Febbraio è arrivato e se ne è andato nelle sue quattro settimane nette e pulite. Assaggi di primavera, pioggerelline, vento gelido dalla Siberia e neve. Come un mese al contrario, che invece di traghettarti fuori dall’inverno ti stravolge i piani e ti trascina ancora dentro al freddo, quello intenso, quello da tapparti in casa anche se alle sei c’è ancora chiaro e la mente si deve scontrare con il paradosso. Un falso amico, questo febbraio: corto, pieno di musica, di visi, tasti e parole, viaggi e ribaltoni. Un invito a concentrarsi sull’oggi, che tanto domani chissà, forse nevica, anche se è quasi primavera.

È iniziato con grosse aspettative questo febbraio – e in effetti, in mezzo, è successo un po’ di tutto – però ad aprire questo sito i post sono solo tre, e con dispiacere nessuno che parli – nello specifico – di libri. Però i libri ci sono eccome, anzi, hanno dato vita a due degli scritti più belli e più seguiti che A contrainte abbia mai registrato. Sono racconti, non li definirei articoli né recensioni né interviste. No, racconti di incontri, piuttosto. E sono entrambi incontri che hanno il pregio o la casualità, o forse l’ardire di essere capitati quasi per caso, o meglio per una gran dose di caso, a cui ho osato dare una spinta, con il pensiero che ogni tanto le cose sembrerebbero impossibili, però se ci si trova in mezzo, se si sta sul pezzo, bisogna approfittarne.

La prima di queste storie riguarda Fabio Genovesi e il suo libro bellissimo Il mare dove non si tocca, di cui non dispero di trovare il tempo per parlare su queste lande del web. Con questo romanzo si torna al mare di Chi manda le onde, in tutti i sensi: c’è in copertina, c’è dentro, e c’è intorno: è il mare di Cervo, dove in effetti Fabio Genovesi è arrivato una domenica di febbraio. Il racconto di quell’incontro pazzesco ve lo facevo qui, e mi sembra, ora che lo ripesco dalla memoria, una cosa così lontana ed eterea nel tempo che non sembrano passati venti giorni, ma un anno intero.

Ancora prima di Fabio Genovesi, un sabato di febbraio mi ero avventurata a scoprire una libreria nuova di Imperia, L’Armadilla, sia per costringermi ad andare in una zona della città che solitamente non frequento, e così vedere questo posto, sia perché sarebbe stata la scusa perfetta per dare il la al Progetto Nonostante. Ho conosciuto la libraia, raccolto una storia, e l’ho conservata mentre i fatti mi scorrevano addosso. Quel che ne è uscito è un esperimento, il primo di una serie che spero di riuscire a portare a termine – la missione che mi sono data, per ora, copre il 2018 – e devo dire, dai risultati, commenti, condivisioni e coinvolgimenti, che ha avuto parecchio successo. È stato strano notare come un’onda di incastri e coincidenze da non credere abbia accompagnato questa storia, per poi travolgerla quasi, e restituire un’altra onda sotto forma di tantissime persone che hanno scoperto il mio sito, questa roba che scrivo, e che mi hanno fatto i complimenti, specificando più volte “mi piace come scrivi”.

Ecco, questo mi dà una grande responsabilità, perché sì che scrivo tutto il giorno, scrivo da anni, scrivo in mille contesti diversi e so di cavarmela meglio di altre persone meno versatili su questo tipo di attività. Ma qui sopra scrivo più “da me”, senza troppo pensare a filtri, target, fregandomene altamente del SEO di google e delle regole di 5w o piramidi rovesciate. Scrivo più “narrativamente”, che è una cosa mai scontata, e una cosa che sempre più vorrei fare bene, non dico sistematicamente – non perché sia una seguace dell’ispirazione momentanea e fugace, ma perché è una delle attività che richiedono più serenità e concentrazione al mondo, e questi due ingredienti al momento mi mancano -, ma almeno credendoci e impegnandomi un po’ di più. L’occasione me la forniscono diversi concorsini e piccoli contest, ad alcuni dei quali ho lavorato in questo mese, e un collettivo che sto frequentando a Torino e che si chiama come il mostro di Terra di Stefano Benni (che io abbia letto Terra, lo abbia infilato nella Billy bianca che trasloca con me dal 2013, e lo abbia poi perso, è un’altra storia, che riaffiora nei miei pensieri ogni volta che nomino questo romanzo): Pintecaboru. Incontro dopo incontro si conosce gente, si individuano idee, percorsi, e finisce che ci si ritrova anche alla conferenza stampa di presentazione del Salone del Libro di Torino 2018.

Il Salone mi fornisce lo spunto per commentare ancora altri aspetti di febbraio. Il titolo-tema dell’edizione che sarà è infatti Un giorno, tutto questo. Fa molto Lion King, fa molto punto di osservazione alto, una finestra sui tetti, lo sguardo che scorre ad abbracciare tutto quello che si distende, sotto, oppure prima, indietro. E forse, finalmente, capisce. Forse riesce a farsi un’idea di quello che sarà, un giorno, tutto questo. Tutto questo è il solito improvvisare ogni giorno, telefonare, sentire gente che fa cose e altre me ne racconta, passare dallo scrivere un testo promozionale per un tool sulle fatture elettroniche a un’intervista su una pista ciclabile, al dialogo con un cake designer mentre al piano di sopra continuano a trapanare. Presentare un libro a Cervo, e mentre si è lì sul palco con il microfono realizzare che l’autrice è una professionista che fa il tuo mestiere, e qualcuno ti ha dato fiducia perché tu fossi lì (per i curiosi: il libro è Un’imprevedibile situazione, di Donatella Alfonso, ed eravamo alla rassegna Cervo in blu d’inchiostro).  E raccogliere le arance dell’albero pensando di volerci fare la marmellata, ma essere distratti dalla cosa da scrivere, l’appunto da prendere, Montalbano da guardare in tv (e quelli sono sempre bei momenti), la recensione da pensare, organizzare, scrivere, che poi passa il momento, il tempo. Fino alle cene con gli amici da incastrare, tanto che per 4 sere di fila ti trovi a mangiare fuori: pesce, arrosticini, aperitivo al volo aspettando un bus sconosciuto con un tiramisù monoporzione in mano, pizza con sceneggiatori Disney che ogni tanto azzanni la fetta e pensi “ma davvero”?, e un carosello vario e composito di persone.

Mi lamento? Come potrei: a febbraio c’è stato il Festival di Sanremo, e quello, come carosello, è molto più tosto di una classica settimana normale. È stato bello, faticoso, divertente, stressante e propulsivo, ho avuto nervoso ansia, sonno, curiosità e mi sono sentita al posto giusto e con il lavoro giusto. Ho scritto tantissimo, e fatto tantissime foto, ho seguito streaming con un arnese costruito grazie a creatività e nodi marinari, coordinato, intervistato, conosciuto e incontrato. Ho bevuto caffè e fatto bagni di folla, visto cantanti e Alba Parietti che si faceva i capelli con la piastra al bar. Ho indossato ogni giorno fiori freschi e profumati appuntati sulla maglia, e stretto mani e fatto selfie con colleghi, respirato spirito di squadra, votato per il Premio della Critica Mia Martini, seguito le prove all’Ariston del lunedì ascoltando le canzoni in anteprima. Sono stata al Club Tenco, al Forte di Santa Tecla per vedere la Tim Data Room, e ho improvvisato dialoghi con esperti in materia e in giacca e cravatta mentre dal mio giubbotto fradicio di pioggia ribattevo usando la semiotica. Ho avuto due vicine di scrivania fantastiche, che hanno reso più personale e sorridente l’avventura, e poi ho avuto una scrivania, che non è affatto un dettaglio banale, ma il piano di lavoro che ha permesso di poter fare tutto il resto, o quasi. Insomma, come ogni anno Sanremo si è confermato un banco di prova tosto ma felice, dove – ancora e sempre – imparare tantissimo per il mio lavoro, osservando i colleghi, vedendo, seguendo, sforzandosi e improvvisando anche.

Dai tetti del Teatro Ariston, dove c’è la mitica sala stampa roof, sede di una mia intera settimana di lavoro, vedevo il mare, elemento che avrei voluto considerare di più, ma che è rimasto sullo sfondo, sfumato dal tempo. Mi dispiace pensare che a febbraio se ne sia andato Folco Quilici, che del mare era uno dei narratori più famosi e appassionati. Ma il mare l’ho per fortuna ritrovato tra i libri, soprattutto uno, il viaggio che ha acceso la fantasia e gonfiato le vele della mia immaginazione: Atlante delle isole del Mediterraneo, di Simone Perotti, di cui ho parlato su Lucialibri. È un invito a raggiungere fazzoletti di terra che però terra non sono, ma solo approdi, per l’anima e il cuore, momentanei e forse a volte nemmeno reali.

Una mattina di febbraio mi sono alzata presto e per farmi compagnia ho acceso la tv, dove andavano in rotazione meteo e oroscopo. Sagittario, dicevano le stelle: “vi guardate allo specchio e scoprite di non essere più gli stessi. La soluzione è a portata di mano: tuta, jogging e determinazione”. Quello stesso giorno i piani di vita mi si sono di nuovo scombinati, eppure siamo qui, con il freno a mano che a volte è un po’ tirato, non si sa mai, misure di sicurezza, ma con lo sguardo che inizia a sollevarsi su una montagna di esperienze, storie, persone, incontri e frammenti di un quadro più grande che non si vede ancora, ma forse già c’è.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!