Se dico che questo libro mi è arrivato per caso, non dico una bugia. Ero a lezione di Storia dell’editoria dal prof. Barberis, a Torino. Si tratta di un corso che seguo anche se non sono più studente perché, per il suo secondo modulo, è costruito su lezioni-incontri con i grandi nomi dell’editoria italiana, ciascuna dedicata a un tema e ciascuna costruita a partire dalla testimonianza e dal racconto di qualcuno che in editoria – e spesso nella grande editoria – ci lavora. Quel giorno si parlava di pubblishing, l’ospite era Paola Novarese, ufficio stampa di Einaudi. Una persona di una pacatezza e gentilezza da non credere, che oltre ad aver spiegato nei dettagli in cosa consista il proprio ruolo all’interno della grande macchina della comunicazione in Einaudi, ha incoraggiato gli studenti assicurandoli che chi esce da una facoltà umanistica ha capacità più spiccate di problem solving, e a fine lezione ha tirato su una borsa di Mary Poppins piena di libri dicendo “questi sono per voi”. Libri, libri nuovi usciti da poco per Einaudi. Gratuiti. Lì, sparsi sulla cattedra. Logico: gli studenti si sono riversati in massa. A me, che sono arrivata per ultima, defilata, non volendo dare a vedere quanta smodata voglia di tuffarmi su quella cattedra avessi, era rimasta poca scelta, tre o quattro volumi. Uno era proprio a portata di mano, e l’ho afferrato prima che altri me lo portassero via (la foga convulsa del lettore di fronte ai libri gratis, la chiamano anche). La felicità è una storia semplice, Lorenza Gentile. Copertina bianca, formato Stile Libero big, un’iguana rosa in copertina. La biografia parlava di un’autrice classe 1988 al suo secondo romanzo e dopo aver recensito per tre anni libri di giovani su Artintime, non me lo potevo davvero perdere. Mio! La felicità, a quel punto, è stata davvero una storia semplice.

Ma veniamo al romanzo in sé. Il protagonista è Vito Baiocchi, che altro non è se non quello che chiameremmo inetto, oppure fallito, visto che ai suoi occhi la disistima e l’inutilità sono così estreme che nella prima scena, quella in cui lo conosciamo, sta allestendo il proprio suicidio. Purtroppo, anzi per fortuna, gli va male anche questa: pronto per impiccarsi in casa, a Londra, dove vive, riceve una telefonata dalla nonna che abita a Milano e che lo esorta ad accompagnarla in quello che sarà il viaggio leit-motiv del romanzo. Come nella teoria proppiana, c’è un fine ultimo, ed è quello visualizzato dalla nonna di arrivare a Gibellina, paese siciliano distrutto dal terremoto e ora, come la nonna spiega a Vito, ricostruito. Suo malgrado, Baiocchi si fa convincere, e segue l’anziana nonna in un percorso a tappe che attraversa tutto lo Stivale: Firenze, Roma, Napoli, Palermo. Lungo il viaggio, sorprese, ostacoli e soluzioni per cercare di imparare ad affrontare la vita nelle sue curve e, finalmente, maturare.

Insomma, si tratta di una sorta di favola moderna, che parte in toni surreali, con una prova malriuscita di suicidio e un’iguana, Calipso, quella che svetta in copertina, e che a suon di prove lungo il cammino si risolve circolarmente restituendoci un eroe rigenerato, cambiato e in possesso di nuove idee e soluzioni sulla vita e sui modi per viverla al meglio. Sarà per questa forma, molto scandita e canonica, o per il tono, leggero e a tratti surreale, ma questo romanzo ha qualcosa della favola, qualcosa che me lo ha subito fatto percepire come distante da una storia di realtà, e piuttosto, invece, come un racconto metaforico, che aveva l’intenzione di raccontare qualcosa sul mondo e i suoi abitanti.

L’elemento che più sterza verso il favolistico sono le coincidenze: numerose, insistite, assurde, a rendere perfettamente lo stralunato (così è chiamato in quarta di copertina) mondo di Vito Baiocchi e della nonna ottuagenaria, bizzarro personaggio a cui la soluzione – e la comprensione – troverà ovviamente una quadra solo a fine storia. Del resto in una favola tutto, alla fine, si mette a posto nel migliore degli happy ending, e non potrebbe sottrarsi alla regola in una storia che, fin dal titolo, avvisa sul fatto che la felicità sta nelle piccole cose, che è, per l’appunto, una storia semplice.

Tuttavia, se la struttura del romanzo è chiara, così come il fatto che si tratta di una sorta di gioco, del racconto intorno a una morale, anzi a un consiglio, su come affrontare la vita, ammetto che il romanzo non mi ha colpita troppo. Gusti personali, non c’è dubbio, anche perché il libro dichiara da sé fin dalle prime pagine la sua matrice a tratti surreale e romanzesca. Deve essere stato lì, nella dichiarata essenza di fiction che contiene, che ho perso fiducia e curiosità in una storia letta in tre ore su un treno. Mi ha fatto l’effetto di storia debole, come se il viaggio che vi si narra all’interno, e i personaggi, complessi e a loro modo ricchi, danzassero tra le pagine sfiorandone la superficie, solo per veicolare il messaggio che basta poco per essere felici, e che la vita alle volte va affrontata a testa alta, anche se non sappiamo dove e come raccapezzarci.

Un po’ di delusione mi è rimasta, vista la semplicità e gratuità con cui sono venuta a conoscenza del libro. Però voglio dare ancora chance all’autrice, che è al secondo romanzo dopo un primo che non ho letto e della quale, una volta affrontata questa storia, sono curiosa di conoscere il tono e la trama. Resta infatti indubbio che la scrittura di Lorenza Gentile è snella e agile, si beve d’un fiato e non lascia mai spazio a inceppamenti. Per qualche strana ragione, la felicità è una storia semplice, ma per raggiungerla mi piace sempre fare il giro largo…

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!