da questa situazione, io non posso non pensare costernata ai piani economici fatti a gennaio, ai sorrisi per le cose belle che si prospettavano, al sollievo che di diramava qua e là nei pensieri funesti della mia psiche. Perché adesso guadagno quanto uno stagista, devo pagare l’affitto di una casa dove attualmente non vivo e in più il senso civico ed etico mi porta a occuparmi tantissimo del lavoro che si è dimezzato. Perché le notizie scadono, perché le notizie sono importanti, perché se non le metto, qualcuno ci perde, il giornale per primo.

Stringo i denti. Lo stanno facendo tutti, io credo. Lo sta facendo così meravigliosamente bene la ragazza delle storie in cameretta. La invidio tanto, invidio la serenità che mette nel raccontare ai bambini che tutto andrà bene, anche se il concetto di “tutto” è piuttosto vago quando di fronte hai il niente.

Scusate, lo so, il diario del terzo giorno è nerissimo e non vi aiuterà di certo a riprendervi dalla spaventosa evoluzione della situazione che stiamo tutti vivendo. Ma io so solo scrivere, e se non lo dicevo così non avrei saputo come altro togliermelo dalla testa. Fingendo che si sia tolto, perché in realtà è ancora qui.

On air: Il giardino di rose, Chiara Ragnini

Passerà
Cambierà
Ogni cosa che non va
Lascia perdere le volte che hai sbagliato
Non importa e lo sai
Troverai
Le risposte che non hai
E dall’alto del tuo muro
Fra le rose mi ritroverai

Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!