Marzo è un mese complicato, un mese lungo. In mezzo ci sono l’arrivo di una nuova stagione, il risveglio primaverile della natura e delle giornate, l’ora legale, la luminosità che prende spazio nei ritmi quotidiani che ormai eravamo abituati a chiudere con il buio del tardo pomeriggio. Per questo, e per le varie congiunture del caso, marzo è stato un mese molto complicato, e molto lungo.

Il che non vuol dire che non sia stato un mese altrettanto intensamente vissuto e ricco di cose. Cose di ogni tipo, a partire dalle tantissime mostre ed eventi che per Mentelocale ho avuto il piacere di seguire: l’arrivo di alcuni reperti originali del Titanic a Torino, l’apertura della mostra sul Futurismo e di quella dedicata ai Colori, ma anche l’annuncio delle nuove Ogr, il nuovo Sottodiciotto e la quinta edizione di Fringe, il festival di teatro tutto ideato da giovani che ho la fortuna di seguire da quando è nato in via del tutto sperimentale, nel 2013. E poi, neanche a dirlo, l’intervista a Giuseppe Culicchia per il nuovo libro, Essere Nanni Moretti.

Tra le cose che più mi hanno colpita, però, c’è una mostra singolare, in uno dei primi giorni di sole primaverile che il mese di marzo ci ha regalato qui a Torino, ed è la mostra dedicata alla Missione Archeologica Italiana condotta da Schiaparelli ai primi del Novecento. È un percorso che, come facile intuire, è stato allestito al Museo Egizio, istituzione di cui con immenso piacere ho riscoperto la centralità e la forza. Entrare nel tempio dell’antica civiltà mediterranea ed esplorare l’universo dell’archeologia primo-novecestesca alla Indiana Jones mi ha regalato un respiro antico, profondo, che scava nella storia dell’umanità e ripesca nella mia storia personale tutto un insieme di nozioni, pensieri e attitudini coltivate nei cinque anni del liceo classico e nel mondo dei sogni avventurosi. Non voglio fare la solita retorica, ma è davvero così: il fascino dell’esploratore e il mondo classico sono un po’ casa mia, le coordinate in cui mi sono sempre mossa e da cui sento di aver imparato, complice anche una professoressa di storia dell’arte già archeologa e innamorata della propria disciplina di elezione.

Questo ripescare radici lontane è stato un sentimento non focalizzato sulla mia visita al Museo Egizio, si è dilatato anche grazie al libro di Andrea Marcolongo: La lingua geniale: 9 ragioni per amare il greco, di cui spero di parlarvi presto sul blog. È un testo che reputo importante, ricco, bello, da leggere e rileggere, tenendone sempre estratti pronti all’uso, giusto per solleticare la mente a tornare sui suoi passi, sempre là, in quei cinque anni di liceo classico che sempre più capisco essere stati determinanti per la mia attuale forma mentis.

Penso che, senza quell’impronta del mondo data dalle tantissime versioni, atti di traduzione e traghettamento di sensi, forse non sarei qui oggi, a scrivere su un blog alternando questa attività alla scrittura che mi accompagna tutti i giorni, quella giornalistica. Marzo è stato un mese di messa a punto per il mio lavoro: progetti da ridefinire, strumenti da imparare, e grazie a un manuale che, come il libro della Marcolongo, tengo ancora sulla scrivania e ho infarcito di appunti e note, il processo è stato più semplice, pieno di (ri)scoperte e perfino divertente, animato da costante curiosità. Il libro è Social Media Journalism: strategie e strumenti per creatori di contenuti e news, della giornalista Barbara Sgarzi, che non smetto ancora di ringraziare: da un mese – marzo, appunto – sto facendo la giornalista in modo diverso sui social network che ormai competono per forza di cose a una delle testate con cui collaboro. Scoprire cose nuove è sempre appagante.

Altra ghiotta occasione di scoperta e arricchimento è stato il corso di scrittura che ho seguito alla Libreria Mondadori di Imperia con Sara Rattaro. Una giornata di approfondimento sull’arte di scrivere, arrivata nel giorno in cui un mio racconto è stato addirittura selezionato tra i vincitori del concorso di BookPride Milano. Una giornata che ha portato anche nuove conoscenze e forse cose future, ribadendo l’idea che in libreria davvero accadono cose fantastiche. Del resto ve l’ho raccontato qui attraverso un post che ha avuto un successo eclatante: anche le librerie rinascono, e puntano a storie future ancora da raccontare. Succede alla Libreria Ragazzi di Imperia, che riapre in una pasticceria mentre scopro con tristezza che un’altra libreria, storica peraltro, “La Mauriziana” di Imperia, chiuderà presto i battenti per colpa del mix letale tasse-crisi-grande distribuzione-concorrenza web.

Avere uno sguardo cosciente e consapevole sui processi che riguardano la propria attività lavorativa è importante, e allora perché non approfittare di una bella occasione offerta dall’Università di Torino? Per tuto marzo (in realtà era iniziato già a fine febbraio) si è snodato un corso di storia dell’editoria tenuto da Walter Barberis che, oltre a essere il direttore di Einaudi, è anche docente di storia nell’Ateneo Torinese. Lo vedete e sentite nel video realizzato da UniTo che vi posto qua sopra: Barberis è una persona gradevolissima, se vi capitasse un incontro in sua compagnia per parlare di libri, approfittatene! Chi mi segue anche su Facebook saprà che il tema dell’editoria mi appassiona e mi sta a cuore. Dunque, essendo il corso costituito da incontri con tanti e diversi personaggi del mondo editoriale italiano, l’occasione si è rivelata ghiotta per saperne di più. In modo spesso rocambolesco e facendo corse e salti, sono riuscita a seguire tutte le lezioni salvo una, quella sulla traduzione (il che mi ha dato poca preoccupazione avendo io approfondito il tema durante gli studi e avendo avuto come relatrice di tesi triennale una traduttrice Einaudi).

Secondo il motto che “se non vai, non vedi e non sai” (cit. il mio amico D.D.) , il parere che mi sono fatta dopo questa grande e varia carrellata (trovate la lista completa degli ospiti qui) è che quello dell’editoria è un gran bel guazzabuglio, nel quale a un ideale universale e culturale alto, che accomuna anime romantiche e librofili, si contrappone un più oscuro e mellifluo realismo cinico a matrice economica. Mi direte: è normale. È del tutto legittimo laddove l’editoria è a tutti gli effetti un’impresa che punta al profitto. Lo vivo tutti i giorni: la pagnotta va portata a casa in qualche modo, e per farlo non bastano le idee, serve anche un ragionamento spietatamente realistico tratto da analisi di mercato, bilanci e via dicendo. Ebbene, a suon di incontri, dall’ufficio stampa (ve ne avevo parlato qui per altre ragioni), all’iconografia, all’editor di straniera fino ai grandi uomini di “potere” che dirigono le parti aziendali meno attaccate alla scelta dei libri e più ai flussi economici, le parole chiave sono state un paio, determinanti.

La prima: lettori. Tutti i relatori, nessuno escluso, hanno portato il dato allarmante sul numero dei lettori in Italia, bassissimo e desolante. La seconda: fortuna, casualità. Sembrerà assurdo, ma una delle frasi che più ho sentito ripetere è stata “mi sono trovato a lavorare in editoria per caso”. Professionisti in Einaudi da anni che hanno lauree in materie scientifiche, in economia, a confermare sì la necessità di competenze trasversali, ma ad avvisare anche che, come se già non lo avessi inteso a 7 anni dalla laurea, non esiste un percorso unico, in questo paese, che ti accompagni dagli studi al mondo dell’editoria. Se ci entri, capita: per caso, per intrecci del destino. Assai raramente per volontà, vedi parola chiave numero 1, che rielaborata in ottica di mercato significa che c’è e che permane la crisi. Non si legge, non si vendono libri, fare libri è sempre più una scommessa, che richiede oggi competenze altissime e che restituisce tanto stress.

Sentire Barberis annunciare che, dopo il servizio miliare, fu assunto in Einaudi con contratto a tempo indeterminato è una delle cose che più mi hanno fatto male. Cerco di chiarire: conosco un pochino il mondo editoriale per i tanti corsi che ho seguito e seguo (e che hanno la fondamentale utilità di far cassa agli editori che li propongono, non certo di preparare gente da assumere. Altrimenti non sarei qui a raccontarlo ma lavorerei in una casa editrice), e so quindi che, vista la crisi, si tratta di un mondo in caduta libera, precario quasi come quello del giornalismo, in cui tengo l’altra staffa del traballante destriero su cui galoppa la mia carriera professionale. Nella realtà odierna è praticamente impossibile entrare 1) in una casa editrice 2) farlo a contratto a tempo indeterminato. Sentire qualcuno raccontare di una modalità di accesso così libera e, forse, scontata per i tempi che sono stati, mi ferisce perché colgo il distacco enorme tra quell’epoca e l’oggi. E soprattutto colgo la differenza di approccio, di stato d’animo. Barberis (dico lui, ma vale anche per tutti gli altri personaggi transitati al corso e per chiunque abbia un contratto stabile in editoria) era un ragazzo di 20 anni che arrivava a un posto sicuro in un luogo di lavoro ambito e amato e non aveva bisogno di pensare ad altro, non vedeva i suoi pensieri quotidiani inquinati da ansie, angosce, sensi di colpa verso i genitori che lo mantenevano perché non ne aveva la forza economica, e non certo per colpa sua. Oggi sarebbe impossibile.

Oggi si continuano a fare corsi di formazione per implementare competenze ulteriori a quelle universitarie, che non bastano in un mondo impazzito dove la comunicazione ha la leva sulla velocità massima e i mezzi cambiano di continuo, dove si è spietati tra nemici e persino tra amici perché la crisi morde, dove vince il cinismo di chi non riesce a fare (solo) quello che ama, perché quello che ama è gratuito o pagato pochissimo, tanto da non figurare come lavoro, ma come hobby, passatempo coltivato (a fatica) mentre di lavoro si fa altro. Questo nodo, enorme e schiacciante, è alla base di tutto. Di tutto il malfunzionamento, le brutture, il cinismo, i rifiuti, lo snobismo di alcuni e le lacrime di altri. È un sentimento che la mia amica del blog “Caduta fuori dal tempo” ha ben descritto in questo post, che vi linko, convinta che sia importante leggerlo e rileggerlo per prendere consapevolezza di come stiamo noi trentenni con lavori precari, oggi.

Sono consapevolezze che buttano un po’ giù. Sì, a marzo c’è stato anche questo: un saturno contro, una serie di piccole e inconsistenti sfortune che, giorno dopo giorno, hanno formato bolle di negatività dalle pareti spesse e soffocanti. Succede, fa parte del gioco. Quando da fuori arrivano frecce e fanno sanguinare il sogno e la serenità che lo alimenta e gli dà speranza di crescita, quando le assurdità di un sistema intessuto di preferenze e servilismi si schiantano contro la buona fede e innescano una reazione stupida ma feroce di disistima, quando il sole stenta a riuscire, marzo si allunga e non sembra arrivare più la primavera. E invece, poi, un pomeriggio ti affretti verso l’autobus e il marciapiede emana calore, gli alberi svettano verdi e rosa di fiori. La primavera è arrivata, ritrovano un senso letture sognanti e piene di speranza come La locanda dell’ultima solitudine (anche questa presto sul sito), danno nuova linfa saggi come Lettera ai disperati sulla primavera del mio conterraneo Giuseppe Conte. Progetti annotati su post-it ritrovano il sorriso e facendo l’occhiolino invitano a essere ripresi in mano. Presto sarà aprile: primavera confermata, spazio per un po’ di vacanza e riposo mentale dopo la traghettata impegnativa dall’inverno alla nuova stagione.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!