Settembre, se mai è esistito, è stato un cronometro, di quelli di precisione. Settimane scandite, lunedì, venerdì: ritmo del lavoro, marcia del treno sui binari, pagine di agenda, liste da cancellare voce dopo voce, di corsa, non perdere il passo, prevedere e guardare un poco indietro. E così è trascorso un intero mese, 30 giorni come non averli percepiti, o come averli percepiti fin troppo, e allora essersi difesi, un ombrello aperto, a riparare dai brutti pensieri, dallo scoraggiamento, dalla fatica e dalla stanchezza. Soprattutto, dalla miopia totalizzante di una situazione che, volente o nolente – non credo sia colpa mia – è paralizzante: nessun passo avanti, perché avanti c’è il buio totale, l’indistinto del futuro. Ma… E se… No: presente, dilatato e atomico presente fatto di ore davanti a questo schermo, a strizzare quei poveri occhi che poi, non li invidio, si spostano poco più in là e lavorano sulla carta bianca, decifrano lettere di inchiostro nero. E sono stanchi, come il cervello che li guida. Stanchi da morire, tra pile di arretrati e un senso di resa agli impegni e alle liste.

Settembre è nato che era già stanco: alcuna voglia di ripartire, l’estate che si riaffacciava nella sua ombra finta, ormai esaurita nello spirito, nonostante le giornate di sole. Mese di preoccupazioni, ospedali, programmi saltati. Mese di tentativi inceppati, di rincorse esaurite sul ciglio del niente. Mese inutile, di ricordi e malinconie, di dolori e mostri, di sorrisi per aggrapparsi e resistere.

E allora cercherò di ritrovarli, i sorrisi: uno po’ di spazio per il bello si trova sempre, è solo in quantità minore, e minore è quindi la presa che ha sullo slancio a procedere in questa miopia. Settembre è iniziato con una sera a casa degli amici di sempre, un senso di familiarità che consola e fa stare tranquilli anche se sull’orizzonte c’è la ripartenza, e la ripartenza, si sa, è dura. Mi ha dato l’impressione, questo terreno di stabile, di poter stare tutto sommato tranquilla, affidarmi alle radici, da qualche parte la chioma arriverà, e in caso di scottature, si può sempre tornare indietro.

Così siamo partiti, a poco a poco. Tornando sempre. Come sono tornate le vele d’epoca e la prima edizione senza me all’ufficio stampa, lo straniante camminare nella consueta banchina affollata, tra le consuete cime e il caotico girovagare di velisti, sacche, tele e ottoni lucidi. Sguardi che avrei creduto rinnovati, ma invece visioni di sempre, gonfie di malinconia per le situazioni che sono state, i visi, la squadra, il caldo e le difficoltà trasformate in attimi di goliardia e sipari che conservo con gioia. Il vento è cambiato, non sarà più come prima ma chissà cosa arriverà domani. Intanto il sole dei giorni delle Vele è forte e mi abbronza dalla cima del molo lungo mentre tento di fare foto alla meraviglia delle barche sul mare azzurro, circondata da una folla che parla più piemontese che ligure, e a volte scoccia. Ci sono tutte, le vele, nomi che conosco, manovre che ricordo, ed ecco Moonbeam IV senza il suo scozzese, Corsaro II, Il Moro di Venezia. La banchina è come al solito affollata, e c’è anche spazio per provare l’ebrezza di un concerto wifi con le cuffie e un pianoforte a due passi (ma davvero) dall’acqua.

Poi la vita riprende, come fosse stata una parentesi estiva, il weekend di mare, spiaggia e sale sfuma e si torna su un treno, verso la vita culturale e lavorativa di Torino. C’è per esempio Jumpa Lahiri al Circolo dei lettori, autrice che non conoscevo e il cui libro mi colpisce, un po’ mi turba, come silenziosa riflessione densa, densissima di malinconia. E poi c’è la Indie Night dedicata a Foster Wallace, un po’ serata, un po’ spettacolo, un po’ parole sulle parole di uno scrittore, e si imparano cose, si trovano spunti. Per fortuna la vita è ricca di spunti: ospiti per casa, birre, chiacchiere, distrazioni e vivacità: non mancano le sorprese, come un articolo uscito sul Secolo XIX a firma di Milena Arnaldi dove compariamo io, A contrainte e Turismo Letterario insieme per parlare di Calvino e della sua Sanremo.

C’è sempre un refolo d’estate, e in effetti sul calendario è ancora estate, almeno fino a quel 22 settembre che sembra lontano. Come d’estate, quindi, si vive, vestiti leggeri e pensieri leggeri, almeno nel weekend, tra incontri tra cinema e musica e puntate in biblioteca dove portare avanti megalomanie e progetti. Dove ritrovarsi anche, un po’, tra il silenzio degli scaffali e l’abbraccio di tutti quei libri, quelle mura familiari e il rumore che arriva da fuori, dal ventre della mia città. Basta una focaccia, un bicchiere di spuma, e poi un gelato, perché la fine della stagione arriva veloce e la gelateria migliore della città chiuderà: bisogna recuperare. Tra bicchieroni di lamponi e gelato e coni da passeggio mescolati alle chiacchiere e ai visi di una sera di fine estate, che fa caldo e tutti sono ancora fuori, la stagione segna l’arrivo. È dura pensare che dovranno passare tanti mesi, un interno inverno fatto di buio, freddo e soprattutto la solita miopia del futuro. Non so come arriverò al prossimo anno, chi sarò al sopraggiungere delle giornate chiare e leggere di maggio. Vorrei arrivassero presto, insieme alla consapevolezza che adesso latita.

Le distrazioni, si tratti di lavoro e di casi della vita, non mancano nel frattempo. Come improvvisare la visita a una libreria dell’usato dove perdersi con gli amici “dei libri” in città, e constatare che in fondo è vero: conosco un sacco di persone legate al mondo dei libri e dell’editoria, e questo non è male. Come scrivere una cosa e farsi intrappolare, scivolare nel nero, scontrarsi con mostri che si credevano estinti. E invece no. Voci dal passato, errori che si schiantano sulla faccia. Paure, cadute profonde, schiaffi. La risalita è faticosa, ci vuole maturità, ma vacilla, e più che di forza si alimenta di incoscienza. C’è qualche amico che tiene stretta la presa durante la caduta, e senza indorare la pillola sostiene. Per fortuna.

Quando non funzionasse la presa, durante periodi di sconforto intensi, arriva il Salone del gusto a Torino con la sua carovana di odori, sapori, colori. Ed è un fiume trascinante di distrazione e di bellezza, dove farsi travolgere da assaggi, dove trovare una seconda casa in Sicilia e, borsa piena di pesto, bottarga, crema al pistacchio, farsi coccolare da un cannolo al cioccolato. Buonissimo. Siccome poi, fuori, è ancora estate e la città è stregata da un tramonto color pesca, l’umore risale a livello accettabile, e trova ossigeno, e bellezza.

La stessa bellezza di una città che è rientrata nei circuiti con sospetto e diffidenza, o forse solo stanchezza, ma che poi ha ripreso a far battere il cuore con i suoi portici, i lampioni romantici, le viste dalle terrazze, tra una bottiglia stappata, la testa frizzante, una spadellata come a casa e tante, tantissime parole che fanno bene all’anima. Un’anima un po’ stanca, troppo tesa, decisamente stressata.

A settembre ci sono stati il cambio clima e i vestiti non adatti, come da 12 anni a questa parte, il distributore automatico di poesie e una rete di incontri improbabili, una foto nello specchio di Pistoletto a una mostra, e tutti i saluti, le chiacchiere, i discorsi con i colleghi rientrando dalle ferie, snocciolando la lunga, lunghissima fila degli eventi in città, pronti a ripartire in batteria tra mostre, stagioni, inaugurazioni. Da Torino Spiritualità e il suo motto “Preferisco di no”, con la sua forza mai troppo ribadita, alla mattinata in cui è stata inaugurata la cappella della Sindone del Guarini. Non l’avevo mai vista, ero troppo piccola quando fu chiusa. E nonostante i 40 minuti di coda e i colleghi in subbuglio, lo stupore si è preso la scena, la bellezza e la fortuna di un mestiere che troppo spesso perde senso e fa perdere la voglia sono riaffiorate.

C’è stata Genova, in questo settembre, un paio di viaggi e la testa voltata a cercare quella scena vista troppe volte in tv, quel che resta del ponte sospeso sul nulla, una via interrotta, mutilata, l’affaccio sul vuoto da metri e metri. Paurosa, pregna di angoscia nonostante il sole alto ed estivo. È stato lo stesso sole che ha cullato l’ultimo weekend di questo mese alternato tra due vite, quella di città e quella di casa, mai capaci di godere dell’una o dell’altra situazione, ma sempre in bilico. Un sole estivo nonostante poi quel 22 settembre e l’autunno siano arrivati. Sole da stendersi come lucertole sulla spiaggia, come di consueto un libro, tra il piacere dell’evasione e il dovere che sempre più si lega all’attività di lettura.

Mare azzurro e brillante, acqua fredda e cristallo quasi come a maggio, sospirata dal finestrino di un treno, adorata quando arrivi sul lungomare, meravigliosa quando ci sei dentro e ti illudi che possa durare ancora, e anche se sai che non sarà così ti godi ogni singolo istante, prima che finisca.

Un insistito e concreto presente, attimo dopo attimo. Per questo i mostri non devono avere spazio, per questo è ammessa solo la bellezza, aiutata ogni tanto dall’impegno e dalla determinazione. Certo, è tutto molto faticoso, ogni tanto sembra di sprofondare in una palude di sabbie mobili e per questo è essenziale avere un weekend di mare e di azzurro per innaffiare l’anima di leggerezza. Anche se l’estate è finita, ed è stata così attesa, così stressata e così carica di ansia, che non vedo l’ora arrivi la prossima. Ma c’è ancora, purtroppo, un bel po’ di strada davanti.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!