Una mattina di agosto 2020 mi è venuta voglia di scrivere una cosa. Stavo bene, sembrava tutto andare bene: non c’era il futuro che adesso è il mio presente, non c’era nemmeno il contorno buio del tunnel dove ci muoviamo gommosi tutti quanti, alle soglie del Natale in zona rossa. C’erano già stati molti forti cambiamenti, altri ce ne sarebbero stati ma ancora non lo sapevo. Pedalavo, c’era il sole, sentivo di stare bene. E adesso che ho alle spalle quella sensazione, il rifiuto di questo mio scritto da parte di un famoso giornale italiano, seguito ad altri e altri a cui mi sono ormai abituata, cullata dal profumo del panettone genovese che cuoce nel forno ho pensato che magari lo pubblico io quel mio racconto, su questo mio sito ibrido che raccoglie tante storie diverse. A casa si sta bene, si intitola: eccolo qui, lo rileggo – stupendomi – insieme a voi dalla quarantena domestica, preventiva, dove sono confinata dopo essere stata a contatto con un positivo. A casa, ora che ci sono per davvero, e forzatamente, non sto troppo bene: avrei voluto vedere alcune persone care, avrei voluto portare loro i biscotti di Natale, come faccio sempre, avrei voluto stare di più con chi è fragile, sorridere e prenderla alla leggera come in agosto. Ma è andata così, e queste parole di pixel resteranno forse a ricordarmi, domani, come vedevo il mondo, e cosa sentivo, il 23 dicembre 2020.

A casa si sta bene – Alessandra Chiappori

«Andate a fare il bagno? Buon mare!». Le parole entrano dalle fessure della tapparella insieme alle strisce di cielo di azzurro carico. Le ha pronunciate il vicino, impegnato a ripulire il cortile mentre sulla via ciabattano gruppi di persone in tenuta da spiaggia. È domenica mattina, è piena estate: è tutto così naturale che mi perdo a fissare il soffitto ragionando su questa leggerezza inaspettata che sa di infanzia, di serenità. Respiro e sorrido: non importa il futuro, per adesso sono felice.

Ieri ho fatto tardi, sogno un caffè che si mescoli con il profumo della crema solare e quel sentore di salsedine e pietre bollenti che riporta subito, per istinto olfattivo, all’estate, ma indugio ancora un po’ sopra il letto strapazzato dal caldo. Lascio che la normalità di una pigra giornata di agosto in questa mia città di mare ai margini del nord ovest riempia la stanza. Non accadeva da tantissimo tempo: è un invito alla calma. Mi sento bene, non ho pressioni sul cuore né stress sobbarcato sulle spalle. Sorrido da sola, coccolo la voglia di indossare il costume e fiondarmi giù al mare. Lo zaino, un libro e l’asciugamano, la bicicletta che sfreccia lungo la discesa mentre si intravedono scaglie di mare all’orizzonte, concerti di cicale impazzano tra i pini marittimi nel silenzio abbagliato di una stagione anomala. Sono giornate di sole e mare trasparente, scogli e frescura azzurra.

Non sono in vacanza, o meglio: ho trasformato questa pausa esistenziale in cui una pandemia mi ha portato via lavoro, città e orizzonte professionale in qualcosa di simile a una vacanza. È una vita alternativa che avevo messo da parte: la provincia, il mare, la semplicità. Lasciata Torino alle spalle a febbraio, mentre l’onda si gonfiava, mi sono ritrovata qui  e qui sono rimasta. Sono trascorsi mesi di paura, poi è arrivato maggio, il mare invitante, i primi colori estivi e la voglia di riscoprire la festa di colori e sensazioni tra cespugli di ginestre, macchia mediterranea e boccate di iodio. Svaporata l’angoscia ed elaborata la perdita di tutto ciò che avevo messo su in anni di studio e lavoro, mi sono lasciata sedurre dall’atmosfera. Ho deciso di restare qui, almeno per quest’estate.

È la prima volta, dal penultimo anno di liceo, in cui mi ritrovo a trascorrere rilassatamente tre mesi interi al mare. Era una peculiarità dell’infanzia, dell’adolescenza: quei periodi infiniti di vacanza in cui l’unico orizzonte era la spiaggia: le avventure tra gli scogli, i tuffi dal materassino, i panini al pomodoro consumati in acqua – altro che digestione e cautele -, il calcetto scatenato e le ciabatte infilate nelle porte per non dover usare altri gettoni da 500 lire a ogni partita. Estati profonde, luminose, l’abbronzatura color cioccolato  e i libri divorati fino a notte. Credevo non sarebbero più tornate: stagioni passate con le loro età da mettere nel cassetto dei ricordi ora che si è adulti.

Invece è arrivata una pandemia globale, il tempo del mondo si è stravolto e il mio scenario di vita accartocciato. Sto provando a ricostruirlo: ho un po’ di esperienze e sogni mai sazi nella borsa degli attrezzi. Soprattutto, ho un cambio di fondale inedito che ha rivoluzionato priorità e ritmi, ha riportato all’anima carezze dimenticate. Perché a casa si sta bene: non l’avrei detto mai, impegnata a guerreggiare con le asperità del mondo, altrove e in costante andirivieni tra treni e valige.

Sarà che ora è estate piena, è proprio quel momento dell’anno: è adesso e ci sono immersa, mi abbevero di bellezza semplice, di blu e risate spontanee. Non ho impegni urgenti, non ci sono orari né scadenze. Sono libera di organizzare le giornate, andare alla spiaggia, leggere tutto ciò che voglio, girare con vestitini estivi che a Torino avrei ritenuto fuori luogo. Ma qui siamo al mare e posso permettermelo anche se non sono in vacanza: qui è casa, è normale così.

Con lo stesso ritrovato affetto per la mia prima immagine del mondo, scolpita da qualche parte nello sguardo e nel modo di essere, entro ed esco dai panni di abitante di questo posto e mi lascio stupire dallo scenario quotidiano. Mi perdo come una turista tra le case antiche affastellate nel centro storico, i loro profili color pastello che staccano sul cielo fermo di un agosto unico e irripetibile. Mi sembra tutto così bello, così nuovo e così ritrovato.

Le serate in riva al mare sono dolci e lunghe: è quel momento dell’anno, è ora e non era prima, non sarà domani. Accoccolati sulla spiaggia si aspetta il lento calar del sole oltre il muretto, la trasformazione dei colori sull’orizzonte, l’ora blu con la sua gamma di oro, pesca e lilla. Tutto è incantato, entra nel cuore, ricostruisce un’identità che mi appartiene eppure – chissà quando, chissà come – avevo perso per strada.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!