Scrivo di novembre mentre sono su un treno, e il primo ricordo di novembre è di un treno. Un treno nel buio e nella pioggia, uno zaino in spalla, un libro da scoprire e qualche incognita da aggirare. Il treno era quello per Genova, il libro era Norvegian Wood di Murakami, e l’incognita era intrecciare una rotta ferroviaria da ponente con una automobilistica da Levante. Per ritrovarsi al teatro della Tosse di Genova. Per il rotto delle cuffia, con qualche alzata di volume e rimbrotto, ce l’abbiamo fatta. E ne valeva la pena: sul palco c’era DNA, lo spettacolo dei Deproducers con Telmo Pievani, con incursioni vocali del coro Mongioje di Imperia. Perdersi a Bolzaneto in una notte umida e scura, dopo aver ripercorso la storia senza età del nostro patrimonio genetico, non ha avuto poi troppo peso, nell’assurdo di una fetta di torta e di un navigatore impazzito. Novembre inizia così.

E così, con leggerezza indaffarata e incastrando l’impossibile, anche questo mese se ne è volato via. Sembra ieri quell’ottobre affollato e climaticamente assurdo che fino a fine mese mi ha portata al mare. Sbagliavo: novembre è stato il mese del monsone. Pioggia. Pioggia. Ancora pioggia. Weekend e settimane intere bagnate, ombrelli in borsa, cappucci, e in televisione Venezia che affonda sotto una marea di acqua alta mai vista, la piena del Po che spaventa e invade di limo i Murazzi a Torino, e la mia Liguria che torna a franare. È crollata un’altra autostrada, la Torino Savona, una settimana esatta dopo che ci ero passata io. Che il mese di novembre, o la mia vita in generale, si svolgano su strade e ferrovie, avrebbe potuto avere un’intersezione assurda con l’altrettanto assurda pioggia che ci testimonia il transito in una nuova, preoccupante, epoca storica, quella del cambiamento climatico.

Sarà forse un caso se il mese si è chiuso con il nuovo film di Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York, e una romantica storia di jazz e piano bar nella sognante New York? Sì, è un caso, come cenare al freddo fuori da una pizzeria perché non c’è posto, credendo che sia estate. Tuttavia, cercare di rendere coerente il mese è il compito di questo post, e se la pioggia è stata una linea di coerenza, un’altra è forse stata una specie di casalinghitudine venata da incursioni nel grande mondo agitato, ma proiettata già al Natale, o piuttosto all’inverno. Le giornate corte, i progetti da portare avanti in casa tra ricette da cucinare e parole da scrivere incessantemente su file e cartelle.

Novembre si è aperto con esperimenti di lievitazione e una fantastica sorpresa in edicola, il Tuttolibri della Stampa con un articolo del mio amico Marco, dedicato ad Agatha Christie, di cui ha tradotto un racconto inedito in Italia. Quanti chilometri, parlando di questa novità, quante serate a far progetti, pomeriggi in radio, libri, autori, incontri. Novembre e le sue piogge ci hanno portato, impavidi e nonostante tutto, davanti a un paio di grandi scrittori internazionali, Amitav Ghosh e David Grossman. Del primo ho letto il libro nuovo, L’isola dei fucili, un romanzo a cui stare incollati passando una giornata intera, e la notte successiva, pagina dopo pagina, riga dopo riga ritrovando il mondo, e stupendosi per non averlo letto così prima, nella sua integrità, nei suoi devastanti cambiamenti, mentre fuori piove, Venezia si allaga e il mondo lancia segnali inequivocabili della sua fragilità, del nostro pericolo, causato da noi stessi.

E poi ci sono state altre belle letture a novembre: Paolo di Paolo, con il suo Lontano dagli occhi e quel misto di forza e delicatezza che colpisce e non molla più, una chiacchierata fiume con Ilaria Gaspari tra lettere d’amore, sms e scrittura, e Fabio Geda, con la sua delicata storia di Una domenica, il Lungopo Antonelli, ancora Torino. Scorrono i ricordi del novembre casalingo del 2018, ore intensamente trascorse tra pagine e ancora pagine, casa come biblioteca personale, dita che scorrono, pigiano tasti e un libro che ha da costruirsi e che, oggi lo so, sarà.

Così a novembre 2019 la sorpresa è di entrare in una libreria dove non sei mai stata e trovare il tuo libro esposto a bandiera in cassa, lì, così, proprio di fianco a colei che spopola prima in classifica da settimane, Elena Ferrante. E così novembre è una sera in cui se per strada nell’esatto istante in cui si accendono le luci: non è ancora buio, non è già più giorno, alle spalle l’abbraccio caldo di una tisana e di una torta e davanti la telefonata da film di un libraio:

«Ciao, sono un Libraio, volevo dirti che ho un cliente prestigioso che voleva fare delle strenne natalizie»
«mh…»
«parliamo di un numero di regali sulle tre cifre»
«ah…»
«L’ho fatto scegliere tra libri che parlano di Torino, gli ho consigliato il tuo»
«ah, ecco»
«100 persone felici a Natale avranno il tuo libro in mano!»
«No, dai, io non ci credo, sta cosa sembra un film»
«Tu credici, credi ai librai!»

A volte sembra di vivere in un set in questa città. Capita passeggiando la notte tra le luci d’artista che solo a Torino, un “ciak si gira” e il fragore del generatore di corrente, le traiettorie delle comparse,  le auto ferme e una repentina fuga sotto i portici. Una pubblicità del Natale, forse? Si scoprirà proprio di sì: quella della Tre. Perché il Natale ormai galoppa e tutto è qui per ricordarcelo, a novembre, tra un affollato ottobre che è difficile smaltire e la sensazione di una stanchezza abissale che potrà essere alleviata solo con la pausa di fine anno. Finalmente.

Così a novembre c’è il jazz ascoltato dal vivo da Night Dreamers, un’orchestra sinfonica al Regio che regala emozioni da colonna sonora, il sottofondo del mese su e giù sui treni. Ci sono i piccoli piaceri hygge come le luci d’artista che si riflettono nella pioggia, i cioccolatini al pistacchio, le colazioni con le amiche e le ciambelle di cioccolato, il comfort food del mese come una pazzesca charlotte con ammontare calorico che la dieta si spaventa e scappa via, la carezza di una tisana nuova, contro l’ansia.

Ci sono camminate lungo marciapiedi gialli di foglie cadute, il boom dell’autunno in mezzo all’atmosfera grigia di Torino, mentre si progetta, si discutono preventivi, si pianifica  o si cerca di farlo, sempre pronti al cambio imprevisto, sempre pronti a rielaborare l’agenda per infilarci dentro tutto. Autunno pieno, di zucche arancioni, vino travasato e colori che risplendono in quella manciata di rare giornate di sole, raggi da godersi rifugiandosi poi tra le mura di casa perché dura poco, la giornata si fa sempre più breve.

Freddo, pioggia – quanta pioggia, a novembre – corsi di deontologia seguiti in rocambolesche maniere, come rocambolesco è stato in genere tutto il mese, iniziato con un solo giorno di calma e ripreso mai frenetico quanto ottobre, eppure sempre dinamico, mai uguale a se stesso. Sveglie perse, sveglie alle 5, corse a piedi e altre surreali in taxi, avventure spaziali e scaloni barocchi, arretrati da smaltire e momenti di stanchezza cosmica dove non tornava più niente e le dita scrivevano a caso sulla tastiera.

E poi belle notizie che la scaramanzia ammanta di silenzio, e così mentre si accendono le luci in città e si cercano le radici tra una panissa e una farinata («Mi lasci una tovaglietta? No, non la piegare, la mando a mio figlio a Parigi, gli faccio venire un po’ di malinconia») ecco il tuffo negli archivi, tra disciplina, casualità, rigore e lavoro a quattro mani, con tutte le belle conferme nonostante il tempo non basti mai, e con la riscoperta che le cose alle spalle sono tantissime, altro che sentirsi inadeguati, altro che pensare di non essersi mai mossi.

Novembre si chiude come si è aperto: sono a Genova, guardo De Ferrari da una finestra perché la Liguria, lo diceva Orengo, va vista proprio così, da una finestra. Che è poi come una televisione: vedo scorrere governatori e assessori, penso alle autostrade che crollano, ai treni che deviano o sono bloccati, a tutti i miei su e giù, alle due o tre vite sistemate con cura dentro una sola. Un raggio di sole mi scalda le caviglie, le dita battono sui tasti ma aspetta, aspetta un attimo, posso ancora incastrare un altro pezzo, posso finire di scrivere qualcosa in treno, concludere una programmazione, recuperare un concerto di Bollani al Conservatorio e farci stare anche Banksy e Hitchcock, in questa strana vita così ricca e a volte stressante. Tanto poi sarà presto Natale, ci sarà tempo per tornare ad avere tutto, o quasi, sotto controllo.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!