Sono le sette passate, l’aria è grigia di macaia, ma scrivo vista tendina e ulivi, e misteriosamente, magicamente, va tutto bene. Va bene il tempo che non c’è, la distanza, i dubbi, i fastidi e le ingiustizie, che tanto passano, e quando hai voltato pagina c’è sempre un ulivo qui davanti a calmarti, un affaccio sul mare, un accenno di tramonto rosa pallido. Che questo posto sia incantato lo sapevo già, ma ogni volta lo sperimento addosso, e ogni volta sono radici che si decomprimono e si allargano comode, distese. Trovano terreno ricco, anche se non c’è niente, solo ulivi, solo terra, che profuma come quella dei geranei da rinvasare. Ritrovare casa.

L’estate: si percepisce tra le foglie e i fiori di campo, nel chiaro fino a tardi, nell’ansia per il lunedì che sfuma. Ce la faremo anche questa volta, sognando un pedalò in mezzo al mare per fare grigliata, perché gli amici scemi servono anche a questo: a rilassarsi. Soprattutto, a ritrovarsi. Ci sto pensando molto: ho paura, per il poi, che mi dimenticherò della profondità di alcune cose che ho percepito, che ho accarezzato senza forse convincermi ci fosse molto di valido da tenere presente.

Invece la ritrovo, questa riflessione sull’assurdità del tempo piegato, sulla bellezza e la centralità di non subire stress esterni e concentrarsi sulla propria leggerezza, sul proprio progetto. Stamane incappo per caso in un video su Facebook dove Fabio Sartorelli parla di Viaggio intorno alla mia camera, di Xavier De Maistre. Di come il protagonista, imprigionato per 42 giorni, riscopra tra le quattro pareti se stesso, e gli oggetti prima abbandonati e immersi nella quotidianità fino a tacere. Ora tutto questo gli genera stupore, fino all’immersione, ma non quella della paura e del rischio di isolamento psicologico, qui si tratta dell’immersione nel pensiero creativo. «Devo lasciarti, incantato paese della fantasia, la mia camera – concluderà – proprio oggi certe persone da cui dipendo pretendono di restituirmi la libertà, come se mi fosse stata tolta: essi mi hanno vietato di percorrere una città, ma mi hanno lasciato il mondo intero».

Mi commuovo, neanche a dirlo. Perché lo trovo profondamente vero, perché mi era successo e già mi manca, perché ho paura che domani non torni più, e sarà un peccato, e sarà meno, sempre più povero, sempre rubato a un tempo che non è più mio, è solo di altri, altri che impazzano nel caos inutile. Mi sento un po’ assurda, sognatrice utopista. Ma poi ascolto un pezzo di una diretta di Simone Perotti e mi convinco che forse non sono l’unica a pensare che a volte le risorse e i mezzi richiesti siano tali da non valere il gioco assurdo. Credo di trovarmi esattamente in questa fase. E dovrei sviluppare questo ragionamento, dovrei seriamente pensarci per il futuro: si intravede una vita bellissima.  

Tanto più che me lo conferma anche Fabio Genovesi col suo diario su La lettura. Lo leggo che è già sera, sono già su questo tavolo del giardino incantato, la rabbia scemata, i pensieri molto confusi sul poi, ma pazienza, evito di andarci con la mente, mi fisso sull’adesso, adesso che si sentono solo cinguettii, musica jazz, le rane che gracidano nella sera di fine aprile. «Questa feroce idiozia, questo sfascio demenziale che secondo tanta gente in giacca e cravatta deve ripartire, e subito, e più forte di prima. La stessa gente che ci ha portato in fondo a questo buco, adesso ci indica la via per uscirne, e la loro via è scavare ancor più giù nel fango. Devono essere proprio stupidi, tanto stupidi, i più stupidi del mondo. Anzi, no, i più stupidi siamo noi, che gli andiamo dietro».

La normalità come problema, la normalità a cui non tornare proprio per questo. Lo scrivo qui perché me lo devo ricordare, che tutto quel che sembrava, fino al giorno 49 della quarantena, alle soglie dei 50 giorni è già certezza dentro di me, si fa albero, è una presenza forte. Mi viene in mente l’albero perché oggi decido di aggirarmi a fare foto nell’uliveto, e li vedo, i tronchi contorti e mangiati dal tempo e dalla linfa. Scorze spaccate dai decenni, rami d’edera e fiori selvatici tra buchi e tane scavate nel legno d’ulivo che ha il profumo di quest’angolo di mondo. L’unico che mi rimette in pace, l’unico dove mi trovo.

Ulivo, ulivo è proprio la parola di oggi. Ripenso alla descrizione emozionante dell’albero d’ulivo saraceno degli Arancini di Montalbano: le parole di Camilleri sono perfette, cesellate come le scanalature in quei tronchi, come i grovigli di quei rami che sembrano la selva dei miei pensieri. Ci si perde Montalbano, e come lui mi ci ritrovo però anche io. Luce e buio si mescolano tra le fronde. Cosimo compare: da lassù vede tutto più chiaramente, o forse sogna e basta, proprio come me. Quanta bellezza, girando l’angolo e aggrappandosi al tronco d’ulivo graffiato dal mondo. Quanta sterminata possibilità di tornare a emozionarsi, di coltivare le cose vere, autentiche, piccole e incantate. Non distruggetemi questo paradiso, non schiacciatelo: io me lo devo ricordare, anche quando sarà tutto finito, anche quando rivedrò e abbraccerò le persone della mia vita. Soprattutto, quando sarò di nuovo al tremendo bivio. Mentre qui resterà il silenzio, resteranno gli ulivi, radicati al suolo, contro ogni avversità, resteranno i gatti, le rane, il profumo della terra, l’unica cosa che conta davvero.

Non saprei dire come ci sono arrivata… Ah, sì, un brano che mi è piaciuto su Spotify ricercato su Youtube, ecco, sì: ho scoperto un album intero. Ogni brano una perla, ma lui da pelle d’oca profondissima, da emozione suadente: The Shadow of Your Smile, The Oscar Peterson Trio & The Singers Unlimited:

Now when I remember spring
All the joy that love can bring
I will be remembering
The shadow of your smile

 

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!