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Mi è capitato, di recente, di camminare ed essere folgorata da un pensiero: «Michele Serra lo scrive sempre nella sua biografia!». Stavo infatti meditando sul fatto, apparentemente straordinario, che dopo anni di lotte e delusioni oggi posso dire anche io che di lavoro scrivo, e mi pagano per farlo. Il fulcro del ragionamento è in realtà la presa di consapevolezza di una sconfitta: non scrivo per un giornale, non sono la firma di nessuna testata. E allo stesso tempo non sono una scrittrice, la mia firma non è associata a una produzione di narrativa. Ci ho provato, ci riproverò, ma ormai ho capito che questi mestieri non andranno a disegnare una carriera coerente e compatta. Perché io faccio parte di quel gruppo di millennial della prima ora – quelli nati negli anni ’80 – che hanno surfato l’onda del cambiamento enorme del digitale, lo hanno visto arrotolarsi prima che si…

Nel 2015 lessi un romanzo Bompiani che mi piacque tantissimo, Parole in disordine, di Alena Graedon, un testo che mi è prepotentemente tornato in mente oggi, 24 febbraio 2020, uno dei giorni caldi in cui l’ecosistema mediatico è concentrato sull’epidemia di Coronavirus in Italia. Ecco, questo romanzo parla di un virus, della sua diffusione, e dei media. Direi che è perfetto per il periodo.