«Parleresti della tua esperienza dopo il liceo classico ai ragazzi?»
«Molto volentieri!»

Qualche giorno fa sono stata invitata dalla mia professoressa di greco del liceo a partecipare a una rubrica online dedicata agli studenti il cui scopo è quello di raccontare loro cosa accade dopo il diploma. L’università, certo, la vita tra studenti, tesi e magari anche mondo della ricerca, e poi il tuffo nel brulicante universo del lavoro, con tutte le sue insidie, ma anche le sue gioie.

Sono stata felice di aderire prima di tutto per una forma di nostalgico affetto per la mia scuola, quella “casa” dove mi sono formata in un’età cruciale, e che mi ha vista china per cinque anni su libri e dizionari di greco e latino, strenuamente convinta che quella roba fosse interessante e utile, come poi ho avuto conferma. E poi sono stata felice di partecipare perché mi sembrava importante, in un’epoca di esaltazione della tecnologia e delle scienze dure, tornare ad affermare il ruolo delle scienze umane. Senza sminuire il resto, beninteso, non sono un’apocalittica, ma facendo notare ai ragazzi come, in mezzo a un mondo fatto di contenuti che ci martellano, ci seducono e ci ingannano (ma ci aiutano anche a volte, eh!) sia bene sviluppare una certa dose di preparazione alla complessità testuale.

Per testuale intendo non solo testi scritti, e facendo mia la definizione che di testo dà la semiotica, la mia disciplina di elezione, mi riferisco a ogni forma di produzione di senso, mediatica e sociale. Pensateci: siamo immersi in questo mondo, non potremmo farne a meno se non diventando eremiti e rifugiandoci su un’isola deserta, sebbene anche allora… Ma non addentriamoci in labirinti.

Dicevo che sono stata felice di portare ai ragazzi un’esperienza varia, sfaccettata e non del tutto lineare come la mia. Le ho chiamate “vite parallele” con esplicito riferimento a una domanda su Plutarco che la prof. mi fece alla maturità, ma in effetti sono davvero esistenze diverse che dopo la laurea hanno provato a convivere, incastrandosi l’una nell’altra per impegni, forma mentale e necessità concrete. Da una parte la ricerca, con il dottorato e lo studio, dall’altra il lavoro per strada, con le esperienze giornalistiche. È come il liceo classico: non mi pento, rifarei tutto.

Perché? Perché alla base ci sono le due c: curiosità e complessità, e mi piace nuotare lì in mezzo, nonostante onde e insidie nascoste. Credo anzi, fortemente, che senza avere il coraggio di prendere a braccetto la curiosità e la complessità, un diplomato di oggi possa fare poco per realizzare le proprie ambizioni e portare qualcosa di buono al mondo. E credo che per farlo il liceo classico possa essere una buona strategia. Via, niente classismi nè stereotipi: non li ho mai sopportati. Mi piacevano le materie scientifiche, non ho mai avuto difficoltà insormontabili a capire matematica e chimica mi divertiva, avrei potuto benissimo prendere la strada di un’altra di quelle vite parallele di cui sopra e fare l’ingegnere. Ma il mio carattere, le mie aspirazioni e le mie passioni mi hanno portata a fare la giornalista. Succede: è giusto così.

Quel che voglio dire quando mi arrabbio con i cliché è che non è assolutamente vero che latino e greco non servono, e che tradurre è inutile. A me cinque anni di versioni da lingue come il latino e il greco hanno forgiato la mente, e ne sarò sempre enormemente grata. Lo spiego anche nella video intervista con la mia prof: quale palestra migliore di trovare verbo, soggetto, e da lì ricostruire il senso della frase per passaggi logico-grammaticali delle versioni? Quale strumento migliore di quello della traduzione, il traghettamento di senso da universi distanti duemila anni?

La versione è una risorsa enorme, e per i diplomandi che vogliano intraprendere una carriera in ambito umanistico e dedicarsi non solo al giornalismo ma a quella miriade di professioni della comunicazione digitale che spaziano dagli uffici stampa al content design, rappresenta un faro nella nebbia. Verbo, soggetto, struttura logica della frase: è da lì che arriva il senso. La base, insomma: si sa che il liceo classico serve proprio a quello, a costruire solide radici dalle quali partire per l’arrampicata, in stile Cosimo Piovascò di Rondò, alias Il barone rampante di Italo Calvino, sull’albero della propria vita, sia esso una conifera solida o un’intricata chioma piena di rami che si intrecciano, come la mia.

Avrei poi voluto dire mille cose del professor Eco, dei miei incontri con lui e con i semiotici nel corso degli anni di dottorato, e di come la semiotica sia tutt’altro che roba astrusa per capire il mondo in cui viviamo, avrei voluto raccontare di Italo Calvino, del suo sguardo sulla nostra Liguria di Ponente, e poi avrei parlato per ore di giornalismo, di informazione, verifica delle fonti e tanti altri meccanismi testuali che ci coinvolgono ogni giorno dallo schermo alla carta. Ma non potevamo dare vita a un polpettone: si sa che i video online, per loro natura, devono essere smart e agili. Ora vi lascio il video da gustare ridendo, come faccio spesso io, stagliata sullo sfondo della mia libreria. Ringrazio ancora Camilla Berio, la mia prof (anche per aver citato il mio pargoletto, Torino di carta), e tutto il Liceo Vieusseux di Imperia che, se pure non è più il mio “Liceo Scientifico Vieusseux con sezione classica annessa E. De Amicis”, è pur sempre il luogo dal quale arrivo, e grazie al quale, insieme a ottimi professori, sono quel che sono oggi.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!