Era il 16 febbraio 2020, una domenica. Nei giorni precedenti ero, nell’ordine: stata a Milano prendendo diverse metro ed entrando in locali, col virus già probabilmente in giro, stata al press tour di Torino città del cinema sull’autobus scoperto e in mezzo alla folla del Mercato centrale, fatto una presentazione del libro con parecchia gente. Poi, domenica 16 febbraio, ero andata a pranzo con due amiche in centro città. Avevamo mangiato pesce e, al momento del caffè, era arrivata questa tazzina: possa tu vivere in tempi interessanti.

Già mi sembrava interessante – dispendioso in termini emotivi, pesante e bisognoso di uno scossone – il mio stallo arrabbiato di quel momento, me lo ricordo bene: ero nera. Motivi personali, tanto, e poi lavoro scoraggiante e prospettive esaurite per il futuro. Fotografai la tazzina come sorta di monito: ricordati dei tempi interessanti che vivevi, dell’augurio di una tazzina di caffè.

Poi è arrivato il 21 febbraio: prima di allora, lo ricordo nettamente, un maggiolone giallo in via Po che racchiudeva nel suo simbolo tutta la mia voglia di andare a casa, una conferenza stampa sui tetti della città sotto il sole, una corsa verso il treno. Fine della storia: il finale lo conosciamo tutti, ci stiamo ancora nuotando in mezzo, allenati per i mesi passati a capire cosa accadeva intorno, nei giorni chiusi in casa diventate settimane, e mesi, nella boccata d’aria della riapertura su un’estate tutta da rifare, nel nuovo incubo autunnale di un 2020 che oggi, 31 dicembre, sta finendo.

Guardo la foto di quella tazzina e mi dico che in fondo era vero, ci avevo azzeccato: stavo realmente vivendo tempi interessanti. Ero sulla soglia del più grande tempo interessante dell’umanità, e non me ne potevo ancora rendere conto. Oggi, però, mi capita di ripensarci. Me ne accorgo eccome, della straordinarietà dei mesi del 2020 che abbiamo alle spalle. Me ne accorgo dai tg, dalle notizie gravitate intorno, dalle ambulanze che ho visto, dagli amici che non ho visto. Me ne accorgo dal lavoro che non è più quello che credevo di poter e voler fare ancora a lungo, dal nodo di tensione che si è allentato, dai rancori che scioglierò, dalle scelte che ho avuto il coraggio – o la sfrontatezza – di fare.

Soprattutto, mi accorgo del cambiamento: di prospettive, geografie, rapporti e autostima, di paure e progetti, di forza e di verità da raccontarsi al mattino prima del caffè. “Quando tutto è perduto si ritrova noi stessi”, scriveva Pavese. Forse è quello che mi è accaduto in questo sciagurato 2020 pandemico in cui è cambiato tutto, dentro e fuori: il passo del mondo, il ritmo della mia famiglia, l’andatura del mio sguardo su di me, sugli altri e sulle cose, persino sul lavoro che non è più quello di prima.

Tempo per sé, nuove consapevolezze

Mi sono ripresa il tempo, per prima cosa. Per concludere i progetti, per provarci, almeno (e il mio reportage sul mare è la testimonianza di un tema preso a cuore e dei tentativi per riuscire a raccontarlo), per riuscire a fare quello che davvero sentivo mio, e volevo portare a termine. Mi sono iscritta a un corso di Slow News e sono venuta a patti con un garbuglio vischioso e velenoso che annientava la mia voglia di fare giornalismo, spegneva la mia fiducia di saperlo e poterlo fare come mi hanno indicato i miei maestri. E così mi sono messa in gioco: mail, pitch, un sacco di idee e proposte. La maggior parte delle quali, diciamolo subito, frustrate.

Ma, se non altro, si è chiarito molto bene cosa so fare e cosa non posso fare, dove si può accedere per merito e dove no. C’è stata molta rabbia, ma era rabbia nuova: l’ho canalizzata e, adesso che è alle spalle, punge un po’ ma la guardo dall’alto e magari domani tornerò a vedere se qualcosa è cambiato. Basta che mi torni la voglia e che resti consapevole che sì, ce la posso fare, lo so fare. Solo, a volte non dipende del tutto da me.

Intanto, però, qualche progetto ha veleggiato, e il termine non è casuale perché un po’ di cose che ho fatto sono legate al mare. C’è stata per esempio Radio3 che ha ripreso la mia recensione di Nel mare stellato scritta su TurismoLetterario, e poi c’è stata la magia di un progetto che aveva aperto il 2020 prima dello strappo pandemico e che però non è stato fagocitato, anzi è rimasto ben desto e mi ha accompagnata a lungo. È il Progetto Mediterranea, con la bandiera del Mediterraneo, nata proprio nel 2020, appesa in camera con molta bellezza e orgoglio. Della storia ho potuto parlare su QCode Magazine: questa intervista è tra le cose lavorativamente più belle che ho fatto nel 2020, ne sono molto felice. Come sono super orgogliosa di essere stata selezionata sempre da QCode Magazine, versione cartacea di novembre, per un articolo che raccontava di una difficile e però emblematica vicenda di cinema in un anno drammatico.

Il mio lavoro mi è mancato in modo straziante, a volte. Le persone, i colleghi, le intuizioni e le interviste, le conferenze stampa e le novità da scoprire in una città che si è improvvisamente allontanata, sparendo nella nebbia e lasciando spazio a tanto, tantissimo mare. Il 2020 è stato anche l’anno in cui ho conosciuto persone per lavoro senza mai conoscerle né vederle dal vivo. Il che è stranissimo, ma in fondo è diventato naturale e ha portato alcune scorie prontamente eliminate, con contraccolpo da incassare, ma anche fresche novità e rapporti rinnovati. Consapevolezza: ne parlavo sull’ebook promosso da Alice Avallone Back to the future – 44 idee per la nuova normalità, dove intrecciavo lieviti e infodemia, e grazie al quale ho fatto una capatina su un po’ di giornali (Repubblica, Secolo XIX, Riviera Time). Alice mi aveva tra l’altro intervistata sui miei strumenti critici per leggere la realtà in tempi non sospetti, ai primi di marzo, mentre entravamo con incertezza nella bolla, e ancora non sapevamo.

Ho pensato fosse possibile stare bene

Me la sono detta e ridetta, questa frase: ho pensato fosse possibile stare bene. Mi sentivo quasi in colpa mentre fuori impazzava la pandemia, morivano persone e altre venivano contagiate. È un’esperienza che ho sentito lontana fino a dicembre, fino a quando il contagio non mi ha sfiorata, schivandomi, ma facendomi provare sulla pelle la concretezza della paura. Ho però insistito sull’idea dello stare bene, sulla possibilità di prendere le macerie della vita precedente, che già non brillava, anzi, e costruire qualcosa di rinnovato. Qualcosa che fosse migliore per me, più conforme alle mie competenze, alle mie speranze e alla mia visione del mondo. Qualcosa che mi permettesse di stare bene, stare in pace, una sensazione che mancava da tempo.

C’è stato un sacco di mare a supporto di queste meditazioni, azioni e scelte. E neanche a farlo apposta, dopo il tuffo nel Mediterraneo Simone Perotti è stato silente testimone di qualche maturazione personale portata avanti proprio in quest’anno in cui, aperte le frontiere di maggio, ho deciso che era ora di muoversi, e conoscersi un po’ meglio. Questione di punti di vista, relazioni, questione di valori ed emozioni. Una materia complessa e densissima in cui affogare senza una rotta. Ma, per fortuna, ho trovato una bussola, e ne ho fatto tesoro.

Ho trovato anche una bicicletta da sistemare e far ripartire, con molto entusiasmo e senso di libertà perduto, come ben racconto qui, in uno dei tanti scritti che qualcuno mi ha rifiutato. Fa parte del gioco, anche perché poi, per contro, di scritti miei ne sono usciti davvero tanti quest’anno: racconti in antologie, cose online, iniziative condivise di scrittura… Ne ho tenuto il conto qui: sono stati momenti molto incoraggianti in un frangente buio, e ne sono felice.

Chi mi legge sa che mentre impazzava la tempesta, fuori, da marzo a maggio ho scritto un post al giorno raccontando le mie giornate in casa e i cambiamenti pazzeschi, le insidie, emozioni, malumori e ragionamenti delle settimane di lockdown. 25 giorni a casa è tra le cose più strane fatte in questo 2020: ho scaricato tutti i miei scritti su un file word, mesi fa: non ho ancora avuto il coraggio di rileggere tutto, a essere sinceri mi sembrano passati anni, epoche remote in cui mi rivedo in preda al nulla, la notte, davanti allo schermo, senza le prospettive che posso vantare oggi, senza l’idea a lungo termine che questo virus non ce lo leveremo dai piedi alla svelta, per quanto intanto esistano i vaccini e stiano arrivando.

Ho anche pensato fosse possibile fare cose belle

Tra i ricordi più luminosi del 2020, o meglio dei suoi giorni in cui la morsa pandemica ha allargato le maglie e mi sono potuta muovere, resteranno sempre un paio di abbracci rubati al buonsenso, una sera di luglio a teatro a sentir raccontare di Adriano Olivetti e un giro in Vespa. Per tutto l’anno ho cercato di sottrarre sempre più tempo allo stress e dedicarlo alle cose belle, alle cose che mi piacevano e che mi piacciono, a quello che sentivo come bene, agli affetti.

E allora sì, ci sono le giornate infinte al mare come non accadeva dall’anno prima della maturità, le passeggiate tra le ginestre, aperitivi improvvisati che non scorderò, la Vecchia Betsy, cioè la mia bici, la conserva di pomodori e i millemila vasetti di marmellate, e la lavanda, e la canoa alla Mortola. Ci sono sterminate letture che mai come quest’anno hanno piastrellato le mie giornate fornendomi materia sempre nuova per i pensieri, per l’animo. Una gran parte di queste letture sono finite su Lucialibri, qualcos’altro è qui sul sito.

E poi c’è stata la parte concreta e reale che dai libri si è trasformata in una serata a parlare di Calvino a Sanremo per Soleà, con autori e attrici, una cosa che non avevo mai fatto prima, fino a una decina di giorni fa appena, il 21 dicembre in cui è andata online la première di Se una notte d’inverno Italo Calvino, un viaggio tra racconti e inverno che mi sono inventata una sera d’autunno.

Tra le cose belle non potrei non infilare la campagna di raccolta rifiuti sulla spiaggia che ho innescato con un paio di amiche dopo la devastante mareggiata di ottobre: anche in questo caso sono finita sul giornale. A dire il vero sono finita un sacco di volte sul giornale in tutto l’anno tra iniziative, premi, eventi e chissà cos’altro mi sarei potuta inventare. Sono anche finita sul canale youtube del mio liceo per parlare della mia esperienza: segno che sì, è davvero stato un anno interessante.

Un tempo interessante

Possa tu vivere in tempi interessanti, diceva la tazzina a febbraio. Oggi che è il 31 dicembre posso dire che sì, forse ho davvero avuto l’occasione irripetibile di prendere quest’anno fuori dall’ordinario come la scusa più grande per vivere un tempo di inaudito interesse. Tempo per fermarsi e ripensarsi, per formarsi – e quanti, quanti sono i corsi che ho seguito da casa facendomi ripartire le cellule grigie -, per ritrovarsi e, più solidi e sicuri, ripartire con decisione. Tempo per perdonarsi, ricostruirsi, osservarsi meglio, volersi un po’ più bene e quindi spingersi a cambiare. Tempo per stare con gli amici, coltivare i rapporti che prima erano di facciata e ora sono diventati, in rima col gergo dei decreti, “affetti stabili”, anche se sono a distanza.

Tutti i link che ho inserito sopra non sono altro che il tentativo di riportare in queste paginette un bilancio numerico delle cose che ho fatto durante quest’anno. Tempo fa in una videochiamata un’amica mi ha parlato del 2020 come di un tempo fatto di atti mancati, e della sensazione costante di aver perso un anno. Me ne sono stata zitta, ho fatto miei questi pensieri e li ho in parte capiti, ma non li posso condividere. Non posso perché per me il 2020 è stato, follemente e stra-ordinariamente, un anno zeppo di azioni che erano sospese da troppo e invece sono decollate, un anno intessuto della sensazione che, dopo tanto, finalmente qualcosa tornasse a circolare.

Nuova linfa, amarezze buttate alle spalle, persone pessime lasciate sulla loro zattera e una serie di veleni esogeni, diventati trappole interne, per le quali trovare antidoti, non fosse altro che riuscire a rimettersi in piedi e proseguire sulla propria strada, con aiuti, sorrisi, carezze e una birretta ogni tanto. Non è quindi un bilancio, ma una constatazione: è stato un anno davvero interessante, nell’accezione neutra di un aggettivo che contempla scenari mondiali devastanti e piccoli mondi interiori oggi un po’ più sgombri, un po’ più luminosi, un po’ più sereni.

Non è un anno facile, questo 2020, non si chiude bene e non ci abbandona con prospettive lungimiranti né rincuoranti. Eppure vorrei davvero che la fiammella accesa in tutta questa incredibile mostruosità durasse ancora, e alimentasse un tempo nuovo, fatto di nuovi orizzonti e visioni, di una felicità più profonda, di piccole cose belle come quelle che abbiamo imparato ad apprezzare negli ultimi 10 mesi. Vorrei riuscire a trasportare tutto questo oltre il confine che segnerà la consegna tra questo vecchio anno acciaccato e quello nuovo, già carico di mille speranze. Lo so, lo dico da privilegiata: è cosa rara, in un solo anno, perdere tutto e finire con un nuovo tutto ancora più bello e importante. Ma è la vita: imprevedibile e difficile, tosta, sfidante eppure vita. Auguro dunque a tutti tempi interessanti. E, all’occorrenza, un buon caffè!

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!