Ho letto l’ultimo Montalbano- Il cuoco dell’Alcyon –  passato da poco quel 17 luglio nero, quello in cui Andrea Camilleri si è spento, lasciandoci soli senza più la sua energia pazzesca e la sua straordinaria capacità di narratore. C’è una pagina bellissima, in quel Montalbano, anzi ce ne sono diverse che, come sempre, contribuiscono a estendere l’amore infinito per questo personaggio, per il suo autore, per la loro comunione di menti, pensieri, immagini, battute. Eccone qualche riga, simbolica, se letta dopo il 17 luglio: non ci si vede, la luna sparisce rapita da un’eclisse, e Montalbano si sente perso, tutto si immobilizza mentre lui cerca di capire. È scomparsa la luna, è scomparsa una luce:

Arrivò a ripa di mari.
La risacca c’era, ma era come se non ci fusse. L’acqua ‘nfatti si cataminava accussì a lento e a leggio che non faciva nisciuna rumorata.
Ci si vidiva sempri di meno.
Dù granci, di quelli che usano stare ammucciati sutta alla rina, ora nni stavano ‘mmobili allo scoperto, l’uno allato all’autro, come a darisi reciproco coraggio.
Pariva che ogni cosa si fusse firmata aspittanno la scomparsa della luna.

Cantastorie è la definizione che Camilleri stesso dava di sé, diceva che avrebbe voluto morire così, raccontando storie. Cantastorie è la parola con cui iniziava un file di appunti che tengo sul desktop da mesi, da molto prima che Camilleri stesse male e se ne andasse. Perché lo scorso inverno, nel giro di qualche settimana, si sono sovrapposti insieme gli ultimi episodi della fiction su Montalbano in tv, la trasmissione su RaiUno di Conversazione su Tiresia, lo spettacolo di e con Camilleri andato in scena nell’estate 2018 al Teatro greco di Siracusa, e la mia lettura del testo di Gianfranco Marrone Storia di Montalbano. Molti spunti, molte idee, molti appunti. Abbandonati in questa nuvola di pixel mentre, poco più in là, sul comodino andava formandosi una pila di libri, tra cui Km123 e Il cuoco dell’Alcyon, uno giallo celebrativo della collana Mondadori, l’altro ultimo Montalbano, la classica uscita estiva che mi riservo per un sabato di crogiolamento al mare.

A tenere cose lì, senza scriverle o leggerle, si finisce per restare beffati. E adesso cosa me ne faccio di tutto questo materiale? Come lo rimetto in forma? Non lo so, e allora ho deciso che metto il pilota automatico alle dita e provo a raccontarne qualcosa qui, partendo proprio da quel cantastorie e da quella luna ingoiata dall’eclisse, che in fondo non è altro che l’immagine immortale, da Omero in avanti, di qualcuno che racconta davanti a un pubblico, qualcuno che ha perso la vista, eppure ci vede benissimo, forse meglio di prima. Che tenerezza, questa immagine, quanta emozione, ripensando al giorno in cui, a ottobre 2017, ho visto dal vivo Camilleri a Milano, già non vendente, e che su questa mancanza della vista faceva ironia. Ci aveva salutato – un applauso scrosciante, lunghissimo, in sala al Teatro Parenti – facendo ciao con le mani, augurandosi di rivederci tra cento anni. Io non lo so se ci rivedremo, ma sono convinta che quest’uomo abbia avuto nella vita il dono grande, immenso, bellissimo, di saper narrare. Raccontare storie, proprio come da Omero in avanti.

Il narratore capace sarà colui che saprà inventare storie avvincenti, in grado di conquistare un pubblico, coinvolgerlo e forse far persino dimenticare lo spazio e il tempo del presente per proiettarlo nei tempi e spazi della storia. A me, con Montalbano, accade così. È un amico, il commissario, e con lui la sua squadra, Mimì, il mitico Fazio, poliziotto di fiuto e fiducia, Catarella, Pasquano, Livia, Ingrid. Insomma, un mondo fantastico che vive in una città inesistente – Vigàta – e che pure ogni volta mi strappa al mio mondo e mi trascina nella carta e nell’inchiostro.

Di questo parla proprio il testo di Marrone di cui dicevo sopra: effetti testuali. Per ogni semiotico, pane quotidiano. Effetti testuali che, con particolare attenzione proprio a Montalbano, si estendono dai romanzi alla tv, passando per un’infinità di altre testualità che da questa sorta di elevazione al quadrato sono scaturite. L’effetto Montalbano, quel che si è generato dall’immenso successo del personaggio, che lo ha portato in tv e che, dallo schermo, ha generato una sorta di ripiegamento indietro, bussando alla scrivania dello stesso Camilleri, influenzando i suoi successivi romanzi. Quanto, alla luce di queste considerazioni, influenzerà quel che leggeremo e vedremo su Montalbano? Quanto la storia dell’autore e delle sue opere si è ripiegata come un nastro di Moebius e non sappiamo, non capiamo più dove stiano i confini tra scrittore e pagina?

In parte si tratta proprio dello straordinario potere di un cantastorie profondo e ironico come Camilleri, che di questo ripiegamento semiotico era ben consapevole. Pare che l’ultimo Montalbano giochi proprio su questo cortocircuito. Ma di questo non mi va di parlare, piuttosto restiamo sul tema del gioco, che Camilleri amava. Anche lo spettacolo su Tiresia in fondo è stato un gioco, un grandioso e potentissimo mettersi alla prova, a 90 anni suonati, cieco e solo su un palco dalla storia antica. Antica come la Grecia: non a caso, infatti, il protagonista è Tiresia. Un personaggio – e ancora una volta Camilleri si diverte un mondo con la semiotica e gli effetti testuali – via via utilizzato da Sofocle, Euripide, per secoli mutuato da autori in poemi, saggi, romanzi, opere teatrali fino al Novecento, in un rimbalzare pirandelliano. E si sa che Pirandello è un altro caposaldo di Camilleri, i suoi lettori lo sanno bene.

Tiresia come un personaggio, quindi, una marionetta – un pupo – che ogni volta viene rimaneggiato. “Tiresia sono”, esordiva così Camilleri: due parole e un mondo interstestuale enorme. Che potere fantastico, le storie e gli scrittori grandi così. È subito gioco metatestuale: il mio personaggio è stato sul palco – diceva Camilleri – ma era l’attore che mi impersonava, mentre io Tiresia questa sera sono qui “di pirsona pirsonalmente”. Montalbano che torna e ritorna, Montalbano come una creatura ormai svincolata dalle pagine. A cosa ha dato vita, quest’uomo? A qualcosa di potentissimo.

Eppure, all’inizio, erano solo “gialli”, romanzi polizieschi figli della tradizione di Sciascia e dello sceneggiato tv. Gialli molto ben articolati, tra mafia, giustizia, ricerca della verità, come ben esamina Marrone nella sua attenta analisi attraverso il corpus dei film, tratti a loro volta dai romanzi. Camilleri è stato anche un giallista, faro per la collana blu Sellerio, ma con curiose incursioni anche altrove. Per esempio in quest’ultimo giallo Mondadori, celebrativo proprio della collana, Km123, un romanzo in cui non c’è una riga, ma una sola, di narrazione, tutto si svolge per dialoghi, mail, messaggini. E la soluzione, neanche a dirlo, ha del geniale.

Si respira tutto il Camilleri sceneggiatore in questa piccola opera, frutto di una grande competenza e di una lunga, sterminata carriera. Ascoltate, oppure leggete, il testo di Conversazione su Tiresia, notate i riferimenti letterari e teatrali incrociati, fino alla ribalta del Novecento: Pavese, Levi, cito solo due tra gli autori che ho a cuore. Li aveva a cuore anche Camilleri, insieme a tanti altri.

“A settembre compirò 93 anni: sono tanti – diceva uscendo di scena – ho scritto più di 100 romanzi, un mio personaggio, Montalbano, percorre felicemente il mondo. Poteva bastarmi? A 90 anni, cieco, mi è venuta la  curiosità di capire, di intuire anzi cosa sia l’eternità, che sento così vicina. Ho pensato che attraverso il teatro sarei riuscito ad averne un’intuizione”. Quanto mi emoziono, rileggendo queste parole. Sono così belle che le ho sentite leggere pochi giorni dopo il 17 luglio all’apertura di una presentazione, e così ho voluto replicarle alla mia presentazione, quella del mio libro, il 26 luglio, non erano nemmeno passati dieci giorni dall’uscita di scena – mi piace pensarla così – di Camilleri.

Avevo paura di leggere Montalbano dopo quella data, di pensarlo senza più il suo autore, la sua voce, il suo cantastorie. L’ho iniziato con ansia, ma sono bastate due righe, solo due, per sentirmi ancora una volta presa per la mano, trascinata dentro quel mondo. Avvolta da suoni, coloriture della parlata, situazioni e problemi, visioni e profumi, da Enzo alla veranda di Marinella. Quella meravigliosa verandina sul mare. Al mare mi sono portata Montalbano, il rito di una lettura emotivamente difficile e un luogo accogliente, che tanto piaceva anche a Camilleri. Più che un luogo, uno stato d’animo, che ogni volta incontra le molle interne di Montalbano, e che ho imparato ad amare anche attraverso le sue storie, attraverso le parole di Andrea Camilleri. È lui che ne La piramide di fango scrive

Si nni ristò a occhi ‘nsirrati, ascutanno lo scruscio del mari. Che, carmo o arraggiato che fusse, gli dava sempri piaciri.

Ecco, quel piacere della lettura, di un amico ritrovato, era ancora tra le pagine del Maestro, e lì sempre resterà, per tutti noi. Questo un po’ mi rassicura, mi accarezza e mi coccola, nonostante la mancanza enorme.

Grazie, cantastorie, per sempre grazie.  

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!